Avevamo previsto le insidie nascoste nel fine settimana del primo compleanno dell’“era Morsi”. Di proposito non ci eravamo soffermati sull’eventualità estrema, che pure aleggiava nei nostri pensieri e incombeva sulla tastiera.
Ed, invece, l’irreparabile è accaduto!
A prescindere dall’auspicabile spazio che sarebbe necessario dedicare alle conseguenze più o meno probabili dell’atto della gerarchia militare. Ai particolari del complotto a lungo tramato nell’ombra da chi aveva da poco ricevuto attestati di fiducia da parte del Presidente. Alla possibilità che il popolo di Morsi e della “fratellanza musulmana” rovesci il tavolo e metta il Paese a ferro e fuoco. Al possibile contagio sulla base islamica e islamista dei Paesi confinanti e già instabili “in proprio”. Alla tempistica relativa alla saldatura tra i “combattenti” egiziani e quelli siriani, benché animati da esigenze e contesti differenti. Alle possibili reazioni di Israele, in una eventualità del genere. All’atteggiamento statunitense, che, nella regione, si sa, va a rimorchio dell’alleato israeliano. Al tempo che sarà necessario gli aiuti irano-siriano-hezbolliani per arrivare nelle mani dei ringalluzziti ribelli beduini del Sinai.
A prescindere da tutto ciò, dicevamo, il nostro giornale, che pure tratta di geopolitica, in questa occasione sente l’esigenza di trattare l’argomento sotto un’altra angolazione.
Quella serie di avvenimenti che ci ostiniamo a chiamare “primavera araba”, che siamo sicuri faciliterà alla sua conclusione il cammino dei popoli arabo-musulmani verso la secolarizzazione della struttura dei loro Stati, si ispira oggi alla democrazia, alla sete di libertà delle masse, al desiderio di autodeterminazione dei popoli. La parola magica è per essi “democrazia”.
Sulla democrazia, sul suo significato, sulle strategie per perseguirla, sui metodi per applicarla nel concreto, gli intellettuali (ma anche chi non lo è) di tutto il mondo hanno scritto e detto già tutto e, purtroppo, il contrario di tutto. Non ci uniremo al coro di esperti, ma ci limiteremo a sottolineare che, in ogni caso, a prescindere dalla sua caratterizzazione, la Democrazia ha bisogno di due condizioni imprescindibili, avanti a tutte le altre: regole e consenso. Le regole debbono essere chiare, condivise da tutte le componenti sociali, immutabili nel breve e soprattutto, uguali per tutti. Quanto al consenso, è chiaro che esso debba essere quello popolare (democrazia = δῆμος (démos), popolo e κράτος (cràtos), potere = potere, o governo, del popolo), espresso nelle forme previste da quello zibaldone di regole che ogni popolo si da e che risponde al nome di costituzione.
Nulla è perfetto a questo mondo, neppure la Costituzione, e, men che meno l’operato dei governanti, neanche di quelli più illuminati ed ispirati. La prima si può modificare nei tempi e nei modi da essa stessa previsti, non da altri. I secondi si possono destituire, ma solo nei modi previsti dalle “regole”, dalla costituzione, e non per opera di una qualsivoglia categoria, sia essa quella dei magistrati, o degli ingegneri, o dei militari, o dei metalmeccanici. La conquista della TV di stato e la messa agli arresti domiciliari del Presidente in carica è un film d’alti tempi, che speravamo di non dovere più vedere. Ed invece i militari di quella parte del mondo che aspira a democratizzarsi, Egitto incluso, continuano a recitare la stessa commedia, anzi la stessa tragedia, nella quale la parte delle vittime viene interpretata sempre dagli oppressi, dal popolo speranzoso e in rivolta. Mai giustamente, spesso comprensibilmente.
A quante repliche di questa tragica rappresentazione dovrà assistere il Mediterraneo, e quanti registi “esterni” saliranno sul suo palcoscenico prima che si possa parlare a buon diritto di democrazia?
Enrico La Rosa