Il caso Erica Lexie (6/7)
Il ruolo degli accordi bilaterali o multinazionali

Si passa, ora, ad esaminare più direttamente l’omicidio dei due pescatori.

Antolisei (1982- 35)[1] definisce “omicidio” l’uccisione di un uomo cagionata da un altro uomo con un comportamento colposo o doloso e senza il concorso di cause di giustificazione, ed aggiunge che scopo dell’incriminazione è la tutela della vita umana.
L’oggetto (materiale) dell’azione criminosa è un altro uomo, diverso dall’agente, e si esige che la persona su cui cada l’azione sia viva.
Il fatto materiale dell’omicidio, sempre secondo Antolisei, implica tre elementi; una condotta umana, un evento ed il nesso causale tra l’una e l’altro.
La condotta può essere la più diversa, il comportamento può essere un’azione od una omissione, i mezzi possono essere non solo fisici, ma anche psichici.
Tra il comportamento dell’agente e la morte di un uomo deve esistere un rapporto di casualità ovverosia semplicisticamente il fatto che vi sia un nesso di dipendenza fra l’azione posta in essere dall’agente e la conseguenza, nel caso in esame la morte dei pescatori.
Recita ancora l’Antolisei che l’evento della morte segna il momento consumativo del delitto di omicidio.
Subentrano quindi gli approfondimenti sull’omicidio doloso o colposo, ma sono fattispecie che nell’attuale discussione non interessano.
Potrebbe invece interessare la causa di giustificazione del reato previsto dell’art. 53 del Codice Penale che recita:

Uso legittimo delle armi.

 Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona. La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza. La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l’uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica.

L’art. 53 del Codice Penale sembra sufficiente ed esauriente ai fini di un’analisi della situazione attuale, o meglio dell’ipotesi che in questo momento sembra sia al vaglio dell’autorità indiana.

La situazione giurisdizionale non appare chiara, nonostante gli autorevoli pareri espressi in Italia, proprio in base alle leggi e convenzioni citate.

Alla luce della normativa richiamata appare evidente alcuni aspetti non soggetti a necessità d’interpretazione:

  • ognuna delle due navi è sottoposta al regime giuridico dello Stato di cui batte bandiera, visto che l’incidente è avvenuto nelle High Seas, ossia in Alto Mare;
  • la nave italiana, ora all’interno delle acque territoriali indiane, non costrettavi, ma volontariamente, è sottoposta ad un regime giuridico indiano, trattandosi di nave mercantile;
  • per quanto noto attraverso gli scarni comunicati ufficiali o la lettura delle dichiarazioni rilasciate agli organi di stampa o di ricostruzioni possibili, ma la cui attendibilità è da dimostrare, gli agenti dell’azione hanno, con il loro comportamento, provocato la morte a bordo della nave indiana, mentre, secondo quanto asserito da alcuni esperti italiani, non sembrerebbe sussistere la certezza provata del luogo di provenienza dei colpi (Erica Lexie? Olympic Flair?). Per cui, il luogo ove è terminata l’azione è sicuramente la nave indiana, perché è qui che si è verificato l’atto del decesso, provocato dagli spari. E’ come se qualcuno dall’Italia avesse sparato su una persona in Svizzera o Slovenia, ammazzandola. Di chi è la competenza se non vi sono accordi bilaterali o multinazionali?

A questo proposito, visto che tanto si è scritto, spesso in maniera erronea, sulla tragedia del Cermis, paragonandola a quella attuale, conviene considerare un altro documento; è l’art. 7 della Convenzione tra gli Stati parti del Trattato dell’Atlantico del Nord relativa allo statuto delle loro forze; esso recita:

Art.. VII

1.
Fatte salve le disposizioni del presente articolo:

a)       le autorità militari dello Stato d’invio hanno il diritto di esercitare nell’ambito dello Stato ricevente tutti i poteri di giurisdizione penale e disciplinare loro conferiti dalla legislazione dello Stato d’invio su tutte le persone assoggettate alle leggi militari di questo Stato;
b)      
le autorità dello Stato ricevente hanno il diritto di esercitare la loro giurisdizione sui membri di una forza armata o di un elemento civile e sulle persone a loro carico per quanto concerne i reati commessi sul territorio dello Stato ricevente, punibili dalla legislazione di detto Stato.

2.       
a)      
Le autorità militari dello Stato d’invio hanno il diritto di esercitare una giurisdizione esclusiva sulle persone assoggettate alle leggi militari di detto Stato per quanto concerne i reati, ivi compresi i reati che minacciano la sua sicurezza, punibili dalle leggi dello Stato d’invio ma non dalle leggi dello Stato ricevente;
b)      
le autorità militari dello Stato ricevente hanno il diritto di esercitare una giurisdizione esclusiva sui membri di una forza armata o di un elemento civile e sulle persone a loro carico per quanto concerne i reati, ivi compresi i reati che minacciano la sua sicurezza, punibili dalle leggi dello Stato ricevente ma non dalle leggi dello Stato d’invio;
c)       
ai fini del presente paragrafo e del paragrafo 3 del presente articolo, si considerano reati che minacciano la sicurezza di uno Stato
i. il tradimento
ii.  il sabotaggio, lo spionaggio o la violazione della legislazione relativa ai segreti di Stato o della difesa nazionale.

3.      
In caso di giurisdizione concorrente, sono applicabili le seguenti regole:

a)       le autorità militari dello Stato d’invio hanno il diritto di esercitare a titolo prioritario la loro giurisdizione sul membro di una forza armata o di un elemento civile per quanto riguarda:

  1.    i reati che minacciano unicamente la sicurezza o i beni di questo Stato, o i reati che mettono a repentaglio unicamente la persona o i beni di un membro della forza armata o di un elemento civile di questo Stato, nonché di una persona a carico,
  2.   i reati risultanti da qualsiasi atto o negligenza compiuti nell’esecuzione del servizio;

b)       nel caso di ogni altro reato, le autorità dello Stato ricevente esercitano a titolo prioritario la loro giurisdizione;
c)       
se lo Stato che ha il diritto di esercitare a titolo prioritario la sua giurisdizione decide di rinunciarvi, esso lo notificherà al più presto alle autorità dell’altro Stato. Le autorità dello Stato che ha il diritto di esercitare a titolo prioritario la sua giurisdizione esaminano con benevolenza le domande di rinuncia a questo diritto presentate dalle autorità dell’altro Stato, quando queste ultime ritengono che considerazioni particolarmente importanti lo giustificano.

4.    
Le disposizioni del presente articolo non comportano per le autorità militari dello Stato d’invio alcun diritto di esercitare una giurisdizione sui cittadini dello Stato ricevente o sulle persone che hanno costì la loro residenza abituale, salvo se queste ultime sono membri delle forze armate dello Stato d’invio

5.       
a)      
Le autorità degli Stati d’invio e di quelli riceventi si forniscono reciprocamente assistenza per l’arresto dei membri di una forza armata dello Stato d’invio o di un elemento civile, o di persone a carico sul territorio dello Stato ricevente, e per la loro consegna all’autorità che deve esercitare la sua giurisdizione in conformità alle disposizioni precedenti.
b)      
Le autorità dello Stato ricevente notificano al più presto alle autorità militari dello Stato d’invio l’arresto di qualsiasi membro di una forza armata o di un elemento civile, o di una persona a carico.
c)       
La custodia di un membro di una forza armata o di un elemento civile per il quale lo Stato ricevente deve esercitare il suo diritto di giurisdizione, e che si trova fra le mani delle autorità dello Stato d’invio, rimarrà a carico di queste ultime fino a quando non siano state intentate azioni penali nei confronti di detta persona dallo Stato ricevente.

6.       
a)      
Le autorità degli Stati d’invio e di quelli riceventi si forniscono reciprocamente assistenza per la conduzione di inchieste, per la ricerca delle prove, ivi compreso il sequestro, e, se del caso, per la consegna dei corpi del reato e degli oggetti del reato. La consegna dei corpi del reato e degli oggetti sequestrati può tuttavia essere subordinata alla loro restituzione entro un termine stabilito dall’autorità che procede a tale consegna.
b)      
Le autorità delle parti contraenti, qualora vi sia giurisdizione concorrente, s’informano reciprocamente sul seguito dato alle vertenze.

7.       
a)      
Le autorità dello Stato d’invio non possono procedere all’esecuzione di una pena capitale sul territorio dello Stato ricevente se la legislazione di quest’ultimo non prevede la pena di morte in un caso analogo.
b)      
Le autorità dello Stato ricevente esaminano con benevolenza le domande delle autorità dello Stato d’invio al fine di fornire loro assistenza per l’esecuzione delle pene di detenzione pronunziate sul territorio dello Stato ricevente da dette autorità, conformemente alle norme del presente articolo.

8.      
Quando un accusato è stato giudicato conformemente alle disposizioni del presente articolo dalle autorità di una parte contraente ed è stato prosciolto, o, in caso di condanna, se subisce o ha subito la sua pena o è stato graziato, costui non potrà essere nuovamente giudicato sullo stesso territorio, per lo stesso reato, dalle autorità di un’altra parte contraente. Il presente paragrafo tuttavia non impedisce che le autorità militari dello Stato d’invio giudichino un membro di una forza armata per qualsiasi violazione delle regole di disciplina risultante dall’atto o dall’omissione costitutiva del reato per il quale è stato giudicato.

9.      
Quando un membro di una forza o di un elemento civile o una persona a carico è perseguito dinanzi alle giurisdizioni dello Stato ricevente, egli ha diritto:
a)      
ad essere giudicato rapidamente;
b)      
ad essere informato, prima del processo, dell’accusa o delle accuse mosse nei suoi confronti;
c)       
ad essere confrontato con i testimoni a carico;
d)      
che i testimoni a discarico siano costretti a presentarsi se la giurisdizione dello Stato ricevente ha il potere di obbligarli;
e)       
ad essere rappresentato a sua scelta o ad essere assistito secondo le condizioni legali in vigore in quel tempo nello Stato ricevente;
f)        
se lo ritiene necessario, ai servizi di un interprete competente;
g)      
di comunicare con un rappresentante del governo dello Stato d’invio e, qualora le regole di procedura lo consentano, alla presenza di tale rappresentante al dibattito.

10.   
a)      
Le unità o formazioni militari regolarmente costituite di una forza armata hanno un diritto di polizia su tutti gli accampamenti, insediamenti o installazioni da esse occupate in forza di un accordo con lo Stato ricevente. La polizia militare delle unità o delle formazioni può prendere tutti i provvedimenti utili per garantire il mantenimento dell’ordine e della sicurezza in queste installazioni.
b)      
L’impiego di detta polizia militare al di fuori di queste installazioni è subordinato ad un accordo con le autorità dello Stato ricevente, avviene in collegamento con queste ultime ed interviene solo in quanto necessario per mantenere l’ordine e la disciplina fra i membri di queste unità o formazioni.

11.  
Ciascuna delle parti contraenti sottoporrà al potere legislativo i progetti che ritiene necessari per garantire sul suo territorio la sicurezza e la protezione degli impianti, del materiale, dei beni, degli archivi e dei documenti ufficiali delle altre parti contraenti nonché la repressione dei reati contro tale legislazione.

Appare chiaro, trattandosi di un accordo fra gli Stati contraenti, che tali regole siano applicabili solo ad essi e non ad altri che non lo abbiano sottoscritto.
Tale accordo non va confuso con i SOFA, ovverosia gli Standard of Force Agreement, accordi bilaterali quale quello che lega l’Italia e gli Stati Uniti, reso pubblico solo dopo i fatti del Cermis chiamato “Memorandum d’intesa tra il Ministero della Difesa della Repubblica Italiana ed il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America relativo alle installazioni/infrastrutture concesse in uso alle forze Statunitensi in Italia”, sottoscritto dalle parti il 2 febbraio 1955.[2]
Per inciso, per la tragedia del Cermis, furono applicati gli accordi previsti dall’art. 7 del trattato di Londra, sopra riportato.[3]
E ciò per fugare eventuali dubbi generati dai quesiti posti da alcuni media relativamente al perché la competenza sulla tragedia del Cermis, avvenuta in Italia, sia stata gestita dall’autorità giudiziaria militare statunitense, così come per l’incidente di Ramstein, provocato da aeromobili italiani, la competenza fu italiana, anche se da qualche parte si è ipotizzato che la magistratura italiana non abbia potuto svolgere alcuna azione al riguardo.[4]
Ma, ovviamente, si preferisce dare credito alla testimonianza del Presidente del Consiglio Italiano pro-tempore, On Massimo d’Alema.