Sabra e Chatila, una strage annunciata e impunita

di Guido Monno

Il 16 ottobre 2012 saranno trascorsi trent’anni dall’inizio di quella che venne chiamata la strage di Sabra e Chatila.

In quanti lo ricordano?
i primi giornalisti che la mattina del 18 settembre 1982 si recarono al campo di Shatila, fra cui Robert Fisk[1], ricordano la visione con una parola ricorrente. Massacro.

Un massacro all’interno di una feroce guerra che vedeva impegnati diversi protagonisti, fra cui le varie fazioni Libanesi, l’esercito Israeliano che aveva invaso il Libano nella speranza di distruggere per sempre l’O.L.P.[2], la stessa O.L.P., le forze armate Siriane presenti in Libano ed infine gli innocenti, la popolazione civile Libanese e quella Palestinese accampata in condizioni di mera sopravvivenza nei campi profughi, una guerra con livelli di violenza e disumanità difficilmente riscontrabili in precedenza.
Ma la parola che tutti i giornalisti occidentali usarono, fu una: Massacro.

Quando un numero elevato, mai accertato, e stimato fra i 350 ed i tremilacinquecento civili, disarmati, costituiti prevalentemente da neonati, bambini, donne e vecchi viene trucidata nella maniera più orrenda possibile e gli stessi cadaveri non vengono risparmiati a successive umiliazioni, solo la parola Massacro può render l’idea di un simile comportamento.
Il semplice fatto che la discordanza del numero sia così alta indica che gran parte dei cadaveri non sono mai stati trovati, supremo oltraggio alla memoria delle vittime.
Massacro che molti definirebbero bestiale, ma che in un caso del genere costituisce un termine blasfemo paragonato alle bestie che raramente raggiungono il grado di volontaria degradazione propria dell’esser umano.

Chi erano gli autori del massacro?
Ufficialmente i miliziani Libanesi cristiani della Falange, una formazione paramilitare fedele alla famiglia Gemayel.

il motivo?
La ritorsione per l’attentato a mezzo di una bomba che il precedente 14 settembre aveva portato alla morte di Bashir Gemayel, presidente della repubblica Libanese; attentato portato a termine da Habib Tanious Shartouni, membro della intelligence Siriana[3].
Ma chi avesse portato a termine l’attentato e quali ne fossero gli scopi, non interessavano a chi vedeva nei Palestinesi la sorgente di tutti i mali; ovverosia la milizia cristiano falangista ed il governo Israeliano.
E si sa, il bambino di oggi può essere il terrorista di domani e le donne possono partorire bambini che a loro volta possono diventare terroristi.
Logica aberrante, ma non nuova nella storia mondiale, sopratutto da parte di chi si ritiene contiguo ad un Dio ed esecutore delle sue volontà, scusa facile ed opportuna per fare i propri bassi interessi.

Perché il governo Israeliano?
Perché quel giorno e nei giorni precedenti, il Libano e Beirut, erano sotto il controllo dell’esercito israeliano che aveva invaso il Libano per cercare di eliminare, anche fisicamente il problema O.L.P.. ; illusione perché il Libano è stato ancora più volte invaso, sempre per distruggere un qualche nemico e sempre con pessimi risultati.
Conseguentemente ad un tentativo di uccidere l’ambasciatore israeliano a Londra, Shlomo Argov, il 3 giugno 1982 da parte di un gruppo appartenente alla fazione di Abu Nidal – un palestinese ambiguo già espulso dall’O.L.P. ed in forte contrasto con lo stesso, autore dell’omicidio di diversi esponenti dell’O.L.P., disposto a vendere i suoi servigi al miglior offerente e reputato da alcuni autori anche Israeliani come manipolato servizi segreti Israeliani – il governo Israeliano, allora guidato da Menachem Begin e con Ministro della Difesa Ariel Sharon, decise di invader il Libano e cancellare la minaccia del’O.L.P. in particolare da Beirut, ove aveva sede il comando principale della stessa Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
Il pretesto atteso a lungo era arrivato; e di pretesto si tratta in quanto già prima dell’attentato , nel gennaio 1982, Sharon e Gemayel si erano incontrati per stabilire una serie di accordi e Sharon aveva dichiarato che stava solo aspettando un pretesto per invadere il Libano[4].
Dietro questa iniziativa vi era in realtà la speranza di costituire un asse privilegiato con i il partito falangista Libanese, allora al potere tramite Bashir Gemayel eletto Presidente della Repubblica, e fare in modo che il Libano diventasse uno stato vassallo di Israele, cosa che non accadde in quanto lo stesso Gemayel, in una riunione con Begin il 1 settembre 1982, rifiutò di sottoscrivere un accordo che avrebbe di fatto reso possibile l’idea del Primo Ministro Israeliano.

Il motivo?
probabilmente voleva rappresentare il Libano e non una parte del Libano, neanche maggioritaria ed una sua accettazione del trattato avrebbe comportato quasi sicuramente la sua fine di uomo politico.
Come scrive Shlomo Ben -Ami “ non volle (Gemayel, ndr) concludere la pace con lo stato ebraico spezzando a suo favore il delicato equilibrio di un paese diviso fra eredità cristiana e lealtà verso il mondo arabo[5].
Ma, prima di questa data, in giugno, le forze armate Israeliane, penetrate in Libano come detto dopo l’attentato di Londra, erano arrivate a Beirut, circondandola.
Un intervento statunitense a mezzo del mediatore Habib aveva permesso la non distruzione di Beirut ed uno scontro militare in cui indubbiamente Tsahal ne sarebbe uscita vittoriosa ma a caro prezzo e con la distruzione della città; il combattimento nei centri abitati comporta sempre un alto numero di vittime sia fra i combattenti che fra la popolazione civile.
Scrive Baruch Kimmerling “il 20 agosto gli Stati Uniti inviarono all’O.L.P. un promemoria che prevedeva il seguente impegno: i Palestinesi non combattenti, rispettosi della legge, che siano rimasti a Beirut, comprese le famiglie di coloro che hanno abbandonato la città, avranno diritto ad una vita tranquilla e sicura”[6].

 L’evacuazione di 14.398 membri dell’O.L.P. e della leadership dell’O.L.P. cominciò il 21 agosto 1982.
Partirono forti anche dell’accordo citato che prevedeva la sicurezza dei Palestinesi rimasti; in pratica quelli che vengono chiamati i civili e che nell’occasione erano in maggioranza neonati, bambini, donne e vecchi.
Ma, si dirà, cosa c’entra l’esercito Israeliano se il massacro è stato compiuto dai falangisti, ovverosia la milizia paramilitare del partito Falangista?
L’esercito Israeliano circondava anche i campi di Sabra e Chatila, a Beirut Ovest, quando gli accordi sottoscritti per l’evacuazione dell’ O.L.P. non parlavano dell’occupazione di Beirut Ovest e garantivano la sicurezza dei Palestinesi rimasti.
Non sarebbe e stato possibile condurre un’operazione di Massacro, quale fu fatta, senza il loro consenso e complicità.
Quello che è stato raccolto e provato è che tanti sapevano cosa sarebbe successo prima ed hanno avuto chiara l’idea di quello che stava succedendo; ma nessuno è intervenuto.

Scrisse Robert Fisk sul Times. “ l’esercito israeliano non solo non ignorava la presenza dei miliziani di destra durante il massacro dei Palestinesi avvenuto la settimana scorsa a Shatila, ma in realtà giovedì scorso aveva trasportato diverse centinaia di uomini del maggiore Saad Haddad dal sud del Libano a Beirut e permesso alle milizie di controllare l’accesso al campo per diverse ore prima che cominciassero le uccisioni” [7].
Nel libro di Fisk, da cui ho tratto questa frase, sono citate tutte le altre testimonianze che hanno poi permesso di appurare la verità, verità mai trascinata in qualche aula di tribunale, nonostante anche le dichiarazioni di giornalisti e militari Israeliani.
In Israele fu solo nominata una commissione d’inchiesta – sull’onda di una opinione pubblica indignata che il 25 settembre radunò 400.000 Israeliani a Tel Aviv per chiedere la verità sui fatti,[8] – detta Kahan dal nome del presidente della Corte Suprema che la presiedette.
L ’8 febbraio 1983 dichiarò essere responsabili dell’eccidio i falangisti, con alcune responsabilità ripartite a livello politico e militare Israeliano, ma non tali da compromettere il futuro di persone, quali Ariel Sharon che sarebbe più tardi diventato Primo Ministro di Israele.

L’intero report della commissione Kahan può essere letto al seguente indirizzo :
http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/History/kahan.html ” .
ed è interessante notare come la parola Palestinesi non compaia all’interno del report della commissione, che parla di fatti avvenuti nei campi di rifugiati; quei rifugiati erano Palestinesi, ma forse all’epoca era politicamente imbarazzante usare tale termine.

Mancano pochi mesi al compimento dei trenta anni da quella strage; e se ne è persa la memoria in un mondo occidentale troppo occupato a gettare uno sguardo superficiale sulle altre parti del mondo, per comprendere i drammi di un popolo, quale quello Palestinese, a lungo considerato un non popolo.
Un dramma che continua ancora ora.
Una strage assurda, in cui numerosi superstiti non hanno avuto nemmeno un cadavere su cui piangere, perché i segni di quella ferocia sono stati spesso nascosti e laddove al contrario di altre stragi, anch’esse esecrabili, il mondo non si è mosso a pietà dedicando tempo, risorse e impegno per scoprire fosse comuni od istituire tribunali internazionali.
Facciamo tutti in modo che anche il ricordo di massacri simili non scompaia, al pari di altri.


[1] Il martirio di una Nazione- edizioni il Saggiatore- 2010- pag. 397

[2] Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

[3] The fifty years war- Ahron Bregman & Jihan el-Tahri- BBC bokks-1998, pag 175

[4] The Fifty years war- pag 163

[5] Shlomo Ben- Ami: Palestina la storia incompiuta- Corbaccio editore-2005- pag 259

[6] Baruch Kimmerling-Politicidio Sharon e i Palestinesi- Fazi editore -2003-pag 93-94

[7] Il martirio di una Nazione-pag.412

[8] Baruch Kimmerling Politicidio- Fazi editore-2003-pag 91