di Luigi R. Maccagnani
Il Ministro degli Affari Esteri, Enzo Moavero Milanesi, in un colloquio telefonico con il rappresentante ONU per la Libia, Ghassan Salameh, ribadisce il pieno supporto italiano alle “legittime” Istituzioni libiche, ed al “Piano d’Azione” della Nazioni Unite; rimarrà in contatto. (https://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/conversazione-telefonica-del-ministro-moavero-milanesi-con-il-rappresentante-speciale-del-segretario-generale-onu-per-la-libia-ghassan-salameh.html)
Vengono spontanee due domande ed una riflessione:
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Istituzioni Libiche “legittimate” da chi? Non da una volontà popolare, ricordiamo che alle prime elezioni in 42 anni, nel 2012, partecipò più dell’80% degli aventi diritto, esprimendo una volontà chiarissima per una svolta democratica ed eleggendo un parlamento e di conseguenza un governo, seppur “di transizione”. Nonostante le reiterate richieste di aiuti e supporto alla comunità internazionale, nulla fu offerto anzi, la prima cosa fu istituire un embargo totale sulle armi, quindi anche al governo –allora sì legittimo- e lasciando armate fino ai denti le varie milizie e bande che avevano saccheggiato i depositi di Gheddafi. In un contesto di deteriorata sicurezza, le successive elezioni del 2014 videro un’affluenza limitata ad 1/4 degli iscritti del 2012, ma con risultati coerenti con quelle elezioni con una chiara prevalenza di nazionalisti e liberali nel nuovo parlamento, House of Representative (HoR), ora con sede a Tobruk.
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Qual è il “Piano d’Azione” ONU? Con guida ONU, venne firmato a dicembre del 2015 un Accordo Politico (Libyan Political Accord), con la costituzione di un Consiglio Presidenziale (Presidential Council – PC), con l’onere di nominarne il Presidente e al contempo di formare un Esercito Nazionale. Il Consiglio di Sicurezza ONU ratificò l’accordo riconoscendo come “legittimo” il risultante Governo di Unità Nazionale (GNA- Government of National Accord). Il Presidente Fayez al-Sarraj ed i membri del Consiglio sono stati nominati il 30 marzo 2016. È un dato di fatto che LPA-PC-GNA ed il presidente al-Sarraj non hanno mai avuto il controllo – senza parlare delle ultime settimane- neanche della zona di Tripoli, dove per diversi mesi al-Sarraj stesso era “confinato” all’interno della base navale di Abu Setta. Ok, questi i fatti, ma il piano?
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La riflessione che viene alla mente. Consideriamo le date: 2012, 2014, 2016, 2018.
2012: a pochi mesi dalla morte di Gheddafi si tengono le prime elezioni, entusiasmo dei più di sei milioni di cittadini, grande concorso alla svolta del paese; il governo di transizione si rivolge insistentemente al mondo internazionale per aiuto ed assistenza – che si limita a sanzioni ed embargo e chiacchere. L’Italia?
2014: già dall’estate 2013 iniziano problemi di sicurezza, le varie milizie rifiutano di integrarsi nel nuovo sistema politico e continuano a combattersi come iene per contendersi le spoglie del Paese. Sempre a distanza il mondo internazionale. A livello politico, le fazioni islamiche rifiutano di accettare l’indirizzo laico emerso dalle elezioni 2012 (forse con qualche aiuto esterno). Si cerca conferma con le nuove elezioni del ‘14. L’Italia si tiene informata.
2016: Dalle nuove elezioni esce un parlamento debole, HoR, ma sempre di indirizzo laico; la minoritaria fazione islamica (Fratelli Mussulmani, Justice and Construction Party) contesta i risultati e si autonomina nuovo congresso con sede a Tripoli. Le Nazioni Unite si attivano per cercare un compromesso tra le parti. Le milizie, ormai in mano ad effettivi war lords, continuano i loro traffici. Da notare che fino al marzo 2016 il parlamento di Tobruk – HoR- viene formalmente chiamato “internazionalmente riconosciuto”. Per tutto questo periodo l’Italia è alla finestra.
2018: La situazione in Libia si fa sempre più pesante, si acutizza la dicotomia Tripolitania-Cirenaica, prende più rilievo il Gen. Haftar (referente HoR), al-Sarraj fatica sempre più a controllare la situazione in Tripolitania, con le milizie “formalmente” di area GNA, quindi in teoria dipendenti dal PC, cominciano a bisticciare per i profitti – da attività lecite e non, tra cui migranti e “sicurezza” installazioni petrolifere.
A livello internazionale si evidenzia sempre più la dicotomia Est-Ovest, con molte delle responsabilità imputate al Gen. Haftar, mentre l’Italia cerca di contenere l’arrivo di migranti attraverso il mediterraneo la cui partenza è prevalentemente dalla zona di Tripoli.
Nel luglio 2017, la Francia cerca di facilitare un avvicinamento tra Est-Ovest organizzando a Parigi un incontro tra al-Sarraj e Haftar, presente il responsabile ONU per la Libia, Ghassan Salameh. L’incontro ha prodotto una dichiarazione congiunta in cui i due annunciavano un accordo per tenere nuove elezioni entro il 2018, evitare l’uso della forza e continuare a perseguire una soluzione politica. Di fatto, al di là delle elezioni, ora fissate per il 10 dicembre prossimo, poco è cambiato in Libia.
La Francia ha comunque dato seguito con una nuova iniziativa, invitando a fine maggio di quest’anno un gruppo ben più ampio: oltre ad al-Sarraj ed Haftar, anche il presidente del parlamento eletto – HoR, Aguila Saleh, il presidente del Supremo Consiglio di Stato, Khaled al-Mishri (di area islamica), ovviamente presente anche Ghassan Salameh. Poi diverse organizzazioni, tra cui Unione Europea, Unione Africana, Lega Araba e diplomatici di diversi paesi tra cui i rappresentanti di quattro nazioni presenti nel Consiglio di Sicurezza ONU – Russia, USA, UK e –ovviamente- la Francia stessa.
Questo secondo incontro non si è concluso con una dichiarazione firmata dalle diverse parti, in particolare Haftar e al-Mishri hanno reciprocamente disconosciuto la loro legittimazione. Tuttavia, tutte le parti si sono impegnate – come ha sottolineato il responsabile ONU Ghassan Salameh, a collaborare ad uno svolgimento regolare delle elezioni prossime ed a rispettarne l’esito.
Conclusioni.
I fatti di Tripoli degli ultimi giorni – ritengo plausibile siano una guerra interna tra le milizie di riferimento nella città e quindi GNA, motivo ripartizione dei profitti, ma anche segno di un eclatante fallimento di al-Sarraj e del President Council. Le principali milizie sono la TRB (Tripoli Revolutionary Battalion), la Abu Salim Central Security, il Nawasi Batt. (8th Force) e la SDF (Special Deterrence Forces), poi la 7ma Brigata di Tarhuna, anche lei fino a poco fa affiliata formalmente al GNA, poi allontanatasi ed ora in cerca di conquistare Tripoli (si ricorda che Tarhuna è un quartiere a sud di Tripoli); resta difficile immaginare un ruolo, per questo caso specifico, del Gen. Haftar.
Nella quasi totalità dei media italiani viene prospettato che l’origine di tutti i mali della Libia sia di responsabilità francese, in primis Sarkosy, poi Macron. Il primo per aver dato inizio all’intervento decisivo per la vittoria su Gheddafi, implicitamente rimpiangendo il suo regime, ma basta aver frequentato la Libia negli ultimi anni prima della rivoluzione del 2011 per sapere che la popolazione libica, prevalentemente giovane, non ne poteva più del “Rais”. Il secondo per il suo interventismo “a gamba tesa”, con particolare riferimento ai due eventi di cui sopra. Ma, in termini calcistici, l’intervento a gamba tesa non è modo violento per bloccare l’avversario in possesso di palla in area? Ma noi eravamo in panchina!
Cosa si può fare per dare qualche speranza alla Libia?
Luigi R. Maccagnani