Le sommosse popolari e la così detta “Primavera Araba” del 2011 in Egitto non hanno contribuito a riportare il Paese alla “normalità”. Lo stato egiziano, desideroso di un nuovo corso storico, si ritrova di nuovo nel caos.
A riportare nel tumulto il Cairo e Piazza Tahrir sono stati i decreti del nuovo presidente Morsi (il candidato dei Fratelli Musulmani, in carica da giugno 2012). Morsi ha promulgato una nuova dichiarazione costituzionale che lo rende, come è stato definito dal quotidiano Al Masry Al Youm, un “dittatore temporaneo”, ha accolto la richiesta dei rivoluzionari concedendo la riapertura dei processi per i crimini commessi contro i manifestanti, ha sancito il divieto alle istituzioni di cancellare i decreti da lui promulgati e ha praticamente svuotato il potere giudiziario, vedendo in questo l’ultimo ostacolo per il consolidamento del suo potere. Così, oltre al potere esecutivo e legislativo, il presidente ha assunto anche quello giudiziario con il conseguente diritto di valutare se le azioni di protesta sono da considerare rivoluzionarie o contro rivoluzionarie.
Morsi, forte della potenza dei “Fratelli”, ha prima riconfermato l’attualità della sua dichiarazione costituzionale, e poi, il 30 novembre, convocando l’Assemblea Costituente priva dei membri cristiani e liberali che avevano abbandonato la stessa per protesta, ha approvato molto sommariamente un nuovo testo costituzionale (ogni articolo è stato discusso e approvato in meno di due minuti!). Il risultato è una Costituzione conservatrice, con molte lacune e molto simile a quella del ’71, approvata con le discusse elezioni del dicembre 2012.
Le varie decisioni e gli ultimi decreti hanno spinto tutta la popolazione laica, liberale e anche i nostalgici del regime precedente ad unirsi e a riempire nuovamente Piazza Tahrir per la prima volta senza l’appoggio della parte islamica, quasi a dimostrare che nonostante il loro dominio politico, non rappresentano la maggioranza del Paese. Dall’altra parte i “Fratelli Musulmani” e i Salafiti hanno risposto con una controrivoluzione dinanzi all’Università del Cairo. L’opposizione, però, benché più numerosa, è disunita, divisa in molti partiti, e incapace di dare una direttrice politica comune. Questa situazione li ha fatti presentare alle elezioni costituenti di dicembre con una forza minore rispetto quella dei “Fratelli musulmani” subendo le loro iniziative, non riuscendo ad organizzare una vera e propria campagna elettorale e ovviamente uscendo sconfitti dalle urne.
Forti del successo ottenuto, i partiti di governo hanno sperato di bissare i risultati ottenuti nei giorni dell’elezione dei sindacati e dei parlamentari inizialmente previste per aprile. Queste ultime però sono state sospese dall’Alta Corte amministrativa del Cairo perché la nuova legge elettorale non e’ stata sottoposta al vaglio definitivo della Corte costituzionale. Bisognerà quindi tornare a lavorare su quella legge, con inevitabile slittamento dei tempi. Queste elezioni erano state comunque boicottate dall’opposizione con in testa il “Fronte di Salvezza nazionale”, partito più numeroso, dichiarando che non era possibile garantire la trasparenza dei voti nel momento in cui in Egitto sono in atto misure repressive. Ciò ovviamente è stato accompagnato da nuove vivaci proteste di piazza e ulteriori scontri tra la popolazione supportata dai partiti di opposizione e i fedelissimi dei Fratelli musulmani e del presidente Morsi.
La nuova aria egiziana fa presagire che nelle prossime elezioni, se mai ci saranno, sarà difficile per il partito al potere eguagliare i risultati di dicembre, dovranno almeno cercare di limitare la crisi di consensi. L’opposizione organizzandosi può riuscire a contrastare lo strapotere del partito islamico, attuare una controrivoluzione e dar vita a un sistema bipolare che cambi la consuetudine dittatoriale degli ultimi anni. La primavera è ancora lunga.
Alessandro Fucci