Qualche annotazione di carattere storico e giuridico
dalla Redazione
Rifacendoci al noto <Glossario di Diritto del Mare>, scritto dall’Amm. Fabio Caffio, arrivato alla III edizione del maggio 2007 e scaricabile dal sito della nostra Marina (http://www.marina.difesa.it/documentazione/editoria/marivista/Documents/Glossario2007.pdf), secondo il diritto internazionale il Golfo Persico rientra nella categoria dei mari chiusi. E’ delimitato dalle coste di Oman, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar, Bahrain, Kuwait, Iraq e Iran ed è parte dell’Oceano Indiano. Sono operanti accordi di delimitazione della piattaforma continentale tra Iran e Arabia Saudita (1969), Qatar (1970), Bahrain (1972), Dubai (1974) e Oman (1975). Ancora irrisolta la posizione del confine marittimo tra Iran e Iraq nella zona dello Shatt al Arab, origine della guerra tra i due Paesi (1980/88). Il possesso di alcune isole del Golfo sono oggetto di disputa tra Iraq e Kuwait e tra Iran e Arabia Saudita. Le linee di base del Golfo, tracciate dall’Iran nel 1973, non sono riconosciute dagli USA, che hanno formalmente protestato nel 1994. La nuova denominazione di <Golfo Arabico> non è riconosciuta dalle Nazioni Unite.
Il collegamento del Golfo all’Oceano Indiano avviene attraverso Hormuz, stretto internazionale che prende il nome da un’isoletta iraniana nei suoi pressi, e, in quanto tale, soggetto al “regime del passaggio in transito”. La sua ampiezza, nel punto più stretto, che è interamente ricoperto dalle acque territoriali di Iran e Oman, è di 21 miglia: al suo interno vi è uno schema di separazione del traffico costituito da due canali di traffico larghi ciascuno 1 miglio, ricadenti rispettivamente nelle acque territoriali dei due Paesi, separati da una buffer zone di 2 miglia. posta a cavallo della mediana.
Andando nel dettaglio, l’Iran, nel firmare la Convenzione di Montego Bay del 1982, ha dichiarato di ritenere che il diritto di passaggio nello Stretto possa essere esercitato soltanto dalle Nazioni che hanno aderito alla Convenzione. Questa posizione non è accettata dagli Stati Uniti, quale Stato che non è ancora parte della stessa, ritenendo infatti che il regime del passaggio in transito regolamentato dalla Convenzione non abbia valore «contrattuale», ma rappresenti la codificazione della prassi consuetudinaria. In aggiunta, l’Iran ha preteso di imporre la sospensione del transito nella parte dello Stretto rientrante nelle proprie acque territoriali dichiarate «war zone» durante la crisi del Golfo nel 1987, motivandola con la necessità di dover svolgere esercitazioni militari. L’ipotesi che il transito possa essere interdetto è stata successivamente indicata dall’Iran come una opzione militare da adottare in caso di minaccia alla propria sicurezza.
Il mantenimento della libertà di navigazione nello Stretto di Hormuz è vitale per l’approvvigionamento energetico dei Paesi occidentali: si calcola che circa il 25 % delle esportazioni mondiali di petrolio lo attraversi, circa il 75% del fabbisogno del Giappone. Il transito giornaliero è stimato in 15 milioni di barili. Vie alternative di trasporto degli idrocarburi sono rappresentate dall’oleodotto che attraversa l’Arabia Saudita da Abqaiq a Yanbu in Mar Rosso o da quello che, passando per l’Iraq, raggiunge il Mar Nero a Ceyhan in Turchia.
Ma quello degli oleodotti e gasdotti esistenti, in costruzione e pianificati è un altro complesso capitolo della politica internazionale, con forte ricadute sul Mediterraneo, sul quale si soffermeranno prossimamente gli strumenti di OMeGA.