Vi è un elemento indispensabile alla vita: l’acqua. Da sempre elemento nevralgico nelle culture dei vari popoli, l’acqua sta assumendo una nuova accezione, quella di ricchezza. Proprio per questo, ci si riferisce ad essa con una perifrasi particolare, quella di “oro blu”. Accanto alle molteplici crisi che il nostro pianeta affronta e combatte, un posto d’eccezione lo occupa il depauperamento idrico. Il primo decennio del XXI secolo si è concluso con una sola certezza: i giacimenti d’acqua si stanno riducendo, soprattutto se si prende atto del quantitativo di oro blu utilizzabile dall’uomo. Nell’immaginario comune, in particolar modo di quei Paesi e culture che hanno la fortuna di vivere vicino a ricchi giacimenti idrici, l’acqua è una fonte inesauribile anche perché facilmente rinnovabile. La verità però si discosta molto da questa visione.
La Terra ha a disposizione circa 1386 chilometri cubi di acqua: solo il 2,5 % di questo quantitativo è acqua dolce, quindi utilizzabile.
Di questa percentuale, la maggior parte è contenuta nelle calotte polari, nei ghiacciai e nelle profondità della terra: è, in sintesi estrema, irraggiungibile. Per la sua allocazione, per il sovra sfruttamento dell’ultimo secolo, per il suo esser così basilare, l’acqua deve essere considerata come una risorsa finita, solo parzialmente rinnovabile. Il ciclo dell’acqua, unica modalità di rinnovamento, non è più sufficiente. Per dirla in termini economici ed accessibili, le uscite sono fin troppo superiori rispetto all’entrata. La chiave di volta per comprendere la pericolosità di questo scenario è da racchiudere nella parola “demografia”. L’aumento della popolazione, registrato in zone già densamente popolate come la mezzaluna mediorientale, preoccupa anche e soprattutto per le scarse risorse idriche. In queste zone, l’accesso all’acqua è una sfida quotidiana e gli scontri per questa risorsa tendono più verso la certezza che verso una mera probabilità. Asia ed Africa cavalcano una preoccupante onda demografica che si è triplicata negli ultimi decenni. Il tasso di crescita della popolazione mediorientale è il più elevato, pari al 3% fisso: una densità di popolazione troppo elevata per delle risorse vicine al totale prosciugamento.
L’acqua è di per sé una risorsa iniqua, soprattutto per quanto concerne la localizzazione di fiumi e laghi che, assieme alle falde acquifere, sono tra i principali fornitori di acqua dolce. Non è un mistero che le antiche civiltà si siano sviluppate attorno i fiumi perché considerati fonte essenziale di ricchezza. Non sempre però, soprattutto in una fotografia attuale, un corso d’acqua è garanzia di approvvigionamento idrico: la qualità dell’acqua è difatti dipendente da vari fattori, in primis lo stesso terreno in cui scorre il corso d’acqua, terreno che potrebbe essere così inquinato da modificarne la purezza originaria. La maggior parte delle riserve d’acqua dolce utilizzata proviene, in ogni modo, non da laghi e fiumi, bensì dalle falde freatiche: il 90% dell’acqua utilizzata dall’uomo è prelevata direttamente dal sottosuolo. Di questa totalità, il 47% si trova in falde acquifere non molto profonde che riescono raramente a rinnovarsi. La profondità delle riserve idriche si riduce in un lasso temporale sempre più breve, a prova che la velocità con cui l’acqua viene prelevata è maggiore rispetto al naturale rinnovarsi dell’elemento. A causa di ciò, una gran parte della popolazione mondiale potrebbe ben presto ritrovarsi in un’estrema scarsezza idrica, inficiando quelli che sono i tre settori principali di consumo: l’impiego agricolo, quello industriale e quello domestico.
Il settore primario è forse quello oramai meno considerato nella comune idea di economia. È però il settore basilare poiché legato alla produzione del fabbisogno alimentare necessario alla sussistenza e, come conseguenza ovvia, alla crescita demografica. L’agricoltura richiede un utilizzo d’acqua massiccio, in particolar modo per la pratica dell’irrigazione, il cui primato è detenuto dai Paesi mediorientali. La motivazione è presto detta: non essendo una zona caratterizzata da abbondanti piogge, queste regioni sono solite utilizzare le falde acquifere e i rari accessi ai bacini fluviali per favorire la produzione agricola.
Questa porzione della terra si trova quindi dinanzi la necessità di dover utilizzare un quantitativo sempre maggiore di acqua per irrigare le proprie terre aride, al fine di soddisfare una domanda alimentare in estrema crescita. Per comprendere quanto possa risultare drastico l’equilibrio su cui ora il Medio Oriente si basa, basti pensare che per produrre un chilo di riso sono necessarie fino a tre tonnellate d’acqua. La crescita demografica va a legarsi anche ad un altro settore di consumo idrico, quello domestico. Attualmente, nel Medio Oriente, si sta verificando una migrazione interna, dalle campagne alle città, con la costituzione di megalopoli e slums che, a causa della scarsezza idrica, vivono in precarie condizioni sanitarie. I piani urbanistici delle megalopoli dovrebbero essere concepiti con una prospettiva ingegneristica, basandosi sulle possibili fonti dirette d’acqua, cercando di minimizzarne lo spreco e l’inquinamento. Il fine ultimo non è solo l’accesso all’acqua potabile ma anche il raggiungimento di una media equanime di copertura sanitaria: al momento, infatti, circa due miliardi e mezzo di persone vivono in una precaria situazione igienica. Si può quindi ben comprendere la necessità di un intervento subitaneo a favore della prevenzione idrica.
Adele Lerario (*)
(*) Con il presente articolo esordisce quale collaboratrice del giornale Adele Lerario.
E’ laureata in “Editoria e nuove professioni dell’informazione” presso l’Università di Roma La Sapienza. Di origini pugliesi, ha approfondito la tematica inerente l’Ilva di Taranto che tuttora segue per alcune testate giornalistiche. Ha sviluppato un interesse, grazie al suo percorso accademico, verso le relazioni internazionali, focalizzandosi in particolar modo sulla questione mediorientale. Attualmente scrive per varie testate giornalistiche e lavora come web content.