Dai Sumeri al progetto “Eden Again”: la mezzaluna fertile che si trasforma in Iraq

Negli ultimi anni l’Iraq è stato molto più di un semplice Stato: si è svestito dei suoi confini territoriali per divenire un nucleo informativo di primissimo livello. Le guerre, internazionali e civili, che lo hanno visto protagonista, non lo hanno lasciato illeso, ma ne hanno cambiato fisionomia e sfaccettature a tutti i livelli: dal politico, al sociale, al sociologico, all’economico, all’idrico.

Il territorio iracheno è variegato: spazia dalla costa, alla pianura, ai picchi montuosi: nonostante questa apparente varietà, bisogna ricordare che il 40% di tutto il territorio è desertico. L’Iraq è diviso in diciotto distretti amministrativi, di cui tre, Arbil, Dohuk e As Sulaymaniyah, sono in una regione autonoma del nord. La popolazione è concentrata prevalentemente nelle città: un’effimera illusione di ricchezza. Il contesto urbano iracheno è infatti una costruzione ecologica di povertà: gli slums occupano il 52,8% della superficie cittadina, un segno sia dello squilibrio che la Nazione ha vissuto negli ultimi anni, sia un simbolo dell’incapacità di creare degli status ambientali vivibili per tutti i cittadini. Le città si sono estese senza tener conto di alcun piano regolatore: un simile strumento nell’organizzazione irachena non è  mai esistito.

Come la maggior parte del Paesi mediorientali, anche l’Iraq deve far fronte alla crescita demografica, da allineare alla scarsezza di risorse che questa può comportare o aggravare. In ambito idrico, se nel 1991 l’accesso alle risorse d’acqua era garantito per il 100% nelle aree urbano e solo per il 54% in quelle rurali, l’imperversare delle Guerre del Golfo e delle guerriglie civili hanno modificato questo status quo. I dati reperiti nel 2008 mostrano un accesso del 91% in città e del 55% nella aree agresti. Stabilire con esattezza la portata idrica del Tigri e dell’Eufrate in Iraq è difficile poiché i documenti non solo sono rari ma soprattutto discordanti. Per migliorare l’efficienza della distribuzione idrica, ridurre al minimo le perdite e aumentare la qualità dell’acqua stessa, il governo ha avviato, nel corso degli anni passati, la costruzione di corsi d’acqua artificiali, il cui scopo è quello di raccogliere le acque di scarico. Uno dei bacini artificiali più efficienti è il Third River, chiamato in passato anche Saddam River: ultimato nel 1992, il suo scopo era fungere da sbocco per gli scarichi urbani di Baghdad. Per recuperare risorse idriche, sono sorti in Iraq ben undici impianti di trattamento delle acque reflue, dei quali tre sono situati nella sola città di Baghdad. Proprio nella città si trovano i due impianti maggiori: il primo è Al-Rustumia, il quale gestisce un gettito di 204 milioni di m3 all’anno; il secondo è l’impianto di Al-Karkh, che gestisce un flusso minore ma non di certo esiguo, pari a 150 milioni di metri cubi l’anno.

DIGA

FIUME

ANNO COSTRU-ZIONE

ALTEZZA IN M

CAPACITA’

IN MILIONI

DI M3

Mosul Tigri

1983

131

12.500

Derbendi Khan Diyola

1962

128

3.000

Dokan Little Zab

1961

116

6.800

Haditha Eufrate

1984

57

8.200

Hamrin Diyola

1980

40

4.000

Dibbis Little Zab

1965

15

3.000

Samarra- Thar Thar Tigri

1954

72.800

La cultura idraulica dell’Iraq è forse la più antica al mondo. I segni del primo acquedotto costruito circa nel 6000 AC sono stati ritrovati proprio in questa terra: il canale più importante era chiamato “the great Nahrawan” ed era lungo trecento metri e largo trenta. L’Iraq era in passato dominato da floridissime civiltà che videro nell’impiantistica idraulica e nella sua applicabilità all’agricoltura la base per la loro grandezza. Furono in primis i Sumeri, così chiamati perché stabilitisi attorno la città di Sumer nel sud della regione, ad inventare la primaria forma di irrigazione per migliorare la portata agricola della regione meridionale in cui risiedevano, più soggetta a temperatura aride e torride. Attualmente, il potenziale di irrigazione è di 5.550.000 ettari, di cui il 63% appartiene al bacino del Tigri, il 35% all’Eufrate e il 2% allo Shatt-Al-Arab. In verità, queste percentuali variano a seconda del flusso dei fiumi, condizionato non solo dalle varianti naturali, ma soprattutto dal volume d’acqua rilasciato dagli Stati a monte del bacino. Negli anni ottanta il governo si è impegnato anche per incrementare gli investimenti nel settore agricolo, facendo convergere su di esso i ricavi della vendita del petrolio. Molto denaro è stato predisposto per la costruzione di opere di irrigazione, andate però per lo più distrutte durante la prima guerra del Golfo. Al momento, è il MWR, ovvero il Ministero delle Risorse Idriche, a decidere tutti i provvedimenti in ambito idrico e agricolo. Il compito più aspro che il dicastero ha dovuto affrontare è la ricostruzione degli impianti dopo l’operazione Iraqi Freedom. In questo senso si è mossa anche Iraq Foundation, con il progetto Eden Again, il cui scopo è quello di bonificare le paludi del Sud e di rinverdire una zona completamente essiccata dai disastri ambientali e dalle ripercussioni militari: una pianura che in antichità aveva un’estensione di 17.000 km2 ha ora un’estensione ridotta oltre la metà, pari a 3000 km2. Che vi sia davvero l’intenzione di far tornare l’Eden nelle aride terre irachene è indubbio: è l’applicabilità ad essere sotto osservazione. Di certo la qualità dell’acqua è il primo fattore da analizzare. Sebbene sia il Tigri che l’Eufrate abbiano a monte un’apprezzabilità non indifferente, lo scorrimento chilometrico lungo delle terre inquinate provoca un innalzamento dell’inquinamento nell’Iraq. Inoltre, manca un adeguato sistema di monitoraggio delle acque, con la conseguente impossibilità di stabilirne la sfruttabilità nell’irrigazione. Un accordo tra i Paesi rivieraschi è da considerarsi impellente in particolar modo per la pianura della Mesopotamia, dato che si attende una crisi idrica già per il prossimo 2020: tutti i Paesi del bacino richiedono una dose sempre maggiore di acqua per il sostentamento della propria popolazione in crescita e per favorire l’economia nel settore primario. La necessità di integrare gli sforzi per il miglioramento della gestione delle risorse è indiscutibile.

Adele Lerario