L’intervento umanitario in Siria

I giornali quasi non ne parlano più. Eppure in Siria si continua a morire. L’Unicef ha stimato che dall’inizio delle violenze almeno 70.000 sono le vittime civili, mentre i profughi sarebbero almeno 1,2 milioni, fuggiti in Turchia, Giordania, Libano, Iraq ed Egitto. E la fine della tragedia sembra ancora lontana. Secondo l’ex Ministro degli Affari Esteri italiano, Giulio Terzi, il Presidente siriano Assad sembra non avere alcuna intenzione di lasciare il potere. I recenti sviluppi contribuiscono a complicare la vicenda. Secondo alcuni esponenti dei comitati locali anti-regime le forze di Assad sono in possesso di armi chimiche che starebbero utilizzando contro gli insorti e i civili. Inoltre, l’inviato dell’Onu e della Lega Araba per la Siria, Lakhdar Brahimi, ha avanzato la richiesta ai paesi membri del Consiglio di Sicurezza (CdS) dell’Onu di cambiare il proprio mandato. Brahimi vorrebbe infatti rinunciare al mandato di rappresentante della Lega Araba in quanto ritiene che il recente riconoscimento della coalizione nazionale dell’opposizione siriana quale unico rappresentante legittimo del popolo siriano effettuato dalla Lega Araba mini l’efficacia delle negoziazioni e la risoluzione del conflitto.

Sembra, dunque, che la soluzione pacifica del conflitto sia ancora una volta minata, dopo il precedente fallimento dell’ex inviato dell’Onu e della Lega Araba kofi Annan, e che l’intervento umanitario sia l’unica strada da percorrere per porre fine ai crimini di guerra e contro l’umanità commessi da Assad e dal suo regime.

L’intervento umanitario è però legittimo soltanto se effettuato nella cornice giuridica dell’Onu. Dunque, soltanto una Risoluzione del CdS potrebbe autorizzare l’uso della forza armata, così come avvenne nel caso della Libia con la Risoluzione 1973 (2011) che assicurò la copertura legale all’operazione congiunta “Odissea all’Alba”. Nel caso della Siria, però, l’adozione di una Risoluzione che autorizzi l’uso della forza armata è ostacolata dal veto di Cina e Russia. La Russia, in particolare, non vuole perdere l’amicizia con il regime di Assad che, tra le altre cose, gli permette di avere lo sbocco sul Mediterraneo, e dunque verso i mari caldi. Ricordiamo che la Russia, a causa della sua posizione geopolitica, è priva di sbocchi sui mari caldi e dunque le sue scelte di politica estere sono sempre state orientate verso la conquista di sbocchi sui mari caldi.

Il caso della Siria mostra tutti i limiti e l’inadeguatezza del sistema di sicurezza collettivo delle Nazioni Unte che si inceppa quando non c’è l’accordo dei membri permanenti del CdS con la tragica conseguenza che diventa difficile, se non impossibile, metter fine a violazioni massicce e sistematiche dei diritti umani (gross violations).

Il tentativo di porre fine a un siffatto drammatico deficit normativo dell’ordinamento internazionale è stato fatto nel 2000 con l’affermazione del principio della Responsabilità di proteggere (R2P), che è anche responsabilità di reagire alle gross violations con l’uso della forza armata. Purtroppo la R2P non è un principio codificato in norma consuetudinaria, ma soltanto una tendenza facente capo alla componente occidentale della Comunità Internazionale. Tuttavia, l’iniziativa di elaborazione del principio della R2P testimonia la volontà degli Stati di rendere sempre più effettiva la tutela dei diritti umani.

Assunta Garofalo (*)

(*) Assunta Garofalo è una studiosa e appassionata di politica internazionale. Dopo aver conseguito la laurea in scienze politiche presso l’Università di Napoli Federico II, viene selezionata dal Ministero degli Affari Esteri per il progetto Mae-Crui e assegnata all’ufficio Osce. Durante il periodo di tirocinio si occupa di diritti umani, democratizzazione, diplomazia preventiva e ricostruzione post-bellica. Dopo la breve ma intensa esperienza presso il MAE, consegue il master in Studi Diplomatici presso la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale.