L’esercito egiziano continua a soffocare nel sangue le manifestazioni a sostegno del deposto presidente Morsi. La repressione ha registrato negli ultimi giorni un crescendo costato la vita a parecchie persone, tra cui due giornalisti. La reazione dei sostenitori della “fratellanza” non si à fatta attendere e le cronache parlano – tra l’altro – di parecchie chiese cristiane danneggiate o distrutte, di manifestazioni di piazza nelle principali città e di scontri anche feroci; di diversi morti da ambo le parti e di tensione in crescendo.
Secondo quanto riportato da fonti ufficiali mercoledì 14, i morti in Egitto sono stati 525, gli scontri sono proseguiti nonostante le perdite, le minacce dell’acuirsi della reazione armata contro i manifestanti e i nuovi allarmi e appelli della comunità internazionale. Massima allerta al Cairo e in tutto l’Egitto per il “venerdì della collera” indetto per la data odierna dai Fratelli musulmani dopo l’uccisione di oltre 600 manifestanti pro-Morsi mercoledì. Il popolo egiziano “continuerà la sua resistenza pacifica fino a che i golpisti non se ne andranno”, ha tuonato la guida dei Fratelli musulmani, Mohamed el Badie. L’esercito egiziano presidia i siti strategici al Cairo, mentre si sta estendendo la chiusura delle strade di accesso al centro della capitale. Si passano i checkpoint solo a piedi, dopo estenuanti controlli. Chiuso anche il ponte 6 ottobre, una delle principali arterie della capitale … Intanto è salito ad almeno 40 il numero di chiese, fra cui 10 cattoliche, “razziate o date alle fiamme se non addirittura rase totalmente al suolo” in tutto l’Egitto, secondo quando dichiara padre Rafic Greiche, portavoce dei vescovi cattolici egiziani. (Ansamed, 16)
Giovedi, 15 agosto. Al Cairo, il traffico è ripreso lentamente dopo il coprifuoco della notte senza segnalazione di incidenti. Fuma ancora il campo Rabaa Al Adawiya, il principale centro di scontri del giorno precedente. Un centinaio di cadaveri avvolti in lenzuola bianche sono allineati a terra nella vicina moschea di Al Iman, mentre i volontari stanno cercando di stilare un elenco delle vittime. Il bilancio ufficiale registra – come detto – 525 morti in tutto il paese, tra cui 482 civili. Avvolta dal fumo anche la Moschea di Al Iman, al centro della piazza Rabaa Al Adawiya, nella quale la Fratellanza Musulmana aveva stabilito il proprio quartier generale. L’esercito controlla i punti strategici del Cairo e Adawiya Rabaa Al Nahda, e ha avvertito che il governo ad interim non tollererà alcuna violenza o nuovi sit-in. Nelle ultime ore si è fatto più intenso il sorvolo della capitale da parte di elicotteri militari. Un poliziotto egiziano è stato ucciso ieri durante la nuova ondata di disordini in corso al Cairo. Lo sostiene l’agenzia ufficiale di stato Mena. Massima allerta al Cairo e in tutto l’Egitto per il “venerdì della collera” indetto dai Fratelli musulmani dopo l’uccisione di oltre 600 manifestanti pro-Morsi mercoledì. Il popolo egiziano “continuerà la sua resistenza pacifica fino a che i golpisti non se ne andranno”, ha tuonato la guida dei Fratelli musulmani, Mohamed el Badie. L’esercito egiziano presidia i siti strategici al Cairo, mentre si sta estendendo la chiusura delle strade di accesso al centro della capitale. Si passano i checkpoint solo a piedi, dopo estenuanti controlli. Chiuso anche il ponte 6 ottobre, una delle principali arterie della capitale.
Questa è attentamente e continuamente sorvegliata da elicotteri dell’esercito in continuo hovering.
Altissima la tensione nella moschea El Salaam, nel quartiere di Nasr City, per i funerali di Asma, la figlia di Mohamed el Beltagui, uno dei leader del partito Giustizia e libertà, braccio politico dei Fratelli musulmani, uccisa mercoledì in piazza Rabaa.
Ad Alessandria si è tenuto un corteo di Fratelli musulmani per denunciare un “genocidio”, ma le manifestazioni più violente si hanno in Medio e Alto Egitto. A Fayoum, Minya e Sohag, province dominate da un movimento estremista alleato con i Fratelli Musulmani, le manifestazioni si trasformano rapidamente in attacchi contro edifici pubblici, come i tribunali e le sedi amministrative. Due poliziotti sono stati uccisi nel Nord e nel Centro. Sostenitori di Morsi hanno anche bruciato la sede di Giza. Almeno sette soldati sono stati uccisi da uomini armati nel Sinai settentrionale. Ma l’obiettivo principale continuano ad essere i Cristiani, numerosi nel Medio e Alto Egitto. Chiese, negozi e case copte sono saccheggiate o bruciate. è salito ad almeno 40 il numero di chiese, fra cui 10 cattoliche, “razziate o date alle fiamme se non addirittura rase totalmente al suolo” in tutto l’Egitto, secondo quando dichiara padre Rafic Greiche, portavoce dei vescovi cattolici egiziani. (ANSAmed). I cristiani, diversi milioni in Egitto, sono divenuti il bersaglio preferito degli islamisti. La Maspero Youth Union, movimento giovanile copto, ha denunciato una “guerra di rappresaglia”, perché il Papa copto Tawodros II aveva sostenuto l’esercito durante la destituzione e l’arresto di Mohamed Morsi. I sostenitori dell’ex Presidente cercano anche di mettere in difficoltà il governo contro la maggioranza musulmana, costringendolo a difendere quelli che chiamano “gli adoratori della croce”.
In segno di protesta contro la repressione attuata dall’Esercito, Mohamed El Baradei premio nobel per la pace nel 2005 e vicepresidente del governo provvisorio di transizione, figura progressista e moderata, molto conosciuto e stimato all’estero, soprattutto in Europa, si è dimesso dall’incarico governativo. Nella lettera al presidente ad interim, nel dirsi sicuro che si sarebbero potute percorrere strade meno pericolose e di minore rigidità verso la parte avversa, afferma: “Mi è diventato difficile di proseguire ad assumere la responsabilità di decisioni con le quali non sono d’accordo”.
Sul piano internazionale, il 15 mattina l’Egitto ha annunciato la chiusura del suo collegamento con la Striscia di Gaza per un periodo indefinito.
Nella notte, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha chiesto a tutte le parti la fine delle violenze in Egitto e esorta alla massima moderazione, ma non sembra che l’appello sia destinato a essere accolto.
Navi Pillay, Alto Commissario delle Nazioni Unite in materia di diritti umani, ha richiesto lo svolgimento di un’inchiesta sulle aggressioni delle forze egiziane.
Durante la stessa giornata Francia, Germania e Inghilterra hanno convocato i propri ambasciatori in Egitto.
La Turchia, che aveva duramente condannato la repressione dall’esercito contro i manifestanti, mercoledì 14 ha denunciato l’inerzia della comunità internazionale. “Mi rivolgo ai paesi occidentali: non avete detto niente per Gaza, Palestina, Siria, dove sono state uccise più di 100.000 persone (…) Non avete detto niente e non dite niente in Egitto. Come potrete allora parlare in questa fase della democrazia, della libertà e dei diritti umani?”, accusa il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan.
La reazione della Casa Bianca, attesa con ansia, è arrivata nel pomeriggio. Gli Stati Uniti, che sostengono l’esercito egiziano con l’aiuto di 1,3 miliardi dollari l’anno e che avevano previsto manovre militari congiunte, condannano per bocca di Obama con forza le misure adottate dal governo provvisorio egiziano e annullano le manovre suddette.
Un ulteriore elemento di criticità è costituito dall’enorme quantità di turisti stranieri presente in Mar Rosso. Si pensi che solo gli Italiani sono 19.000. Il governo tedesco ha invitato i tour operator nazionali a chiudere sino al 15 settembre, salvo prolungamento del periodo, dipendentemente dall’evoluzione della crisi.
“Francia e Italia convengono sul fatto che la crisi abbia ormai passato il limite, e che il livello di violenza e di repressione sia divenuto inaccettabile e deve, pertanto, cessare”. Così il premier Enrico Letta riferisce l’esito del colloquio telefonico con il presidente francese Francois Hollande.
Tutti i Paesi europei stanno attuando misure molto simili a quelle tedesche. Dopo la decisione della Merkel, tutti i Paesi europei stanno ponendo progressivi veto sulle escursioni in terra egiziana e, è notizia dell’ultima ora, al mantenimento in esercizio delle strutture turistiche del Mar Rosso.
Un’evacuazione molto precipitosa e concentrata, che interesserebbe un numero di un centinaio di migliaia di persone circa, potrebbe, tuttavia, mettere in crisi non solo le compagnie, ma lo stesso aeroscalo di Sharm el Sheick.
La Farnesina non nasconde una forte apprensione al riguardo.
Enrico La Rosa