di Guido Monno
“in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati” (legge n. 211 del 20 luglio 2000)
La memoria di una vergogna collettiva dell’Europa, che sempre più spesso sta dimenticando gli insegnamenti della storia.
Ed appunto perché li dimentichiamo, tendiamo a focalizzare sul mondo arabo un concetto di antisemitismo che lì non è mai esistito; Maimonides era il medico personale di Salah ad Din; le comunità ebraiche scappate dalla Spagna a seguito dell’editto di Granada emesso da Ferdinando II d’Aragona ed Isabella di Castilla del 1492 emigrarono sopratutto in Nord Africa e Turchia ove furono ben accolte e prosperarono; le comunità ebraiche in Medio Oriente sono vissute in pace sino alla nascita dello Stato d’Israele.
In Europa, al contrario, l’Ebreo è sempre stato considerato un diverso ed un nemico; frutto probabilmente di quell’accusa di Deicidio, formulata da Leone I Magno a metà del V secolo e dell’esecuzione di attività quali quella del prestito, considerate negative in epoche medioevali e non permesse ai cristiani. Sta di fatto che l’antisemitismo è un sentimento nato e vissuto ed espansosi in Europa.
Nel giorno della memoria intendiamo ricordare quei milioni di Ebrei, zingari, e “diversi” trucidati dopo una lenta e lunga distruzione nell’animo e nel fisico attraverso la Soluzione Finale ideata da alcune delle menti più contorte del regime nazista.
Una vergogna cominciata già il 28 febbraio 1933 con il decreto firmato dal presidente dello stato tedesco, Paul von Hindemburg,per la “Protezione della popolazione e dello stato”, conseguente all’incendio del Reichstag avvenuto l’8 febbraio 1933.
Poco importava chi avesse realmente progettato l’incendio, al di là di colui identificato come il colpevole, Marinus van der Lubbe.
Era invece importante che le garanzie fondamentali dei cittadini tedeschi venissero vanificate in nome della sicurezza dello Stato.
I cittadini accettarono tale sospensione delle proprie garanzie, preda come sempre di paure non spiegabili razionalmente, ma che in periodi soprattutto di crisi economica ci spingono a rinunziare ai diritti in nome di una protezione contro un Nemico, che si individua facilmente nel diverso.
Diverso da chi o da cosa, non è identificabile con certezza, in quanto a questo provvede di solito una struttura ben organizzata e capace di una manipolazione della paura, capace di materializzare il Nemico che sentiamo essere responsabile della nostra situazione; perché per forza ci deve essere un nemico, cui addebitare le nostre disgrazie o semplicemente paure.
Il nemico fu subito individuato all’epoca negli Ebrei, individuati già nel 1920 al punto 4 del programma del partito Nazista(1), quali non cittadini tedeschi, in quanto non di sangue tedesco – come se i globuli rossi e bianchi ed il plasma parlassero la lingua di Goethe – per proseguire nei punti 6, 8 e 23 che rispettivamente prevedevano l’esclusione degli Ebrei dagli uffici pubblici, la deportazione delle persone di provenienza straniera (e numerosi Ebrei erano considerati tali) per finire con la proibizione dell’esercizio del giornalismo.
Con l’avvento del regime nazista i punti programmatici diventarono realtà e nel 1933 quasi 40.000 dei 537.000 Ebrei tedeschi lasciarono la Germania(2).
Perché il resto non lo fece? Spesso la risposta è quella più semplice; perché si consideravano tedeschi ed era per loro impensabile essere considerati qualcosa di diverso da ciò.
La soluzione che prevedeva l’eliminazione degli Ebrei venne attuata attraverso due distinte politiche: la prima dal 1933 al 1940, attraverso l’emigrazione e la seconda dal 1941 al 1945 che ne prevedeva l’eliminazione, come spiega Raul Hilberg in ”La distruzione degli Ebrei d’Europa” (pag.52).
Noi conosciamo oggi – se li conosciamo in quanto se ne parla solo occasionalmente ed in occasioni quali la giornata che si è celebrata – i campi di concentramento.
Dall’istituzione del primo a Dachau, 22 marzo 1933, ai successivi Esterwengen, Sachsenhausen e Buchenwald, nel 1934, 1936 e 1937, sino agli otto campi speciali (KL Konzentarationlager) di Maly Trostinec, Jungfernof, Chelmno, Belzec, Sobibor, Treblinka, Majdanek ed Auschwitz, istituiti per ottenere l’eliminazione rapida ed immediata di Ebrei selezionati, di alcune tribù di zingari e di prigionieri di guerra russi e slavi selezionati, numerosissimi sono stati i luoghi ove veniva portato a termine l’aberrazione e la distruzione del concetto di umanità (3).
Ma poco conosciamo del come ci sia arrivati, quale sia stato il percorso che è passato silenziosamente ed a piccoli passi nelle coscienze di gran parte di cittadini europei tali da renderli indifferenti al dramma umano che si stava svolgendo intorno a loro.
Agli Ebrei erano associali tutti quelli chiamati “Untermenschen”, i sotto umani, cui non era concesso di essere parte dell’umanità; zingari, sessualmente diversi, oppositori politici e chiunque fosse il diverso.
La rabbia e la cultura antiebraica non si sono manifestati solo in Germania nel periodo che va dal 1930 al 1945, innestandosi spesso su radici culturali che vedevano nell’ebreo il nemico, qualunque cosa esso significasse.
E per un re, Cristiano X di Danimarca, che durante l’occupazione nazista si opponeva con tutta la sua forza morale alla deportazione della sua piccola popolazione ebraica, tanto da far sorgere la leggenda che girasse con una stella di Davide al Braccio, tanti altri governanti, seguiti dalle popolazioni, hanno seguito il facile approccio nazista.
L’Italia non ne è stata esclusa: diverse sono le stime; secondo Ottolenghi ne sono stati presenti 96, mentre altre fonti (http://www.lager.it/campi_concentramento_italiani.html) parlano di 40.
Per non parlare di quelli che hanno ospitato gli slavi, gli abitanti di etnia slava sia delle zone occupate dall’Italia in quella sciagurata guerra, sia di quelle zone annesse all’Italia dopo la prima guerra mondiale , che di quelle occupate a seguito del crollo del regno Iugoslavo,colpevoli solo di opporsi ad una italianizzazione e fascistizzazione forzata; ma questa è un’altra storia di cui poco si parla.
Pochi conoscono i nomi di Fossoli (Modena), Di Bolzano (Gries) e di Trieste (San Saba); sono i tre campi di internamento e transito dei convogli, ove le condizioni di vita sono disumane e la morte spesso una liberazione.
Ove non solo transitavano gli Ebrei, ma anche coloro che combatterono contro l’ideologia e la struttura militare nazista.
Una visita nella Risiera di San Saba a Trieste, lasciata come monumento e monito alle generazioni future, lascia una traccia molto forte nel visitatore, come altrettanto ne lascia la visione dei documentari girati dalle truppe inglesi dopo l’occupazione del campo di Bergen Belsen e visibili presso l’Imperial War Museum in Londra.
La tragedia della guerra, ma soprattutto la follia della superiorità della razza, ha portato alla luce la parte più meschina e debole, dell’essere umano, quella che non gli ha consentito, se non in rari casi, di ergersi contro l’immane stupro all’umanità che si stava perpetrando.
La memoria è facile a dimenticarsi ed è semplice cadere nella commemorazione retorica che non suscita un profondo sentimento di ricerca del perché si sia arrivati a tanto.
La memoria dovrebbe servire affinché nessuno ripeta più gli stessi errori, che invece si ripetono continuamente, soprattutto per ignavia o pressappochismo o non capacità di comprendere egli eventi che stanno cambiando la nostra vita, distratti come siamo dall’effimero.
La Banalità del Male, lo splendido lavoro di Hanna Arendt sul perché sia potuta avvenire una simile tragedia, redatto durante il processo ad Adolf Eichmann, uno dei “Ragionieri” della soluzione finale, ci mostra impietosamente quanto possiamo esser deboli quando viviamo senza porci domande, senza cercare di crescere, non economicamente o socialmente, ma all’interno del nostro essere umani.
Rimando, per chi avesse voglia di leggerla, alla lettura della intervista all’uomo che materialmente impiccò Adolf Eichmann per comprendere il significato di approfondire le proprie emozioni: shttp://www.corriere.it/cultura/11_marzo_21/battistini-giustiziato-eichmann_15669446-539c-11e0-9775-d7937a6c081d.shtml
Il lavoro della Arendt scava molto in profondità, anche all’interno della stesa società ebraica, cerca di dare una risposta anche perché tante persone siano morte senza lottare, preda di forze più grandi di loro.
Ed è proprio questo il significato di questa giornata.
Lottare tutti insieme perché certe cose non accadano più; ma da prima che accadano, perché una volta che l’onda di piena del sentimento non razionale e logico comincia a travolgere le nostre esistenze, è molto difficile rimanere isolati nel contesto di follia generale che diventa norma comune.
Ed anche girandoci attorno, nel mondo attuale, notiamo come siamo sordi alle sofferenze di popolazioni intere,che non appartengono a quello che reputiamo essere il “nostro mondo” trovando spesso qualsiasi appiglio per giustificare ai nostri occhi le altrui sofferenze.
Perché non si ripeta più, diciamo oggi; mentre attorno a noi sta succedendo, nella nostra indifferenza.
(1) – denominazione abbreviata di Nazionalsozialistische Deutsche Arbeiter Partei (partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi.
(2) – Erica A. Johnson-Il Terrore Nazista- Mondadori 2001, pag.97
(3) – Gustavo Ottolenghi-La Mappa dell’Inferno- Sugarco edizioni1993