Internazionale islamista e terrorismo globale

di Enrico La Rosa

Innanzi tutto, una precisazione di tipo semantico.

Si parla tanto di “fondamentalismo” e lo si associa inevitabilmente alla religione islamica, tant’è che la completa dizione è solitamente “fondamentalismo islamico”.

è un falso storico!

E’ verificabile nei testi delle cronache degli Stati Uniti d’America la paternità del termine “fondamentalismo”, nato nel 1920 negli USA, allorché i teologi cristiani conservatori, per contrastare l’affermarsi delle teorie evoluzioniste, incoraggiarono la pubblicazione di libricini che riaffermassero i principi fondamentali della dottrina cristiana; questi libri si chiamarono “The Fundamentals” e questo atteggiamento di tipo reazionario fu battezzato “fondamentalismo“, per la prima volta nella storia dell’umanità ad opera di settori appartenenti alla religione cristiana.

La visione “fondamentalista” nel mondo cristiano è figlia dell’intransigenza calvinista e luterana che ben si è sempre combinata con il radicalismo dei comportamenti e delle dottrine di area europea, in particolare della parte continentale e nordica.

Riesce oltre modo difficile concepire una visione granitica della vita e dei dogmi in un mondo variegato e plastico, forse anche troppo, forse troppo incline al compromesso, come quello mediterraneo.

Si passerà ora ad esaminare l’excursus storico della nascita e dello sviluppo del terrorismo di matrice islamica. Di quello cristiano si è già fatto cenno. Il terrorismo sionista non è oggetto di discussione in questa sede, benché più datato, insanguinato e denso di avvenimenti. Le bande sioniste hanno seminato morte e terrore in tutta la zona mandataria affidata a S. M. britannica alla caduta dell’Impero ottomano e sino al 14 maggio 1948. Si pensi, tra gli altri, all’Irgun Zvai Leumi, “Organizzazione Militare Nazionale”, in altre parole un gruppo paramilitare sionista, giudicato terrorista dal Regno Unito; alla “Lohamei Herut Israel” (abbr. Lehi), organizzazione terroristica sionista più comunemente conosciuta come “ Banda Stern” dal nome del suo fondatore, il polacco Avraham Shtern; all’armata dell’Ucraino Vladimir Evgen’evič Žabotinskij, tristemente nota per i ripetuti atti terroristici ai danni dei palestinesi nativi. Eventi che richiedono una lunga trattazione a parte, tutta storicamente documentabile, ma troppo articolata per poter trovare collocazione nelle poche pagine di questo approfondimento.

Per comprendere quale sia stata l’acqua di coltura del terrorismo di matrice islamica e quali errori ed avvenimenti ne abbiano favorito la nascita e sostenuto successivamente crescita e proliferazione, è necessario compiere un breve viaggio esplorativo lungo la cornice del quadro internazionale della seconda metà del XX secolo.

Si considerano, in rapida successione e molto sommariamente, i seguenti tragici eventi, sicuramente già a conoscenza dei lettori:

16/1/1979 – Iran – Lo scià è costretto a fuggire mentre Khomeyni instaura una “repubblica islamica”, diventandone la guida spirituale.

La responsabilità (per meglio dire “l’irresponsabilità”) degli anglo-americani, in questo caso, è una realtà storica tangibile. Se nel 1953 non avessero congiurato per affossare Mossadeq, vero leader che da troppi anni era mancato all’Iran, fautore di una linea autonoma e nazionalista, autore dell’evacuazione dei Britannici dall’insediamento petrolifero dell’isola di Abadan nel settembre 1951, non si sarebbe avuto il rientro e l’assunzione del potere dell’ayatollah Khomeyni, che accorre dalla Francia per scacciare il corrotto Scia, Reza Pahlavi.

Guerra Iran-Irak, (o guerra imposta, come la chiamano gli Iraniani): settembre 1980/agosto 1988

Ascesa dell’alleato Saddam Hussein, strumento americano. In seguito, sarà catturato da soldati statunitensi in un villaggio nelle vicinanze di Tikrīt il 13 dicembre 2003 e consegnato al governo provvisorio irakeno, processato il 19 ottobre 2005, giustiziato il 30 dicembre 2006.

24/12/79 – 15/02/89 – Guerra russo-afghana – Peshawar, Cia e Scotland Yard, Arabia Saudita, Europa e connivenze – Secondo quanto riportato in molti dei volumi di retrospettiva storica e documentale sui fatti d’Algeria, si può affermare che la casa reale saudita si fece promotrice del reclutamento di giovani provenienti dai Paesi musulmani destinati a supportare sul campo i fratelli musulmani in difficoltà. Gli oneri derivanti dall’operazione furono interamente sostenuti dal Paese saudita: 3000 giovani furono inviati a combattere la guerra santa in Afghanistan. Prima di giungere a destinazione, essi facevano tappa a Jeddah, dove venivano presi in consegna dalla CIA o da Scotland Yard. A Peshawar i «combattenti» venivano addestrati dai servizi americani e britannici a maneggiare armi e a fabbricare ordigni esplosivi rudimentali. E’ stato insegnato loro come fosse possibile e facile fabbricare dal nulla una bomba o un lancia-granate. Furono, inoltre, addestrati alla condotta della guerriglia urbana ed all’esecuzione di attentati con incursioni micidiali dirette verso singoli obiettivi. L’impiego sul campo, l’addestramento alle tecniche di combattimento ed una certa attitudine all’audacia vengono inculcate a questi combattenti da Oussama Ben Laden.

Epilogo: Ascesa del potenziale alleato Oussama Ben Laden. Ucciso dai Navy Seals americani il 2 maggio 2011, Abbottabad, Pakistan.

1989 – Dopo la sconfitta delle truppe sovietiche, ebbe inizio la jihad post-Afghanistan, in particolare in Cecenia, Cina, Filippine, Kenya, Etiopia, Egitto, Arabia Saudita e Algeria.

Algeria – 4 ottobre 88 – Iniziano le manifestazioni contro la penuria di alcuni beni di prima necessità. I dimostranti chiedono anche più giustizia. Scoppia la rivolta del pane che mette a nudo il grande malessere esistente nella maggioranza della popolazione; il 18 febbraio 89 presso la moschea Es-Sunna di Bab El-Oued, presso cui predica l’imam Ali Belhadj, viene fondato il Fronte Islamico di Salvezza (F.I.S.); il 14 settembre 89, a seguito dell’approvazione a mezzo di referendum nel luglio precedente della nuova costituzione che introduce il multipartitismo, il partito islamista viene legalmente riconosciuto.

Il loop della guerra afghana si richiude in Algeria, dove i giovani algerini fanno ritorno a guerra finita, imbevuti di ideologie rivoluzionarie nel nome di Allah, ispirati dalla Jamāhīriyya (repubblica delle masse) proclamata il 2/3/77 in Libia da Muhammar el-Gheddāfī dopo avere deposto il re Idris l’1/9/69 e ancor più dalla riuscita dell’avventura khomeynista del ‘79, impossessatisi dell’arte del combattimento e di una certa familiarità con armi ed esplosivi, capaci ormai di maneggiare le armi e di fabbricare bombe, investiti dall’onda d’urto della tragedia politico-sociale-economica algerina, disoccupati ancora più di quando erano partiti, precari in un Paese che non aveva saputo conservare i loro posti di lavoro, scontenti, delusi e pieni del rancore come sono tutti i reduci del mondo, imbevuti di idee komeiniste e sicuri di poter clonare anche in Algeria la repubblica islamica, disadattati e spaesati, in una parola interpreti dello scontento popolare, che ritengono di dovere e potere facilmente cavalcare, interpretare ed estirpare.

Il 21 dicembre 89 si ha una manifestazione di donne a favore della sharia; il 20 aprile 90 si ha una manifestazione ad Algeri a favore del FIS; il 12 giugno 90 si svolgono le elezioni per il rinnovo delle Assemblee Regionali e Comunali. Il FLN (ex partito unico) perde diversi collegi. Il FIS vince con oltre 3 milioni di voti e conquista la maggior parte dei comuni e delle wilaya (prefetture); il 26 dicembre 91 il FIS vince il primo turno delle elezioni legislative, che vengono interrotte dopo il primo turno, in reazione alla inaspettata netta prevalenza del FIS ed alla possibilità di una maggioranza assoluta di questo partito nella futura Assemblea legislativa; 11 gennaio 92, il Presidente Chadli viene costretto dai militari a dimettersi; 12 gennaio 92, l’Alto consiglio di sicurezza annulla le elezioni legislative; 14 gennaio 92, prende il potere l’Alto Consiglio di Stato (HCE) presieduto da Mohammed Boudiaf, richiamato dal Marocco ove si era autoesiliato fino dal 1968; 4 marzo 92, l’ Alto consiglio di sicurezza annulla le elezioni legislative. Gli “afghani” cavalcarono la crisi sociale, antesignana delle primavere arabe del XXI secolo, rimpinguarono le fila dei Gruppi Islamici Armati (GIA) e misero a ferro e fuoco l’Algeria. 4 marzo 92, messa al bando del FIS; 15 luglio 92, Madani e Belhadj (n. 1 e n. 2 del FIS) condannati a dodici anni; 26 agosto 92, attentato all’aeroporto di Algeri: 9 morti, 128 feriti; 1 ottobre 92, promulgazione della legge antiterrorismo. Dopo un triennio terribile, contrassegnato da una serie interminabile di attentati, il 1° ottobre 92 viene promulgata la legge antiterrorismo

A questo punto fu chiaro ai gruppi armati che le cose in Algeria avevano subito un inatteso rallentamento e che le prospettive temporali per l’instaurazione di una repubblica islamica si dilatavano sensibilmente.

Molti di questi combattenti accorsero, allora, in soccorso dei “fratelli” bosniaci, nella loro lotta regionale. L’intera vicenda balcanica si era andata complicando parecchio a causa del fallimento dei tentativi di separare pacificamente popoli dalla convivenza problematica eppure spesso fortemente mescolati sul territorio. E’ risaputo che durante i fatti di Bosnia-Erzegovina erano presenti molte cellule di combattenti <algerini>. Come è altrettanto riscontrabile la decisione di alcuni di essi di stabilirsi alla fine della crisi in Bosnia, dove attualmente vivono da residenti.

E’ questo il quadro complessivo nel quale scoppiò la crisi bosniaca del 91/95, l’assedio di Sarajevo del 92/96 e l’atroce massacro di Srebrenica del luglio ’95, genocidio e crimine di guerra. La durezza del conflitto essenzialmente etnico, lo scontro serbo-croato e la resistenza contro la repressione serba da parte dei Kosovari albanesi, con tutto quello che ne conseguì, sono stati fenomeni i cui effetti resero ingestibile la situazione, anche in virtù dell’infiltrazione nell’area di componenti esterne ad alto potenziale destabilizzante, quali il terrorismo islamico in Bosnia-Erzegovina e la mafia russa in Montenegro. Si ha anche ragione di credere che attraversassero l’intera area, con complicità e connivenze anche visibili, le linee di rifornimento degli stupefacenti afghani trasportati via terra verso l’Europa.

La crisi bosniaca segnò l’esordio operativo della multinazionale del terrorismo islamico, una sorta di <Internazionale Islamista>, virtuale e mai proclamata, che, negli anni successivi, si è ricompattata diverse volte ed in varie parti del mondo arricchendosi di apporti di fuorusciti di tanti altri Paesi.

In prospettiva, la nascita di al Qaeda e Daesh.

La “prima guerra del Golfo, operazione “Desert Shield” (2 agosto 1990 – 28 febbraio 1991), la Guerra in Afghanistan, iniziata il 7 ottobre 2001 e tuttora in corso, e la Guerra d’Iraq (o seconda guerra del Golfo), dal 20 marzo 2003 al 15 dicembre 2011, non sono che ulteriori errori occidentali, che non hanno centrato gli obiettivi dichiarati, non hanno risolto nulla, spesso hanno peggiorato le cose, che le frange estreme dell’islamismo hanno saputo metabolizzare a proprio vantaggio nella vasta ed efficacissima opera di proselitismo nei confronti di masse disperate, rancorose verso l’occidente e schiavizzate dai rispettivi tiranni. Una micidiale tenaglia, la cui unica possibilità di fuga era costituita dall’esaltazione nella lotta in nome di Allah!

Un ultimo aspetto di questa storia, la radicazione dei vari rivoli del sostegno in Europa.

Le reti di sostegno in Europa alle azioni delle cellule islamiste non sono un’acquisizione recente. Sono molto più radicate di come si possa pensare, nel solco di vecchie linee di sostegno e approvvigionamento.

Per cercare di capire il fenomeno è utile rifarsi ancora una volta alla realtà algerina.

Gli analisti di buona memoria ricorderanno gli efferati eccidi di interi villaggi ad opera del GIA avvenuti in Algeria intorno alla metà degli anni ‘90. Fra i 300 ed i 500 morti per il massacro dell’intera popolazione di El Rais (Sidi Moussa) il 28/8/97; 200-300 morti ammazzati in vario modo nel massacro del 22/09/97 del piccolo centro di Benthala, a soli 10 Km da Algeri, da parte di un consistente gruppo armato (100 – 200 uomini ) che, dopo aver isolato il villaggio, procedette al sistematico massacro dei suoi abitanti. Questi studiosi ricorderanno anche un comunicato pubblicato a Londra da “El Ansar“, con il quale il GIA rivendicò la paternità dei massacri e profferì minacce alla Francia, genericamente all’ONU ed agli Stati Uniti. Rammenteranno anche che in quel periodo una certa superficialità degli analisti occidentali in concomitanza con l’abile regia dell’informazione islamista (segnatamente di quelle cellule aventi il compito di curare la comunicazione, d’influenzare le correnti di pensiero occidentali, di ricevere i finanziamenti, di acquistare e spedire in Algeria gli armamenti ed i materiali reperiti sul mercato dei saldi degli armamenti dell’ex URSS), contribuirono nel 1998 all’esercizio di pressioni internazionali contro il regime algerino con la diffusione dell’idea che si stesse combattendo una vera e propria “guerra civile”, anziché una rivolta armata, come in effetti fu, e inculcando il sospetto del coinvolgimento delle forze armate o di frange delle stesse nell’organizzazione ed esecuzione delle stragi. Tutto ciò mentre nel paese cresceva apertamente e a dismisura il sostegno alle forze politiche della maggioranza ed alle forze di sicurezza e si organizzavano gruppi di sorveglianza e autodifesa per quartiere e per ogni singolo edificio.

Fu di quello stesso periodo, con pubblicazione degli esiti su diversi giornali, sia filo governativi, sia neutrali e fondamentalmente liberi, l’iniziativa della stampa e dei servizi algerini, intesa a respingere le principali argomentazioni, puntando il dito contro l’Europa, centro nevralgico del traffico d’armi e di droga dei gruppi terroristici. Italia (comunità musulmana immigrata stimata all’epoca di 550.000 persone) sede dei traffici di Djamel Lounici che, facendo la spola con la Germania, teneva proficui contatti con diversi trafficanti d’armi, pagando il materiale con conti correnti attestati a Zurigo ed alimentati con bonifici provenienti dal Qatar e dall’Arabia Saudita. Dopo l’arresto di Djamel Lounici e lo smantellamento della sua rete, il GIA si sarebbe riorganizzato sovrapponendosi ad una rete specializzata nel contrabbando, all’interno della quale agivano membri della mafia polacca e russa, ed operante sull’asse Gdamsk-Hambourg-Bruxelles-Anversa. Questa organizzazione venne descritta molto simile ad una gang, dedita ai furti d’auto e alla rivendita d’armi provenienti dagli stock dell’ex-Germania dell’Est. Ulteriori rivelazioni riguardarono l’approvvigionamento nell’agosto 1993 di equipaggiamenti radio, informatici e per il puntamento all’infrarosso, forniti successivamente ai gruppi GIA alla macchia. Zona di operazioni di questa filiale, a partire dalla Svizzera. L’approvvigionamento veniva fatto nell’Europa dell’est, nella Repubblica Ceca, in Ungheria, in Slovacchia, in Svezia ed in Belgio. Il materiale era nascosto in tir generalmente condotti da ex detenuti comuni che assicuravano il viaggio verso l’Europa a bordo di carferrys. Si riferì circa indagini di polizia nel 1997 su un non meglio precisato cittadino italiano, vicino alla mafia siciliana, sospettato di essere un corriere d’armi per il GIA, e che avrebbero consentito di confermare l’esistenza di una relazione fra il GIA e la mafia siciliana. Il corriere avrebbe imbarcato il carico militare pervenuto dalla Romania e dalla Bulgaria a bordo di un peschereccio nella regione di Agrigento diretto verso l’Algeria, via Libia. Per i terroristi algerini la Francia sarebbe stata considerata molto più come luogo di transito che come centro di approvvigionamento. L’Ile-de-France era evidentemente essenziale all’interno del dispositivo del GIA, ma era a Marsiglia che le reti organizzative mettevano a punto il loro dispositivo finale di transito di materiale e di armi. Nell’Europa del sud, la Spagna venne presentata, dopo Marsiglia, la seconda porta d’ingresso della droga, dei prodotti contraffatti e del contrabbando, grazie ai quali gli islamisti generalmente finanziavano le loro attività. Parecchie società commerciali sarebbero state formate dal GIA a Valencia, Barcellona e Gibilterra. Ed è a partire da Barcellona che sarebbero state spedite armi dirette in Algeria. I servizi spagnoli, in collaborazione con i loro colleghi francesi, avrebbero neutralizzato nel marzo 1995 uno dei capi di questa organizzazione, Ahmed Ghenrit, rappresentante operativo del GIA per l’Europa. La Germania, Paese dove il traffico d’armi, di droga e di documenti falsi venne riportato come fiorente, sarebbe stata utilizzata dagli integralisti come retroguardia. I quattro figli di Abassi Madani, di cui due sono stati successivamente arrestati, hanno potuto lasciare l’Algeria solo grazie alla rete organizzativa creata in Germania. Per questo tipo di operazioni sarebbero stati messi in moto la solidarietà dell’organizzazione Mouaffak Fondation di Amburgo ed il Partito di liberazione islamica, con sede in Gran Bretagna, con base tedesca ancora ad Amburgo. I membri di questa fondazione si sarebbero presi cura dei figli di Madani nel quadro di un’operazione denominata “Madani”. Queste organizzazioni si procuravano le armi sul posto, grazie all’aiuto di qualche reduce dell’Armata Rossa datosi al contrabbando. Esse si approvvigionavano anche nei Paesi dell’est transitando attraverso la Svizzera, la Francia o il Belgio. All’interno della comunità musulmana di questo Paese sarebbero state presenti correnti islamiste fra le più radicali, rappresentate da numerose associazioni indipendenti, ma tutte create sotto la tutela della LIM (Lega Islamica Mondiale) saudita. E’ questa stessa LIM che all’inizio del 1990 avrebbe finanziato la costruzione del Centro Culturale islamico di Bruxelles. L’ex-FIS sarebbe riuscito a controllare questo centro e ad installare una rete di sostegno logistico alle proprie attività terroristiche in Algeria. Considerato all’inizio come un Paese di ripiego e di accoglienza, il Belgio sarebbe divenuto, dopo le pressioni esercitate dai servizi francesi sul GIA, una zona di transito e di collegamento fra le diverse reti del GIA e dei suoi trafficanti d’armi e di droga. Questi ultimi avevano quale obiettivo l’Ambasciata d’Algeria a Parigi ed altre Rappresentanze diplomatiche dei Paesi che sostenevano il governo algerino. In Gran Bretagna gli islamisti algerini avrebbero cominciato ad infiltrarsi sin dal 1991 con Mohamed Dmili, direttore della rivista El-Balagh, Rachid Ramdane, divenuto in seguito uno dei finanziatori del GIA, e Kamreddine Kherbane, denominato l’Afgano. Sotto la copertura dell’associazione Algerian Community in Great Britain (ACB), gli integralisti del FIS si sarebbero infiltrati all’interno della missione islamista del Regno Unito (UK Islamic Mission), una delle roccheforti della Djamaa islamia pakistana, creata nel 1963, con sede a Londra ed importanti ramificazioni a Birmingham. Ufficialmente ed apparentemente umanitaria, questa associazione avrebbe raccolto considerevoli fondi, creato scuole, fatto propaganda all’uscita dei luoghi di culto e pubblicato riviste. La sua missione consisteva molto spesso nell’organizzare conferenze tenute da militanti dell’ex-FIS che si esprimevano in nome dell’ACB. Questo Paese, molto tollerante, “troppo” secondo gli analisti algerini del ’98, sarebbe stato trasformato in centro di propaganda e di raccolta fondi; d’altronde, è a Londra che sarebbe stato aperto il più importante conto bancario del GIA. I tentacoli della piovra integralista avrebbero raggiunto anche la Bosnia, divenuta una retroguardia del reclutamento e dell’addestramento. In Albania il GIA avrebbe reperito un ottimo mercato per l’acquisto di armi di molti tipi, sia a causa della permeabilità delle frontiere, sia per l’esistenza di una potente mafia locale. La sua capitale sarebbe divenuta zona di transito per gli Afghani di Bosnia in direzione di altri Paesi ove esistevano situazioni di conflitto, fra cui l’Algeria. Le accuse più ricorrenti e risentite furono rivolte al Regno Unito che, se da un lato chiudeva un occhio, e spesso entrambi, sulle attività criminali delle cellule dei gruppi armati sul proprio territorio, dall’altro rifiutava di fornire in qualsiasi forma ed in qualunque foro informazioni sui terroristi algerini. Si asseriva con forza che i servizi segreti britannici fossero in Europa quelli meglio informati sulla situazione in Algeria, poiché, all’epoca in cui l’Occidente reclutava giovani musulmani per combattere l’esercito sovietico in Afghanistan, hanno a lungo controllato le reti integraliste. Venne raccontato come i giovani algerini transitati per l’ufficio di Londra avessero riferito che, prima di partire per Peshawar, erano presi in consegna da ufficiali britannici. Si era pertanto sicuri che questi servizi fossero in possesso di una banca dati su tutte le reti transitate via Londra e conoscessero perfettamente coloro che agivano in favore dei terroristi algerini, tunisini ed egiziani.

Sono state sin qui citate solo alcune delle linee di rifornimento e di sostegno degli anni ’90. Si consideri che esse non sono mai state smantellate; qualche cattura qua e la (più occasionale che frutto di sistematico contrasto), ma niente di più! Questa struttura, anzi questa rete, si è ulteriormente ramificata e perfezionata, oggi, con i nuovi ausili per le comunicazioni, con il perdurante finanziamento dell’Arabia Saudita e con la leadership di Oussama Ben Laden e Abū Bakr al-Baghdādī.

Ma di che cosa ci meravigliamo?

Una controprova? Si consideri il caso di Norbert Feher “il serbo”, alias “Igor il russo”. Braccato dal 1° aprile da ingenti forze di polizia e dal capitano del “Tuscania” Stefano Biasone: qualche traccia organica, ma di lui neppure l’ombra. Non si sopravvive alla macchia per più di venti giorni in una zona sprovvista di ricoveri naturali senza l’aiuto di una rete di supporto. E di che natura e colorazione è questa rete?

Enrico La Rosa