Sin dalla nascita dello stato di Israele, gli Stati Uniti sono sempre stati inclini a trovare in esso un fedele alleato. I principali punti di raccordo tra i due si basano in sostanza sulla lotta contro il terrorismo islamico internazionale, insieme con la spinosa ed ancora irrisolta questione palestinese. Negli ultimi 20 anni sono stati innumerevoli i tentativi da parte dell’amministrazione americana di risolvere, o quanto meno di proporre una soluzione a quella che è una delle controversie più travagliate degli ultimi 60 anni. Senza tuttavia trovare un’efficacie risoluzione al problema. Negli anni i rapporti tra i due paesi si sono evoluti in concomitanza con le personalità a capo dei due stati. A partire dagli anni ’90 infatti, prima Clinton e poi Bush, si sono fortemente impegnati nel risolvere tale questione, facendosi promotori della pace in Medioriente. Un percorso che parte dai ben noti accordi di Oslo, fino ad arrivare alla proposta di una “Road Map for Peace” che vide l’abbandono da parte di Israele della Striscia di Gaza. Quel che è certo è che l’attuale presidente USA si trova davanti ad una situazione che nessuno dei suoi predecessori ha avuto l’abilità di mutare. D’altro canto, i poteri decisionali del presidente americano, tendono quasi sempre a rafforzarsi maggiormente nel corso del secondo mandato, divenendo pertanto anche più incidenti nel contesto delle lotte mediorientali. Ed è ciò che gli Stati Uniti stanno cercando di attuare proprio in questi giorni, con il segretario di stato John Kerry, preposto a porre le basi per un prossimo e futuro incontro tra Israele e l’ANP. Kerry, alla sua sesta missione in Medioriente, ha incontrato nell’ambito di diversi colloqui, sia il presidente israeliano Netanyahu, sia il rappresentante dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen. L’obiettivo era quello di annunciare una ripresa del processo di pace, fermo ormai dal 2010. A conclusione del suo viaggio, perciò, il segretario di stato USA, ha affermato che i negoziatori delle due parti si incontreranno a Washington per un meeting iniziale, che dovrebbe svolgersi al massimo entro la settimana prossima. Gli Stati Uniti hanno parlato del risultato di Kerry come di un successo, dopo anni di stallo nelle trattative di pace. Tuttavia, portavoci israeliani hanno immediatamente smentito l’euforia generale, facendo tornare la potenza alleata con i piedi per terra. Il processo di pace, infatti, verte su questioni assai spinose, come la soluzione dei due stati, e soprattutto sulla costruzione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, che il governo israeliano non sembra voler cessare. Tuttavia l’annuncio che Israele sia prossimo al rilascio di detenuti palestinesi lascia spazio a qualche speranza: il gesto, se effettivo, potrebbe risultare propedeutico per l’avvio di un dialogo tra i due stati in conflitto.
Anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha risposto a tale annuncio, affermando che: “Tentare di porre fine all’annosa questione con i palestinesi è nell’interesse strategico di Israele.
”Se il processo riprenderà, sarà una conquista, l’ennesima. Perché la storia si ripete ancora. Sono passati oltre 60 anni dall’inizio della discordia e ancora dopo tanti anni non si è scorta una prospettiva concreta all’orizzonte. L’auspicio è quello di trovare ora più che mai una comunione di intenti.
La domanda, tuttavia, sorge spontanea “Sarà possibile trovarla?”
Giulia Manni