Recensione di Anna La Rosa
AL – Proprio oggi, giornata in cui il mondo ricorda la nascita di Henry Dunant (8 maggio 1828), fondatore della Croce Rossa, ecco la recensione di un libro di testimonianza e di denuncia. Oggi quindi, con il romanzo “La conchiglia” di Mustafa Khalifa, ricordiamo quei vulnerabili che colpirono Henry Dunant durante la battaglia di Solferino e che lo portarono, per tutta la vita, a rincorrere un sogno di pace e di fraternità tra i popoli. Purtroppo, l’uomo ha continuato, e continua, a creare orrori. Con la sintetica recensione dell’emozionante ed intenso libro di Mustafa Khalifa ricordiamo le tante vittime senza voce e rendiamo omaggio a chi affida ad ognuno di noi, alla storia, il coraggio di una testimonianza
L’autore, Mustafa Khalifa, ci offre una preziosa testimonianza. Quella di chi ha sperimentato l’ingiusta prigionia, la tortura fisica e psicologica, messa in pratica da un regime dittatoriale che si esprime attraverso la violenza.
Non è quindi un romanzo fatto di fantasia ed immaginazione e la crudeltà e la violenza che leggerete non sono le finzioni a cui ci hanno abituati film e serie televisive, ma azioni subite e praticate realmente da persone vere.
Non c’è lieto fine per chi sopravvive all’orrore, non c’è salvezza per chi dall’orrore riesce a tornare.
Con un linguaggio semplice e asciutto, l’autore riesce a portarvi nei luoghi descritti, vicino al protagonista: vedrete così ciò che lui guarda, rimarrete sconvolti di fronte alla crudeltà, vi assaliranno il disgusto, la commozione, la solitudine, lo smarrimento.
Sarete confusi e indignati quando vi preleveranno dall’aeroporto, appena tornati in Patria, e senza darvi alcuna spiegazione vi porteranno presso una sede dei servizi segreti. Attraversando quei corridoi percepirete un odore particolare ed imparerete a riconoscere il “lezzo della crudeltà”.
Confusione ed indignazione lasceranno presto il posto alla disperazione, allo smarrimento e al dolore con le prime torture e la scoperta di essere stato arrestato come militante dei fratelli musulmani. A nulla servirà dire di essere di religione cristiana e, quindi, estraneo all’estremismo religioso musulmano. Anzi, questa rivelazione cucirà addosso al protagonista una etichetta indelebile per moltissimo tempo, anni, e sarà la causa del suo isolamento. Un dramma nel dramma, una prigione nella prigione. L’aver dichiarato di essere cristiano porterà gli altri prigionieri a guardarlo con diffidenza e sospetto, ad isolarlo brutalmente, persino a minacciare la sua vita. Così, per sopravvivere alle continue torture e alla solitudine, il protagonista costruirà attorno a sé una conchiglia protettiva in cui rifugiarsi e dalla quale osservare il mondo.
Nella Prigione del deserto, a Tadmur, trascorreranno dodici anni e, nel piccolo mondo contenuto nello spazio di una cella di pochi metri, viene descritta l’umanità con le proprie emozioni messe a nudo: i gesti meschini, la paura, la viltà, ma anche la grandezza degli esseri umani, capaci di grandi gesti di coraggio, di compassione, di solidarietà e di amore anche in mezzo alla morte e all’orrore.
L’autore vi porterà attraverso un viaggio fatto da un caleidoscopio di emozioni che vi travolgeranno e, forse, come è accaduto a me, alla fine del libro rimarrete interdetti e stravolti al pensiero dell’orrore che – ancora oggi – gli esseri umani sono capaci di immaginare e di agire nei confronti del prossimo.
È un libro da leggere che racchiude la bellezza e la crudeltà di cui è capace l’uomo. È una testimonianza da ascoltare con attenzione di cui Mustafa Khalifa ci fa dono
Anna La Rosa