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MEDinMED |
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Irrompe l’Islam, l’Europa muore, Bisanzio risplende. Attorno a questa trama palpita e prospera un Mediterraneo in grande forma.
Il Mediterraneo è un mosaico le cui tessere sono alternativamente cristiane e musulmane. Le uniche aree di continuità si riscontrano sulla direttrice Bisanzio/Grecia/Sicilia/meri-dione italiano/Adriatico, lungo la quale il potere bizantino, forte dell’appoggio della flotta greca, non ha rivali e lungo l’intera costa nordafricana sino alla Spagna inclusa, lungo la quale l’Islam stabilì nel tempo il proprio incontrastato dominio. I paesi musulmani, terminata la guerra di conquista alla fine del IX secolo, formano un mondo separato, autonomo ed autosufficiente, rivolto verso Bagdad, capolinea delle carovane dell’Asia e punto d’inizio del lungo percorso che, lungo il Volga, raggiunge il Baltico. Di là i prodotti sono instradati verso l’Africa e la Spagna. I musulmani non trattano direttamente coi cristiani, ma non li allontanano: lasciano che essi frequentino i loro porti, recando schiavi e legno e caricando tutto quello che desiderano acquistare. Siri e ebrei sono i grandi broker, interfaccia tra i due mondi contrapposti.
Sul versante cristiano, il bacino occidentale del Mediterraneo, meta di continue scorrerie barbaresche da parte delle flottiglie arabe, veloci ed agguerrite, è interdetto alle attività dei Paesi della sponda settentrionale, i quali, d’altronde, non possiedono naviglio in tipo e numero idoneo a contrastare i battelli barbareschi o a tentare la pur minima attività commerciale. Una flotta dei Franchi, infatti, è inesistente e quella dei Visigoti, annientata, non esiste più. Il contrario dell’avversario musulmano che hanno in Tunisi un arsenale inespugnabile e si avvalgono di una rete di stazioni di avvistamento costiere con funzioni anche religiose, i ribat, in contatto tra loro e in perpetuo stato di guerra, niente di diverso dalle future torri di avvistamento aragonesi, genovesi e pisane che ancora adornano le coste tirreniche. L’attività marittima cristiana sopravvive unicamente in Oriente e all’Oriente si allaccia la punta avanzata dell’Italia meridionale. E ciò grazie a Bisanzio, che ha saputo conservare il dominio del mare sull’Islam. Il traffico marittimo lungo il litorale adriatico e tra Venezia, i porti della costa greca e Costantinopoli è intensissimo. Ma i vascelli veneziani non disdegnano soste regolari nei porti musulmani dell’intero Mediterraneo, dall’Asia Minore alla Spagna. Senza interruzioni ed in barba al blocco islamico. D’altronde, è noto che le città marinare italiane sono il soggetto che maggiormente s’avvantaggia delle sempre maggiori fortune dei Paesi musulmani consolidati dopo l’iniziale espansione dell’Islam. Nei territori dell’impero bizantino, comprese le propaggini ormai estreme dell’Italia meridionale ed adriatica sino a Venezia era palpabile una diffusa prosperità tale da consentire alle città di battere moneta aurea e di possedere una numerosa comunità di mercanti di professione e di lunga e familiare tradizione. Serva come esempio il caso di Bari, che, benché occupata dai Musulmani sino all’871, rimane fondamentalmente greca e conserva le istituzioni municipali di tipo bizantino fino oltre la fine del XII secolo e, pur rimanendo con questa forte caratterizzazione, continua a tranquillamente a trattare con il califfo di Bagdad i lasciapassare occorrenti ai monaci che s’imbarcavano nel suo porto diretti a Gerusalemme. Analoghe la situazione e le attività delle città tirreniche, Salerno, Napoli, Gaeta e Amalfi, che mantenevano con Bisanzio un legame molto flebile, in possesso di porti molto attivi e in lotta con Benevento, da cui vogliono conservarsi autonome. Nello stesso ducato di Benevento si manteneva una civiltà altamente raffinata.
Dice Pirenne: «Di tutti i prolungamenti bizantini verso l’Ovest il più importante e il più originale è la straordinaria Venezia, il più curioso fenomeno di successo nella storia economica di tutti i tempi accanto a quello dei Paesi Bassi». Ed, in effetti, Venezia è l’esempio più rappresentativo della situazione delle città marinare del sud d’Italia, Sicilia esclusa. Aggiunge ancora Pirenne, belga, nel suo mirabile “Maometto e Carlomagno” «Venezia è per eccellenza un porto ed un mercato. Essa rileva Marsiglia nel ruolo di porto pilota del traffico mercantile europeo e di transito delle merci provenienti da oriente. Di là s’imbarcano i passeggeri per il Levante e si esporta verso l’Egitto il legno da costruzione. Dall’Oriente arrivano a Venezia le spezie e la seta, che immediatamente sono riesportate attraverso l’Italia in direzione di Pavia e di Roma. Senza dubbio ci dovettero essere anche invii oltre le Alpi, sebbene il commercio in questa direzione sia stato insignificante in quell’epoca. Venezia possiede inoltre come suo mercato tutta la costa dalmata e non c’è dubbio che con essa intrattiene il commercio più attivo. Paragonata all’Occidente Venezia è un altro mondo. I suoi abitanti possiedono lo spirito mercantile e non si fanno prendere dagli scrupoli per le interdizioni contro il turpe lucrum. Questa mentalità è del tutto scomparsa nel mondo occidentale ed in Italia dopo le conquiste arabe; invece si conserva a Venezia ed in tutti gli altri paesi bizantini dell’Italia meridionale. Nell’856 i Saraceni, il cui scopo è di impadronirsi dell’Italia meridionale, che attaccano simultaneamente da Bari e dall’Ovest, assalgono Napoli e distruggono Miseno. Se le città vogliono commerciare con i Saraceni, non vogliono però cadere sotto il loro giogo né lasciare ad essi il dominio delle loro acque. La politica di queste città a tale riguardo è del tutto simile a quella dei Veneziani. Esse diffidano di tutti e non vogliono obbedire a nessuno; ma sono rivali implacabili, e pur di distruggersi l’una con l’altra non esitano ad allearsi con i musulmani. Così, per esempio, Napoli nell’843 li aiuta a strappare Messina all’impero bizantino, di cui essa stessa fa parte. Del resto tutte queste città non accettano che un legame di soggezione puramente nominale nei confronti dell’impero bizantino. Solo la minaccia diretta contro la loro prosperità le fa muovere, e per questo esse nell’846 non sostengono gli sforzi di Lotario contro i musulmani, e più tardi del pari non appoggeranno quelli di Ludovico II. Dice molto bene il Gay: «Da una forza invincibile le città marinare: Gaeta, Napoli, Amalfi, sono riportate sempre verso l’alleanza musulmana … L’essenziale per esse è di conservare il litorale ed assicurare gli interessi del loro commercio. Negoziando con i Saraceni, esse ottengono una parte di bottino e continuano ad arricchirsi. La politica di Napoli e di Amalfi è prima di tutto politica di mercanti, che vivono di saccheggi altrettanto che di commercio regolare». Per questo essi non aiutarono l’imperatore nella difesa della Sicilia. La loro politica è molto simile a quella tenuta dagli Olandesi nel Giappone durante il secolo XVII. Del resto con chi avrebbero potuto commerciare, se avessero trascurato le coste musulmane? L’Oriente apparteneva a Venezia».
Questo è il Medioevo in Mediterraneo! Certamente non un’epoca buia, come sarà certamente apparsa alle popolazioni dell’Europa continentale, cadute nell’impotenza di progresso, accompagnata dal più nero oscurantismo. Una bella differenza… eppure nella percezione collettiva i grossi filoni europei dell’elaborazione della storia sono riusciti a fare passare l’idea di una paralisi generalizzata: scientifica, politica, sociale, economica, commerciale.
Per quanto riguarda il Mediterraneo in questo periodo, niente di più falso. Saranno altre, come vedremo, le epoche del decadimento mediterraneo, causate proprio dall’azione non sempre limpida di chi ora si stava dibattendo contro le tenebre…
Enrico La Rosa