Lo scorso 14 giugno si sono tenute in Iran le elezioni presidenziali, che hanno registrato la vittoria del leader riformista Hassan Rohani.
Le prime impressioni della comunità internazionale circa il loro esito sono state di moderata soddisfazione, eccezion fatta per lo stato di Israele. Netanyahu, infatti, ha dichiarato di “non farsi illusioni” sulla svolta politica, sottolineando la necessita di mantenere costante la pressione internazionale sulla repubblica islamica.
Non si può negare che l’elezione di Rohani costituisca un potenziale cambio di rotta piuttosto positivo, migliorativo rispetto alla precedente gestione di Ahmadinejad. Ciononostante, alla luce di quanto si è verificato negli ultimi anni di governo di quest’ultimo, dal punto di vista degli israeliani non è facile scorgere un bagliore di ottimismo nella svolta iraniana. D’altra parte, in questo difficile momento per la stabilità mediorientale, gli attori in gioco sono molteplici e non comprendono solamente il binomio Iran-Israele. A far parte dello scacchiere mediorientale infatti, vi sono anche la Siria, Hezbollah ed Hamas.
Vari sono dunque i fattori di destabilizzazione; in primis la questione dello sviluppo nucleare dell’Iran, che negli ultimi due anni ha destato tante preoccupazioni, non solo allo stato ebraico, ma alla comunità internazionale tutta, e che ha comportato sanzioni, necessarie quanto impellenti, a cui lo stato islamico è tutt’ora sottoposto.
In secondo luogo, ciò che maggiormente preoccupa Netanyahu è l’uso di cui l’Iran potrebbe fare dell’energia nucleare qualora il governo di Teheran riuscisse ad arricchire l’uranio tanto da potere ottenere la costruzione di vere e proprie armi nucleari. Ed è proprio qui che entrano in gioco quegli attori, precedentemente nominati, che potrebbero essere in grado di scuotere ancora più la regione.
Israele, di fatto, da che si è costituito come stato nel lontano 1948, vive come un paese in trincea, circondato da un mondo fortemente ostile alla sua stessa esistenza, per cui a ragione, un ipotetico raccordo tra l’arsenale nucleare iraniano e le cellule terroristiche quali gli Hezbollah libanesi e Hamas, fedeli alla causa palestinese, potrebbero ancor più indispettire il governo dell’intransigente presidente Netanyahu. Israele ha di recente sferrato diversi attacchi preventivi di difesa contro convogli e siti siriani, in cui si sospettava fossero ricoverate armi appartenenti agli Hezbollah. La policy israeliana in politica estera resta sempre la stessa: attaccare prima di essere attaccati. Così è stato e così probabilmente continuerà ad essere anche nel futuro più prossimo. Ma in questo difficile quadro geopolitico bisogna considerare altri elementi non del tutto ininfluenti, quali la posizione degli Stati Uniti, storici alleati di Israele, e la guerra civile che sta logorando la vicina Siria. Per quanto riguarda quest’ultima, essa non rappresenta di per sé il maggiore interesse di Israele, poiché il pericolo non proverrebbe dal regime degli Assad, bensì dalle armi che dalla Siria potrebbero arrivare tramite gli Hezbollah nelle mani del movimento sciita filo-iraniano. La Siria infatti ricopre, per l’Iran, una posizione di preminenza per la propria politica strategica regionale, risultando dunque di vitale importanza. Essa può essere considerata come l’anello principale nel difficile gioco di deterrenza contro Israele, che passa per Damasco ed arriva direttamente ad Hezbollah, Hamas ed alla jihad islamica palestinese.
E tutto ciò senza considerare l’incognita-Egitto, che sta divenendo una vera mina vagante.
L’Iran, tuttavia, prescindendo dal difficile contesto attuale di politica della regione, sta attraversando una difficile situazione socio-economica, a causa delle sanzioni adottate contro di essa, e dell’isolamento internazionale, conseguenza della questione nucleare.
Si è indotti a credere che, alla luce di quanto verificatosi nelle ultime elezioni presidenziali, paesi quali gli Stati Uniti e l’Unione Europea, potrebbero optare per un allentamento delle sanzioni, inducendo di conseguenza anche lo stesso Netanyahu ad abbandonare la linea dell’intransigenza per un atteggiamento più moderato ed incline ad un dialogo politico. È difficile prevedere come evolverà la situazione, ma si ha ragione di credere che le recenti dichiarazioni del presidente israeliano ipotizzino la presa in considerazione di un attacco nei confronti del governo di Teheran solo qualora non si dovesse pervenire al blocco del processo di arricchimento presso il sito nucleare di Quom.
Giulia Manni (*)
(*) Inizia con questo articolo la collaborazione di Giulia Manni con <omeganews>.
La brava Giulia si è laureata in Scienze Politiche presso la Sapienza di Roma nel dicembre 2012 ed ha in animo di migliorare le sue capacità nella lingua inglese ed ottenere una certificazione internazionale che le consenta di accedere ad un corso di laurea magistrale a numero chiuso e tenuto in lingua inglese presso l’Università di Bologna.