di Enrico La Rosa
Quello che sta accadendo ha dello straordinario. Orribile e condannabile senza riserve, ma pur sempre “straordinario”.
Se si esaminano soprattutto alcuni atti compiuti negli ultimi dodici mesi non si potrà notare una strana evoluzione che lascia presagire nulla di buono.
Si considerino le seguenti stragi: Parigi 1 (7 gennaio/Charlie Hebdo), Parigi 2 (13 novembre/Bataclan), San Bernardino/2 dicembre, Germania e Nord Europa/fine anno. Soprattutto quest’ultima: una strage, benché non abbia causato vittime. Possiedono elementi di raffinata e meticolosa programmazione, indice di una decisa escalation nella ricerca, nell’esercizio e nel consolidamento della leadership. E’ un deciso salto di qualità, è lo scalino successivo rispetto a quello delle torri gemelle, che ha guastato definitivamente il sonno degli americani.
Dopo l’11 settembre è questo il livello superiore, meno appariscente, forse, ma più subdolo e alla portata di tutti.
Gli episodi elencati hanno senza dubbio evidenziato alcune fasi che li hanno differenziati rispetto a molti altri, sporadici, casuali e frutto di improvvisazione o di reazione scomposta: individuazione degli autori, loro reclutamento, affiliazione, indottrinamento, addestramento e lancio. In ciascuno dei casi indicati. Affermazione, soprattutto, della capacità di leadership dei capi di Daesh.
Una cosa così ha guastato il sonno a tutta la comunità occidentale. Ai potenti, ma anche all’uomo comune. Nessuno sarà più completamente tranquillo, neppure durante la spesa al supermarket.
Ciascuno degli episodi indicati è indice di una perfidia raffinatissima, di cui possono essere capaci solo menti stratificate, con diversi livelli di premeditazione, perfidia e malvagità. Come quelle levantine del Mediterraneo, del Medio Oriente e del Nord Africa. Qui non c’è nessun Vichingo con l’emetto con le corna che parte all’assalto a testa bassa, né cow boy del Settimo Cavalleggeri, ci sono menti ambiziose, gaudenti, perfide e levantine.
Questo è il tipo di leadership che sta prepotentemente riemergendo. Maometto, a qualche secolo di distanza, si sta vendicando delle umiliazioni che Carlo Magno gli ha inflitto. E per fare ciò ha cominciato con il distruggere tutti i cavalli di troia di cui quest’ultimo ha disseminato le sue terre: i Saud, i dittatorelli del Nord Africa e quelli imposti dagli alleati anglo francesi nel Medio Oriente alla fine della prima guerra mondiale.
L’ultimo tabù attaccato è la donna, simbolo di necessaria virtù per l’Islam, simbolo di libertà ed emancipazione nel mondo occidentale!
Molto ancora sfugge agli inquirenti europei, che annaspano in difficoltà. Non è facile né prevenire, né individuare, né combattere una così fitta maglia di complicità che ha consentito il coordinamento dell’atto terroristico di fine anno, tra tutti il più allarmante.
Ma queste reti esistono da tempo e non sono state smantellate completamente. Al contrario, si sono molto ramificate e consolidate, dando origine a tanti nuovi combattenti.
Gli antefatti – Gli analisti di adeguata profondità e di una certa esperienza ricorderanno gli efferati eccidi di interi villaggi ad opera del GIA (Gruppo Islamico Armato), avvenuti in Algeria intorno alla metà degli anni ‘90. Fra i 300 ed i 500 morti per il massacro dell’intera popolazione di El Rais (Sidi Moussa) il 28/8/97; 200-300 morti ammazzati in vario modo nel massacro del 22/09/97 del piccolo centro di Benthala, a soli 10 Km da Algeri, da parte di un consistente gruppo armato (100 – 200 uomini ) che, dopo aver isolato il villaggio, procedette al sistematico massacro dei suoi abitanti. Questi studiosi ricorderanno anche un comunicato pubblicato a Londra da “El Ansar“, con il quale il GIA rivendicò la paternità dei massacri e profferì minacce alla Francia, genericamente all’ONU ed agli Stati Uniti. Rammenteranno anche che in quel periodo una certa superficialità degli analisti occidentali, l’abile regia dell’informazione contigua ai gruppi islamici (segnatamente di quelle cellule aventi il compito di curare la comunicazione, d’influenzare le correnti di pensiero occidentali, di ricevere i finanziamenti, di acquistare e spedire in Algeria gli armamenti ed i materiali reperiti sul mercato dei saldi degli armamenti dell’ex URSS), contribuirono nel 1998 all’esercizio di pressioni internazionali contro il regime algerino con la diffusione dell’idea che si stesse combattendo una vera e propria “guerra civile”, anziché una rivolta armata, e inculcando il sospetto del coinvolgimento delle forze armate o di frange delle stesse nell’organizzazione ed esecuzione delle stragi. Tutto ciò mentre nel paese cresceva apertamente e a dismisura il sostegno alle forze politiche della maggioranza ed alle forze di sicurezza e si organizzavano gruppi di sorveglianza e di reazione per ogni singolo edificio e per quartiere.
Fu di quello stesso periodo, con pubblicazione degli esiti su diversi giornali, sia filo governativi, sia antigovernativi, cosiddetti liberali e democratici (Le Matin, 24.01.98; El Watan in data 2-3 febbraio 1998 a firma di Salima Tlemçani; Le Matin, 22.02.98; Liberté, 02.03.98; El Moudjahid, 02.02.98) l’iniziativa della stampa e dei servizi algerini, intesa a respingere le principali argomentazioni, puntando il dito contro l’Europa, centro nevralgico del traffico d’armi e di droga dei gruppi terroristici. Italia (comunità musulmana immigrata stimata di 550.000 persone) sede dei traffici di Djamel Lounici che, facendo la spola con la Germania, teneva proficui contatti con diversi trafficanti d’armi, pagando il materiale con conti correnti attestati a Zurigo ed alimentati con bonifici provenienti dal Qatar e dall’Arabia Saudita. Dopo l’arresto di Djamel Lounici e lo smantellamento della sua rete, il GIA si sarebbe riorganizzato sovrapponendosi ad una rete specializzata nel contrabbando, all’interno della quale agivano membri della mafia polacca e russa, ed operante sull’asse Gdamsk-Hambourg-Bruxelles-Anversa. Questa organizzazione venne descritta molto simile ad una gang, dedita ai furti d’auto e alla rivendita d’armi provenienti dagli stock dell’ex-Germania dell’Est. Ulteriori rivelazioni riguardarono l’approvvigionamento nell’agosto 1993 di equipaggiamenti radio, informatici e per il puntamento all’infrarosso, forniti successivamente ai gruppi GIA alla macchia. Zona di operazioni di questa filiale, a partire dalla Svizzera. L’approvvigionamento veniva fatto nell’Europa dell’est, nella Repubblica Ceca, in Ungheria, in Slovacchia, in Svezia ed in Belgio. Il materiale era nascosto in tir generalmente condotti da ex detenuti comuni che assicuravano il viaggio verso l’Europa a bordo di carferrys. Si riferì circa indagini di polizia nel 1997 su un non meglio precisato cittadino italiano, vicino alla mafia siciliana, sospettato di essere un corriere d’armi per il GIA, e che avrebbero consentito di confermare l’esistenza di una relazione fra il GIA e la mafia siciliana. Il corriere avrebbe imbarcato il carico militare pervenuto dalla Romania e dalla Bulgaria a bordo di un peschereccio nella regione di Agrigento diretto verso l’Algeria, via Libia. Per i terroristi algerini la Francia sarebbe stata considerata molto più come luogo di transito che come centro di approvvigionamento. L’Ile-de-France era evidentemente essenziale all’interno del dispositivo del GIA, ma era a Marsiglia che le reti organizzative mettevano a punto il loro dispositivo finale di transito di materiale e di armi. Nell’Europa del sud, la Spagna venne presentata, dopo Marsiglia, la seconda porta d’ingresso della droga, dei prodotti contraffatti e del contrabbando, grazie ai quali gli islamisti generalmente finanziavano le loro attività. Parecchie società commerciali sarebbero state formate dal GIA a Valencia, Barcellona e Gibilterra. Ed è a partire da Barcellona che sarebbero state spedite armi dirette in Algeria. I servizi spagnoli, in collaborazione con i loro colleghi francesi, avrebbero neutralizzato nel marzo 1995 uno dei capi di questa organizzazione, Ahmed Ghenrit, rappresentante operativo del GIA per l’Europa. La Germania, Paese dove il traffico d’armi, di droga e di documenti falsi venne riportato come fiorente, sarebbe stata utilizzata dagli integralisti come retroguardia. I quattro figli di Abassi Madani, di cui due sono stati successivamente arrestati, hanno potuto lasciare l’Algeria solo grazie alla rete organizzativa creata in Germania. Per questo tipo di operazioni sarebbero stati messi in moto la solidarietà dell’organizzazione Mouaffak Fondation di Amburgo ed il Partito di liberazione islamica, con sede in Gran Bretagna, con base tedesca ancora ad Amburgo. I membri di questa fondazione si sarebbero presi cura dei figli di Madani nel quadro di un’operazione denominata “Madani”. Queste organizzazioni si procuravano le armi sul posto, grazie all’aiuto di qualche reduce dell’Armata Rossa datosi al contrabbando. Esse si approvvigionavano anche nei Paesi dell’est transitando attraverso la Svizzera, la Francia o il Belgio. All’interno della comunità musulmana di questo Paese sarebbero state presenti correnti islamiste fra le più radicali, rappresentate da numerose associazioni indipendenti, ma tutte create sotto la tutela della LIM (Lega Islamica Mondiale) saudita. E’ questa stessa LIM che all’inizio del 1990 avrebbe finanziato la costruzione del Centro Culturale islamico di Bruxelles. L’ex-FIS (Front Islamique du Salut, Fronte Islamico di Salvezza) sarebbe riuscito a controllare questo centro e ad installare una rete di sostegno logistico alle proprie attività terroristiche in Algeria. Considerato all’inizio come un Paese di ripiego e di accoglienza, il Belgio sarebbe divenuto, dopo le pressioni esercitate dai servizi francesi sul GIA, una zona di transito e di collegamento fra le diverse reti del GIA e dei suoi trafficanti d’armi e di droga. Questi ultimi avevano quale obiettivo l’Ambasciata d’Algeria a Parigi ed altre Rappresentanze diplomatiche dei Paesi che sostenevano il governo algerino. In Gran Bretagna gli islamisti algerini avrebbero cominciato ad infiltrarsi sin dal 1991 con Mohamed Dmili, direttore della rivista El-Balagh, Rachid Ramdane, divenuto in seguito uno dei finanziatori del GIA, e Kamreddine Kherbane, denominato l’Afgano. Sotto la copertura dell’associazione Algerian Community in Great Britain (ACB), gli integralisti del FIS si sarebbero infiltrati all’interno della missione islamista del Regno Unito (UK Islamic Mission), una delle roccheforti della Djamaa islamia pakistana, creata nel 1963, con sede a Londra ed importanti ramificazioni a Birmingham. Ufficialmente ed apparentemente umanitaria, questa associazione avrebbe raccolto considerevoli fondi, creato scuole, fatto propaganda all’uscita dei luoghi di culto e pubblicato riviste. La sua missione consisteva molto spesso nell’organizzare conferenze tenute da militanti dell’ex-FIS che si esprimevano in nome dell’ACB. Questo Paese, molto tollerante, “troppo” secondo gli analisti algerini del ’98, sarebbe stato trasformato in centro di propaganda e di raccolta fondi; d’altronde, è a Londra che sarebbe stato aperto il più importante conto bancario del GIA. I tentacoli della piovra integralista avrebbero raggiunto anche la Bosnia, divenuta una retroguardia del reclutamento e dell’addestramento. In Albania il GIA avrebbe reperito un ottimo mercato per l’acquisto di armi di molti tipi, sia a causa della permeabilità delle frontiere, sia per l’esistenza di una potente mafia locale. La sua capitale sarebbe divenuta zona di transito per gli Afghani di Bosnia in direzione di altri Paesi ove esistevano situazioni di conflitto, fra cui l’Algeria. Le accuse più ricorrenti[1] e risentite furono rivolte, anche a firma di giornalisti autorevoli, qual’era Salima Tlemçani, e ad opera di quotidiani assolutamente imparziali, qual’era El Watan, al Regno Unito che, se da un lato chiudeva un occhio, e spesso entrambi, sulle attività criminali delle cellule dei gruppi armati sul proprio territorio, dall’altro rifiutava di fornire in qualsiasi forma ed in qualunque foro informazioni sui terroristi algerini. Si asseriva con forza che i servizi segreti britannici fossero in Europa quelli meglio informati sulla situazione in Algeria, poiché, all’epoca in cui l’Occidente reclutava giovani musulmani per combattere l’esercito sovietico in Afghanistan, hanno a lungo controllato le reti integraliste. Venne raccontato come i giovani algerini transitati per l’ufficio di Londra avessero riferito che, prima di partire per Peshawar, erano presi in consegna da ufficiali britannici. Si era pertanto sicuri che questi servizi fossero in possesso di una banca dati su tutte le reti transitate via Londra e conoscessero perfettamente coloro che agivano in favore dei terroristi algerini, tunisini ed egiziani. Secondo gli specialisti, i servizi occidentali, in particolar modo quelli britannici ed americani, erano in possesso di foto satellitari in grado di localizzare in Algeria tutte le posizioni terroristiche alla macchia ed anche le grotte e le casematte dove i gruppi armati trovano rifugio. Tuttavia, questi Paesi hanno sempre negato il loro aiuto ai servizi algerini in materia di lotta antiterroristica, preferendo mantenere una posizione di «pseudo-neutralità», rendendosi responsabili di migliaia di vittime del terrorismo. In un articolo in due parti del 22 e 23 dicembre 1997 sulla situazione del mediterraneo occidentale in tema di sicurezza militare, El Watan si soffermò anche sui programmi spaziali europei, dando prova di essere perfettamente a conoscenza del programma europeo Helios; ciò pochissimi giorni dopo la visita organizzata l’11 dicembre al centro satellitare di Torrejon, cui ha partecipato – tra gli altri rappresentanti di Paesi nordafricani e del M.O. – anche il Consigliere algerino; una strisciata fotografica giornaliera per il controllo degli spostamenti di gruppi significativi di persone (= terroristi) nell’area eventualmente segnalata dagli esperti algerini sarebbe stato fra i migliori aiuti no-cost e non compromettenti che si potesse fornire loro, qualora li si fosse voluti realmente aiutare.
Cosa aspettarsi – Questa è solo una delle tante storie che si possono raccontare, aventi per oggetto la radicazione, anche datata, delle reti di sostegno al radicalismo islamico in Europa e l’inefficace contrasto da parte delle organizzazioni di sicurezza continentali a fronte, invece, di una diffusissima rete malavitosa di comprovata complicità, che rendono oggi facile muoversi in Europa più ai terroristi che ai loro avversari. Certamente gli uomini saranno cambiati e le strutture organizzative modificate e ammodernate, ma si ha ragione di credere che la fitta rete di affiliati e complici sia stata sicuramente potenziata.
Non finirà qui, purtroppo. I flussi migratori sono anche veicoli formidabili di scambio e di mimetizzazione. L’area siro-turca è stata ultimamente un colabrodo, che ha fatto passare tutti i proseliti di Daesh che si sono uniti ai combattenti, ma anche coloro che hanno risposto alla <chiamata>, sono stati indottrinati e addestrati in zona e, tra le maglie dei migranti, sono rientrati per compiere le missioni assegnate.
Enrico La Rosa
[1] Citati articoli in data 2 e 3 febbraio ’98.