Il caso dell’Enrica Lexie in un mare di accordi internazionali di difficile interpretazione e spesso disattesi o ignorati (1/7)

La sede dell’IMO a Londra (foto di G.Monno)

La situazione che vede come protagonisti i due Fucilieri di Marina del Reggimento San Marco ha originato nel grande pubblico una notevole confusione.

Numerosi interventi di commentatori politici ed esperti, o presunti tali, non hanno contribuito a chiarire una faccenda già di per se intricata, ma sopratutto non hanno fornito un quadro completo e chiaro di norme, accordi e consuetudini che si sono intrecciate in questa vicenda.

Si tenterà di costruire un quadro di riferimento basato su dati, che possono certamente essere integrati e visti sotto ottiche differenti, ma che – comunque – esistono.

Si procederà, innanzi tutto, a considerare il contesto delle acque internazionali nel quale sembra essersi verificato l’incidente.

Chiameremo a supporto quanto previsto dalla convenzione di Montego Bay del 1982.

Tale convenzione è scaturita dalla prima e seconda conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, tenute a Ginevra nel 1958-1960.

La prima sfocia nell’adozione di quattro convenzioni, relative al Mare Territoriale e Zona Contigua, Piattaforma Continentale, Alto Mare e Pesca e Conservazione delle Risorse Biologiche dell’Alto Mare. La seconda, relativa all’ampiezza del Mare Territoriale, fallisce il proprio obiettivo (Ivaldi & Schiano di Pepe, 480-481).

Da notare che già nel 1950 una sentenza italiana trattava espressamente della situazione internazionale concernente la mancata approvazione di una unicità di interpretazione sull’estensione del mare territoriale (Ivaldi & Schiano di Pepe,480).

Le suddette convenzioni del 1958 furono ratificate da un numero esiguo di stati, sopratutto a causa del momento storico che vedeva in atto un forte processo di decolonizzazione e uno scontro fra Paesi con una forte componente commerciale marittima, interessate pertanto a estendere il principio della libertà dei mari e Paesi di recente costituzione o reduci da un passato coloniale che tendevano ad estendere la propria giurisdizione.

La terza conferenza delle Nazioni Unite, tenuta a Montego Bay nel 1982, si concluse con l’adozione di una convenzione sul Diritto del Mare che si sviluppa in una triplice direzione:

–           aggiornare la normativa prevista dalle precedenti convenzioni;

–           integrare la regolamentazione di aspetti soggetti ad una disciplina solo parziale o disorganica;

–           delineare soluzioni per affrontare problematiche nuove legate al progresso tecnologico ovvero alla richiesta di regole volte a garantire un riequilibrio quanto alla partecipazione degli stati allo sfruttamento delle risorse naturali (Ivaldi & Schiano di Pepe,481-482).

La Convenzione[1] venne aperta alla firma il 10 aprile 1982 avendo raccolto 130 voti favorevoli, 4 contrari (Stati Uniti, Venezuela, Turchia ed Israele) e 17 astensioni, fra cui l‘Italia, che, con legge 2 dicembre 1994, n°689, dette esecuzione alla Convenzione, tra l’altro ratificandola, con entrata in vigore il 1 gennaio 1995,[2] ma specificando in alcune dichiarazioni la sua interpretazione di alcune disposizioni.[3]

Stagisti al lavoro nella sede dell’IMO (foto di G.Monno)

Ad oggi la convenzione conta 162 parti contraenti. Tra esse anche l’India, che ha ratificato la convenzione il 29 giugno 1995, riservandosi tuttavia il diritto di accettare quanto previsto dalla dichiarazione prevista dagli Art. 287 e 298 circa la risoluzione delle dispute, e specificando che le condizioni della convenzione non autorizzano alcun altro Stato a condurre esercitazioni militari o manovre all’interno della Exclusive Economic Zone (EEZ), zona prevista dall’Art. 57 del trattato, di possibile estensione sino a un massimo di 200 miglia dalla costa senza il consenso dello Stato costiero.[4]

Ma la storia continua, vi sono altri risvolti giuridici, politici, inerenti la sicurezza della navigazione e delle persone, che ci riserviamo di trattare nel prosieguo.

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