Quo vadis, Europa?

La crisi finanziaria ed economica che, a partire dal 2007, ha investito gli Stati Uniti d’America per poi estendersi all’Europa e al resto del mondo, ha fatto emergere tra i cittadini dell’Unione Europea (UE) una dilagante sfiducia nel processo d’integrazione europeo e nella moneta unica.

Le recenti elezioni politiche che hanno avuto luogo in diversi paesi europei hanno confermato il clima antieuropeista che si respira da tempo nell’aria. Diversi sono stati i partiti politici che all’interno del loro programma hanno inserito un eventuale referendum per l’abbandono dell’Eurozona.

Ma distruggere ciò che i padri fondatori dell’Unione Europea, da De Gasperi, Adenauer, Monnet e prima di loro il Conte Kalergi, hanno appassionatamente voluto per porre fine allo storico contrasto franco-tedesco e garantire la pace e la stabilità nel Vecchio Continente non contribuirà a risolvere i difficili problemi che i “cittadini europei” stanno affrontando. Come vuole il principio di correzione messo in risalto da Burke, “là dove persistono antiche tare e squilibri bisogna adeguare l’ordinamento”. Dunque, non distruggerlo.

Sembra, piuttosto, che il progetto europeo debba procedere verso una maggiore integrazione politica la quale influenza in vari modi l’efficacia di un’unione monetaria.

In primo luogo, l’unione politica rende possibile centralizzare una parte significativa dei bilanci nazionali a livello dell’unione. Ciò rende possibile a sua volta organizzare sistemi di trasferimenti fiscali automatici che forniscono una certa protezione contro shock asimmetrici. In secondo luogo, appare di primaria importanza rafforzare il coordinamento istituzionalizzato dei vari strumenti di politica economica che hanno conseguenze macroeconomiche come, ad esempio, le politiche sociali e le politiche di determinazione dei salari.

Tuttavia, affinché un processo di integrazione politica europeo si consolidi, è necessario rafforzare la legittimità democratica delle Istituzioni dell’UE. A tal fine bisognerà agire su due livelli, europeo e nazionale, dando per esempio al Parlamento europeo una più forte dimensione legata all’area dell’euro e coinvolgere maggiormente i Parlamenti nazionali nelle discussioni sull’eurozona. Il Trattato di Lisbona, oltre a rafforzare il ruolo del Parlamento europeo, sembra aprire una nuova fase di integrazione verticale del processo decisionale europeo, attraverso un dialogo strutturato tra istituzioni europee e Parlamenti nazionali e un’adeguata informazione di questi sulle proposte legislative europee.

Il cosiddetto deficit democratico dell’Unione non è solo un deficit dovuto agli scarsi poteri attribuiti al Parlamento, ma anche assenza di capacità di trasmettere ai cittadini i fondamenti di un comune sentire. Anche in questo senso Lisbona innova, introducendo per la prima volta nel Trattato sull’Unione Europea (TUE) un Titolo significativamente intitolato “Disposizioni relative ai principi democratici” che, tra le altre cose, attribuisce ai partiti politici europei il ruolo di contribuire a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell’UE.

Assunta Garofalo