di Umberto Montuoro
Lo ius post bellum. “Lessons learned” per l’obbligo di protezione umanitaria in Siria e nuova articolazione del diritto dei conflitti armati [1]
Lo Ius ad bellum e lo ius in bello, ovvero la legittimità di ricorrere all’uso della forza armata e la disciplina della condotta delle ostilità, hanno rappresentato le naturali declinazioni giuridiche dei due principali piani di interesse fino alla loro fusione in un unico sistema normativo, avvenuta con l’emanazione dei due Protocolli Addizionali del 1977, alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949.
Le difficoltà di funzionamento del Consiglio di Sicurezza hanno costituito un’ulteriore potente spinta all’elaborazione e all’individuazione di soluzioni applicative in seno all’Onu, in merito ai requisiti di legittimazione ad agire in missioni umanitarie ed in tema di previsioni di lungo periodo relative all’intero intervento di ripristino della pace. Opera di interpretazione, eminentemente di natura evolutiva, portata avanti con intensità dal 2005[2], in molteplici articolazioni istituzionali e fori negoziali delle Nazioni Unite, al fine di garantire la terzietà del processo di valutazione, anche per consensus, degli orientamenti adottati. In tal senso, la dottrina dell’obbligo di protezione fissa lo stato dell’arte in materia.
Ma le esperienze acquisite in questi ultimi anni, all’indomani della conclusione delle fasi propriamente di conflitto armato interno o internazionale (la situazione creatasi in Iraq, ad esempio, costituisce un’ipotesi paradigmatica), inducono a spostare in avanti il punto focale della prospettiva d’insieme. In tal senso, non sono più esclusivamente rilevanti per la Comunità internazionale le categorie dello ius ad bellum e dello ius in bello, quest’ultimo, diritto di guerra applicabile alla sfera territoriale ed alle prerogative sovrane degli Stati solo durante la situazione di conflitto. Si trasla in avanti con le proiezioni della situazione post conflitto, il reale “centro di gravità” del complesso processo di pianificazione operativa dell’intera missione e di stabilimento o ricostruzione delle condizioni di ordinario svolgimento della vita sociale, economica ed istituzionale del Paese nel quale si realizza l’intervento di protezione umanitaria. Emergono, dunque, testimoniate con la forza mediatica offerta quotidianamente dai circuiti televisivi e dai social media, non solo le difficoltà di protezione della popolazione civile durante la fase – comunque circoscritta temporalmente – di svolgimento delle operazioni militari, ma soprattutto del “dopo”il conflitto, quando la violenza, seppur non più di intensità bellica, non cessa di mietere numerose vittime civili e militari mediante infiniti atti di terrorismo.
Lo ius post bellum, un certamente ridefinito terzo quadro giuridico di riferimento, appare acquisire determinante rilevanza per l’avvio dell’intero ciclo di adozione di misure, implicanti o non implicanti l’uso della forza, ai sensi della Carta di San Francisco. È questa la rinnovata frontiera del diritto dei conflitti armati, un nuovo insieme di cardini irrinunciabili sul quale ruota l’azione di legittimazione ad agire e la preposta ciclopica macchina delle Nazioni Unite.
La spinta all’intervento in Siria, avanzata, in un recentissimo passato, con anacronistica enfasi, in particolare, dalla Gran Bretagna e dalla Francia, nell’ambito dell’Alleanza Atlantica, si è fermata, ad oggi, di fronte all’insperata ardua conduzione dei negoziati internazionali, sotto l’alta vigilanza e l’egida dell’ONU, relativi all’eliminazioni degli arsenali di armi chimiche presenti in terra siriana. In questo caso, l’Unione europea, quale assetto regionale, ha svolto un ruolo finalmente dinamico e di reale mediazione diplomatica.
L’applicazione evolutiva e un’interpretazione sistematica più “progressista” ed avanzata delle norme e degli istituti di diritto internazionale, non solo appartenenti al piano del diritto dei conflitti armati, proiettano in avanti il conseguimento d’ordine sostanziale, e non meramente formale, delle pretese giuridiche in materia di protezione delle popolazioni civili, in aree così gravemente tormentate da situazioni di complessa conflittualità interna.
Conflitto armato interno quello siriano, alimentato anche da inedite, per dimensioni numeriche, aliquote di combattenti stranieri, legittimi od illegittimi che siano, ai sensi delle vigenti disposizioni del diritto dei conflitti, accorrenti sulla base di un integralismo islamico di portata transnazionale. All’azione dei combattenti stranieri, approdati nel territorio siriano, si affiancano i flussi finanziari e di rifornimenti di materiali d’armamento provenienti “presumibilmente” da Stati terzi.
Anche l’applicabilità delle norme attinenti al cosiddetto diritto di neutralità, in ipotesi, riprende rilevanza per alcuni quadri di alleanze e per alcune organizzazioni regionali.
Un passo indietro nel tempo: “in presa diretta”, i mesi di maggio e giugno del 2011
Il ruolo svolto, a suo tempo, dalla componente LEGAD (ovvero dai Consiglieri Giuridici, i legali “con le stellette” preposti alle funzioni di consulenza giuridica) nei vari livelli di comando, nella conduzione delle missioni aeree della NATO nel 2011, si è rivelato determinante per il preciso assolvimento del mandato assegnato dalle Nazioni Unite nel complesso scacchiere libico, esauritosi con la conclusione del conflitto armato.
La protezione di valori assoluti ed irrinunciabili come il diritto alla vita e all’incolumità fisica della popolazione civile libica, di entrambe le parti in conflitto, ha rappresentato il reale baricentro sul quale fondare ogni scelta e attività operativa compiuta dall’Italia.
In particolare, l’alta soglia di attenzione ed i meccanismi procedurali di controllo di carattere ciclico, adottati nella difficile selezione degli obiettivi militari, hanno consentito di operare nel più completo rispetto dei principi e delle norme di diritto internazionale umanitario, vigenti per l’Italia. aeree intraprese, portate a compimento o modificate in relazione alla mutevolezza delle condizioni del teatro di battaglia. Alcune operazioni sono state annullate in relazione a sopravvenute situazioni ambientali che non garantivano più l’iniziale cornice di sicurezza per la popolazione civile.
Questo insieme di intense cautele e la precisa volontà, in particolare itaa, di agire con la forza del diritto e nel suo coerente rispetto ha comportato inevitabilmente un prolungamento dei tempi e una maggiore difficoltà nella gestione operativa nazionale delle sortite aeree.
La complessa macchina organizzativa predisposta dalla Nato per questa specifica esigenza è stata strutturata su tre livelli d’intervento con processi di pianificazione operativa articolati su più giorni, concepiti in un’ottica di perfezionamento ciclico delle missioni con possibilità di revisione delle modalità di compimento, di rimodulazione dei siti da neutralizzare e dei tempi d’intervento, in relazione anche alla presenza di persone in prossimità degli obiettivi.
Queste capacità di autocorrezione sono state previste a tutti i livelli operativi interessati, fino a comprendere le attività dei singoli Gruppi di Volo, più volte capaci di identificare “danni collaterali” non rilevati in precedenza e di salvare vite umane di persone estranee ai combattimenti, avvalendosi delle componenti intelligence di reparto impegnate nella fotointerpretazione dei dati acquisiti nelle ricognizioni aeree. Le conclusioni alle quali pervenivano i gangli periferici di questo sistema complesso hanno salvato molte vite innocenti e perfezionato l’azione operativa dell’intero dispositivo nazionale e degli alleati. In questa prospettiva gli italiani hanno davvero brillato per impegno e dedizione alla coerente interpretazione delle complesse Regole di ingaggio, fissate in ambito NATO, con la consueta salvaguardia dei vincoli giuridici discendenti dal quadro normativo italiano, mediante i cosiddetti caveats, specifiche previsioni derogatorie nazionali al contenuto della ROE (Regole di ingaggio) NATO.
In tal senso, l’Italian style nell’assolvimento di missioni sotto l’egida dell’ONU, nel quadro della cooperazione con altri Stati membri dell’Alleanza Atlantica, ha qualificato sempre in modo straordinario la coerenza dell’azione delle Forze Armate italiane con il mandato assegnato dal Consiglio di Sicurezza, riscuotendo preziosi consensi tra la Comunità internazionale per l’intenso impegno dispiegato nel rispetto delle disposizioni di diritto umanitario.
Lo scenario: la missione “Unified Protector”
L’architrave sulla quale è edificata l’intera architettura normativa del sistema di sanzioni disposte dall’ONU e le “all necessary measures” è rappresentata dalla “protezione della popolazione civile e le aree popolate da civili sotto la minaccia di attacchi” (Ris. 1973/2001, para 4, in S/RES/1973 2011). Queste sono le inderogabili coordinate di riferimento entro le quali necessariamente si sono sviluppate tutte le attività operative prima dell’Odyssey Dawn, poi nell’ambito della NATO, della Unified Protector.
La condanna da parte della Lega Araba, dell’Unione Africana e dell’Organizzazione della Conferenza islamica dell’uso violento della forza e della grave e sistematica violazione dei diritti umani compiuti dal vertice politico-militare della Jamahiriya Araba di Libia ha rappresentato un’importante ulteriore condizione e presupposto di legittimazione all’intervento. Il consenso all’intervento di protezione prestato non da parte del singolo Stato sovrano interessato, ma dalle organizzazioni regionali di cui è Stato membro la stessa Jamahiriya Araba di Libia, rappresenta una richiesta qualificata in questa direzione.
Il progressivo deteriorarsi della situazione e l’incremento delle perdite di vite umane tra la popolazione civile, evidenziato nelle premesse della ris. 1973, sono legati ad un disegno organicamente predisposto dalle vecchie autorità di governo libiche, orientato a soffocare ogni tentativo di manifestazione di dissenso in piazza. Emerge, dunque, dalle informazioni pervenute e dalle fonti di cognizione utilizzate dal Consiglio di Sicurezza, una vera e propria regia governativa nell’opera di pianificazione, controllo e direzione di tali “serius violations”, non circoscrivibili a disordinati ed estemporanei atti di violenza compiuti da singoli individui o da isolate articolazioni delle Forze di polizia o dalle Forze Armate libiche. In tal modo, l’obbligo primario di protezione della propria popolazione civile è risultato gravemente leso, nel timore di un allargamento entro i confini nazionali dei moti della “primavera araba”.
L’istituzione della no Fly Zone, dunque, è volta ad impedire ogni tipologia di sorvolo nello spazio aereo libico, ad esclusione dei voli di carattere umanitario, al fine di far cessare un tale uso sproporzionato e indiscriminato della forza contro popolazioni inermi, completamente privo di qualsivoglia ammissibilità giuridica. Il divieto di sorvolo, infatti, non è applicato ai precitati voli di natura esclusivamente umanitaria, tesi a facilitare le operazioni di assistenza, le forniture mediche ed alimentari, del personale sanitario e delle attività umanitarie collegate, oltre ai voli di evacuazione e a quelli espressamente autorizzati. La garanzia dell’incolumità delle popolazioni civili, infatti, è l’unica finalità rinvenibile in modo espresso nel testo della risoluzione 1973. Analoghe finalità sono perseguite mediante l’imposizione dell’embargo sulla fornitura di armi al vecchio regime libico.
L’ascrivibilità alla categoria dei crimini contro l’umanità degli attacchi sistematici e su vasta scala contro la popolazione civile ha determinato la decisione del Consiglio di Sicurezza, contenuta già nella ris.1970, di attivare i poteri di indagine connessi alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale per i fatti accaduti in terra libica.
La grave e sistematica violazione dei diritti umani, quale minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, è divenuta un’interpretazione ampiamente consolidata in questi ultimi anni dalla dottrina internazionalistica e dalla prassi seguita dal Consiglio di Sicurezza. Il principio di protezione della popolazione civile da gravi, persistenti e sistematiche violazioni dei diritti umani, primo fra tutti il diritto alla vita ed alla incolumità fisica, è divenuto un baluardo condiviso di civiltà giuridica in sede ONU.
Il Task Group Air BIRGI di Trapani
Nel predisporre un adeguato dispositivo, l’Alleanza Atlantica ha ritenuto opportuno concepire un sistema di pianificazione e controllo multilivello, complessivamente anche sul piano della legittimità ai sensi del diritto internazionale umanitario.
In estrema sintesi, il trinomio costituito dall’apposito Comando interalleato insediatosi a Napoli, il Comando Operativo delle Forze Aeree (COFA) di Ferrara e il Task Group Air BIRGI rappresenta l’ossatura decisionale principale dello strumento operativo concretamente utilizzato per l’impiego degli aeromobili messi a disposizione dall’Aeronautica Militare.
In tal senso, infatti, il 37° Stormo ha visto potenziate le proprie strutture organiche ed il proprio potenziale di reparti di volo con il rischieramento di numerosi Gruppi provenienti da altri Stormi e dalle diverse linee di volo specializzate per tipologia d’impiego.
L’Italian National Contingent Commander Air, quindi, ha coordinato le attività e le missioni di un apparato composito e multiruolo, probabilmente mai costituitosi in precedenza in egual misura. Il maggior polo di concreta attuazione delle missioni aeree pianificate con aeromobili dell’Aeronautica italiana, dunque, è da individuarsi sulla Base di Trapani Birgi.
Ogni giornata operativa, a partire dall’assegnazione del mandato, è scandita da breafing, caratterizzati da una diversa impostazione ma accomunati da un unica prospettiva: il lavoro di squadra. In questa prospettiva le responsabilità dei Comandanti dei singoli Gruppi di Volo si sono fuse sotto la direzione Italian National Contingent Commander Air. Interessante notare, come la presenza del LEGAD, a differenza delle componenti logistiche e tecnico-operativa, sia stata sempre prevista in questi appuntamenti fissi.
Le ragioni sono facilmente rinvenibili nell’articolato spettro di competenze legali da considerare, non circoscritte unicamente alla verifica dell’applicazione delle previsioni di diritto umanitario e internazionale, ma estese all’intero operare del dispositivo di uomini e mezzi. I profili legali considerati spaziano dalle questioni disciplinari e penali alle ipotesi, ad esempio, di sinistri stradali coinvolgenti personale italiano od estero presente sull’Aeroporto.
Il Ruolo del LEGAD
Quale prima fondamentale premessa di carattere metodologico, appare opportuno evidenziare che le funzioni svolte dal LEGAD, ai vari livelli ordinativi interessati dalla missione Nato Unified Protector, hanno abbracciato un orizzonte operativo composito.
Il cuore dell’analisi giuridica effettuata è rappresentata dalle valutazioni di legittimità sul piano del pieno rispetto delle disposizioni di diritto internazionale umanitario nella conduzione delle operazioni.
Tuttavia, non sono mancate prospettive attinenti propriamente al piano del “diritto dei trattati” nell’opera di puntuale riscontro delle specifiche clausole di accordi bilaterali o multilaterali dei quali l’Italia è parte. Tale minuzioso riscontro, è stato legato alla risoluzione di precise esigenze operative da soddisfare in velocità e nel rispetto di tutti i requisiti rilevanti. Requisiti estesi dalla sicurezza delle attività realizzate in volo a quelle dell’eventuale sorvolo di spazi aerei di Stati “amici” o di eventuali atterraggi in sicurezza di aeromobili in grave avaria, armati e dotati di preziosi apparati tecnologici, alla sicurezza degli equipaggi in quegli stessi Stati. Si è originata, dunque, la necessità di procedere alla negoziazione di ulteriori specifici Technical Agreement, accordi di attuazione in forma semplificata dalla rapida e tempestiva possibilità di stipula ed entrata in vigore.
Ma le aree di interesse si sono estese anche all’esame delle numerose questioni legate alle pertinenti previsioni del quadro legislativo nazionale, dagli aspetti di natura civilistica, fiscale ed amministrativa a quelli appartenenti al merito disciplinare o penale, in quest’ultima ipotesi anche di personale estraneo all’Amministrazione della Difesa.
In particolare, in merito ai poco visibili ma molto rilevanti e concreti profili fiscali ed amministrativi applicabili ad un numero non esiguo di personale affluito sulla Base, mi piace citare, a titolo esemplificativo, un frammento di un parere del tutto informale, ma di preziosa utilità interpretativa, a suo tempo rilasciato in velocità in pochi giorni ed in spirito di intensa cooperazione interministeriale nella terza decade di maggio 2011 dalla competente articolazione del Ministero degli Affari Esteri. Un piccolo grande risultato conseguito in una materia notoriamente insidiosa e pretenziosa dei consueti lunghi tempi tecnici.
“Come è noto, il 27 marzo gli Stati membri della NATO hanno deciso di affidare all’Alleanza le missioni militari già in corso, in attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1973. Ciò significa che da quella data, alle forze aeree degli Stati membri dell’Alleanza presenti nel territorio italiano si applicherà la disciplina di cui al NATO SOFA (Status of Force Agreements)[3]. D’altronde, queste forze rientrano pienamente nell’ambito applicativo del citato accordo in conformità all’art. I. Egualmente nell’ambito applicativo del NATO SOFA rientra il personale civile che corrisponda alla definizione di cui all’art. I. Pertanto a queste forze e al personale civile dovranno essere applicate tutte le previsioni del NATO SOFA, incluse quelle relative a facilitazioni, anche di carattere fiscale, a privilegi e al regime giurisdizionale. In particolare, tra le disposizioni interamente applicabili rientra l’art. III del NATO SOFA, il quale stabilisce procedure semplificate e più rapide quanto all’ingresso e all’uscita dal territorio dello Stato ospite del personale militare.
Ai sensi di quest’ultima norma, lo Stato ospite deve esentare il personale militare dalla normativa interna in materia di passaporti, visti e controlli di immigrazione, sia al momento dell’ingresso sia al momento dell’uscita. Invece, i soli documenti che debbono essere richiesti sono: la carta di identità, che presenti i requisiti indicati nel par. 2, lett. a) dell’art. III del NATO SOFA e l’ordine, individuale o collettivo di spostamento, anch’esso presentante i requisiti di cui al par. 2, lett. b) dell’art. III. Conseguentemente, altri ulteriori adempimenti a carico del personale militare straniero dovranno considerarsi in contrasto con il disposto del NATO SOFA.” Interpretazione questa di notevole ausilio, nelle more di una previsione espressa fissata in uno specifico accordo internazionale stipulato per la missione.
Le attività operative, quindi, hanno proceduto di pari passo con una quanto mai tempestiva consulenza legale, di livello e vocazione anche interministeriale.
In estrema sintesi, è possibile compendiare le attività del Consigliere Giuridico, in questo caso, collocato nel seno del costituito “Task Group Air BIRGI” (TGA) sull’Aeroporto di Trapani Birgi, 37° Stormo, in tre principali canali d’utenza istituzionale.
Le funzioni di consulenza legale dirette, innanzitutto, all’Italian National Contingent Commander Air, al fine di supportare, per quanto di competenza, la sua azione di comando. In secondo luogo, la consulenza si è rivolta alla decisionalità dei Comandanti dei molteplici Gruppi di Volo, rischierati sulla Base per le missioni, nonché, a tutto il personale militare e civile già presente o in costante afflusso ed avvicendamento per l’ottimale funzionamento del “Task Group Air BIRGI”.
La stessa collocazione organica del LEGAD all’interno dell’organigramma della TGA, preposto alle dirette dipendenze funzionali e gerarchiche del National Contingent Commander Air, risulta essere un dato ordinativo ampiamente eloquente. La dignità formale e sostanziale delle funzioni svolte è assicurata fin dal principio dall’intera organizzazione di Forza Armata e della stessa Nato, collocandolo direttamente nel vertice decisionale del Comando interessato. In modo analogo è stato previsto per i livelli sovraordinati.
La casistica da esaminare, formatasi in questi mesi, non appare purtroppo povera. A mero titolo esemplificativo, sembra sufficiente citare la singolare quanto sconcertante ipotesi costituita dalla condotta di imperterriti disturbatori provvisti di laser accecanti puntati sugli aeromobili in decollo ed atterraggio.
Lo stesso quadro giuridico di riferimento per il personale impiegato nell’operazione è da ritenersi complesso. L’applicazione “temporanea” del regime giuridico e amministrativo derivante dall’accordo quadro NATO (SOFA NATO del 1951) è stata funzionale a disciplinare in astratto le esigenze e il riparto della giurisdizione civile e penale del personale dell’Alleanza sulla Base. Il personale italiano, invece, è rimasto pienamente soggetto alle norme penali, civili, amministrative e alla giurisdizione nazionale.
Ha costituito, inoltre, materia di riflessione e di analisi, nella sede dei breafing tenuti al personale in afflusso sulla Base, anche la consapevolezza dell’applicazione del Codice penale militare di guerra, con il maggior rigore sanzionatorio per la violazione dei doveri durante la prima parte della missione. L’ormai “famoso” art. 9, in epigrafe, “Corpi di spedizione all’estero”, in realtà nelle sue previsioni letterali dispone che: “Sono soggetti alla legge penale militare di guerra, ancorché in tempo di pace, i corpi di spedizione all’estero per operazioni militari armate, dal momento in cui si inizia il passaggio dei confini dello Stato o dal momento dell’imbarco in nave o aeromobile ovvero, per gli equipaggi di questi, dal momento in cui e’ ad essi comunicata la destinazione alla spedizione.
Limitatamente ai fatti connessi con le operazioni all’estero, la legge penale militare di guerra si applica anche al personale militare di comando e controllo e di supporto del corpo di spedizione che resta nel territorio nazionale o che si trova nel territorio di altri paesi, dal momento in cui è ad esso comunicata l’assegnazione a dette funzioni, per i fatti commessi a causa o in occasione del servizio”.
Il Ciclo della pianificazione operativa della NATO e la garanzia del Diritto Internazionale Umanitario
È stato predisposto dalla Nato un sistema multilivello di pianificazione, comando e controllo di tutte le singole operazioni, concepite su finestre temporali assegnate agli Stati partecipanti ad Unified Protector.
La chiave di volta dell’intero sistema è costituita da un efficace processo ciclico di pianificazione operativa articolato su tre giorni. Questa scelta procedurale consente di affinare progressivamente la “risoluzione visiva” degli obiettivi, evitando imprecisioni e conseguendo alta precisione nella realizzazione delle sortite aeree.
Il centro di fusione delle scelte è rappresentato dall’esame congiunto dei profili di legittimità sul piano delle norme di diritto umanitario, riducendo al minimo i rischi di danni collaterali sulla popolazione ed i suoi mezzi primari di sostentamento, e delle informazioni fornite dall’intelligence. Informazioni e dati provenienti da due distinti piani di alimentazione. Il primo è costituito dall’analisi quotidiana delle fonti intelligence humint, di derivazione satellitare con l’osservazione della terra diurna e notturna da parte dei sofisticati sensori in possesso dell’Alleanza come degli Stati membri, dalle fonti aperte come i giornali stampati e televisivi, o da internet. I Servizi d’informazione militari hanno fornito il loro prezioso contributo.
Accanto a questa ininterrotta massa di dati grezzi e di informazioni, filtrati, elaborati e presentati in sede di Security Inprocessing Briefing, si pone la fondamentale analisi prodotta dalle Cellule intelligence incardinate nei singoli Gruppi di Volo, in particolare della linea Tornado, prodotta dalla fotointerpretazione dei siti da neutralizzare. Su questo secondo settore dell’attività intelligence, propriamente operativa, si esprimono e permangono sul piano giuridico anche le responsabilità individuali dei Comandanti di Gruppo e d’aeromobile che in sinergia con l’Italian National Contingent Commander Air portano all’attenzione dei Comandi superiori per le eventuali autorizzazioni alle modifiche da apportare alle liste dei targets.
È stata predisposta dalla Nato una puntuale e minuziosa codifica della previsione ex ante dei danni collaterali legati ai target, compendiabile in sintesi per evidenti ragioni di sicurezza nel seguente schema puramente riassuntivo:
- Sono articolati da a 1 a 5 i diversi livelli decisionali di autorizzazione alle missioni;
- Il Ciclo di pianificazione operativa è stato costruito su 3 giorni: X-2 gg dalla mix;
- “Deliberate targets” sono comunicati il giorno X-2 dalla mix;
- “Dynamic targets” sono comunicati il giorno X-1 dalla mix.
L’attenzione per le cosiddette “misure precauzionali”, discendenti dalle norme fissate nelle convenzioni di diritto umanitario, è stata la stella polare di riferimento per la salvaguardia dell’incolumità della popolazione civile.
Appare importante evidenziare che questa particolare cura nel rispetto delle norme ha rallentato inevitabilmente l’andamento delle operazioni. Il cosiddetto End State, ovvero l’obiettivo da conseguire non era certo la debellatio della Libia, mediante il collasso delle sue strutture civili e delle sue infrastrutture primarie, come ponti, strade, ferrovie, energia elettrica, telecomunicazioni ed altri gangli vitali per la vita di un Paese, bensì la tutela della popolazione civile di entrambe le Parti in conflitto, poste su una base di assoluta parità e dignità umana e giuridica.
In questa direzione, è stata adottata nella redazione delle ROE un’attenta “codifica” dei fattori culturali relativi alle aree d’interesse. Si è prestata attenzione agli orari degli uffici e delle diverse fasce di frequentazione delle strade, dei luoghi pubblici, privati e delle aree abitate.
Ad esempio, un caso concreto di annullamento di mix per danni collaterali eccessivi è stato legato all’intervenuto riconoscimento della qualità di edifici destinati ad uso abitazione e non adibiti ad uffici. Anche nelle ore notturne risultavano abitati ed i vicini depositi di mezzi dell’esercito libico non risultavo più essere un obiettivo militare legittimo. Oppure depositi militari vicini a strade e abitazioni che pur se danneggiate erano ancora utilizzate. Le nuove valutazioni inserite nel ciclo operativo sono state rappresentate dalla TGA e approvate dal Superiore Comando delle Forze Aeree. L’art. 57, in epigrafe, “Precauzione negli attacchi”, II comma, lettera b., del I Protocollo Addizionale del 1977 alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, in questo caso non è risultato essere una vuota previsione, ma un preciso precetto giuridico per l’Aeronautica Militare italiana: “un attacco sarà annullato o interrotto quando ci si può attendere che esso provochi incidentalmente … una combinazione di perdite umane e danni, che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto”.
Un’altra interessante ipotesi è quella offerta da un Centro di Comando e Controllo trasferito sotto un cavalcavia dalle Forze pro Gheddafi. “Quando è possibile una scelta fra più obiettivi militari per ottenere un vantaggio militare equivalente, la scelta dovrà cadere sull’obiettivo nei cui riguardi si può pensare che l’attacco presenta il minor pericolo per le persone civili e per i beni di carattere civile”, art. 57, III comma.
La rilevanza delle norme durante le operazioni
La causa principale delle enormi difficoltà, sapientemente superate dalle forze aeree della Nato, nella piena applicazione delle norme di diritto umanitario volte alla tutela della popolazione civile, risiede nella estrema mutevolezza dei soggetti impegnati nel teatro di battaglia.
Il continuo mutare delle linee del fronte, estremamente frastagliato non solo nelle aree urbane e negli intricati suburbi, ma anche nelle campagne e nelle immense zone desertiche che caratterizzano il Paese, ha reso straordinariamente ardua la localizzazione delle forze pro-Gad e la distinzione da quelle contrarie all’ormai deposto leader libico.
L’obbligo di distinzione dalla popolazione civile e dalle forze combattenti avversarie, seppure costituisce un cardine essenziale fissato dalle norme, tuttavia, in questo conflitto ha assunto le sembianze di una chimera, di un animale mitologico continuamente cangiante sotto la formidabile spinta mediatica proveniente dai canali televisivi satellitari, in via primaria Al Jazeera, che inducevano gli insorti a mutazioni isteriche nell’adozione dei propri emblemi di riconoscimento.
Al fine di rendere evidente le difficoltà che hanno complicato per mille l’individuazione dall’alto delle opposte fazioni è sufficiente dire che un cerchio arancione con al centro una croce è stato un simbolo di riconoscimento utilizzato dalle forze anti-Gad sui propri mezzi, ed anche sui pochi aeromobili da loro impiegati.
Tuttavia, uno dei baluardi del diritto è rappresentato dalla certezza delle sue previsioni, ed in questa prospettiva è stato proprio il valore della tecnica normativa a rendere più semplice l’applicazione della cornice giuridica alle infinite missioni aeree. In materia di obiettivi militari, ad esempio, vi è una elencazione esaustiva dei criteri di riferimento fissata dal precitato art. 57, II comma, lettera a., del I Protocollo Addizionale del 77, che hanno guidato l’impiego dei sistemi d’arma intelligenti e di precisione oltre ai metodi volti a ridurre al minimo i danni collaterali: “… ii) prendere tutte le precauzioni praticamente possibili nella scelta dei mezzi e metodi di attacco, allo scopo di evitare o, almeno di ridurre al minimo, il numero di morti e di feriti tra la popolazione civile, nonché i danni ai beni di carattere civile che potrebbero essere incidentalmente causati; iii) astenersi dal lanciare un attacco da cui ci si può attendere che provochi incidentalmente morti e feriti fra la popolazione civile, danni ai beni civili, o una combinazione di perdite umane e danni, che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto …”.
Uno dei maggiori problemi per il volo in sicurezza degli aeromobili della Nato sono stati i sistemi terra-aria, dai brandeggiabili ai ruotati, ed anche i semplici razzi anticarro o antiuomo che, opportunamente piazzati sul tetto di alti edifici, possono costituire una rozza ma micidiale minaccia per gli elicotteri. L’autodifesa degli aeromobili ha imposto, infatti, il sorvolo nelle zone del conflitto ad una altitudine tale da consentire agli aerei di essere fuori portata massima dall’eventuale fuoco avversario. L’Aeronautica militare libica, invece, è stata immediatamente neutralizzata con i relativi centri di comando e controllo.
Questa situazione, tuttavia, non ha impedito il pieno riconoscimento dall’alto delle autoambulanze, ad esempio, grazie ad un sistema incrociato di identificazione anche con l’ausilio delle forze anti-Gad. La garanzia degli emblemi protetti dalle norme delle convenzioni è stata assicurata, dunque, “anche dall’alto”.
Purtroppo, sono stati, invece, registrati dall’intelligence e da fonti giornalistiche alcuni casi di “perfidia”. L’utilizzo improprio di autoambulanze per il trasporto di truppe ed il loro conseguente impiego in azioni di guerra. L’art. 37 del predetto I Protocollo, infatti, in epigrafe, “Divieto della perfidia” dispone che : “1. È vietato di uccidere, ferire o catturare un avversario ricorrendo alla perfidia. Costituiscono perfidia gli atti che fanno appello, con l’intenzione di ingannarla, alla buona fede di un avversario per fargli credere che ha il diritto di ricevere o l’obbligo di accordare la protezione prevista dalle regole del diritto internazionale applicabile nei conflitti armati. Sono esempi di perfidia gli atti seguenti:
a) simulare l’intenzione di negoziare sotto la copertura della bandiera di parlamentare, o simulare la resa;
b) simulare una incapacità dovuta a ferite o malattia;
c) simulare di avere lo statuto di civile o di non combattente;
d) simulare di avere uno statuto protetto facendo uso di segni, emblemi o uniformi delle Nazioni Unite, di Stati neutrali o di altri Stati non Parti in conflitto.
2. Gli stratagemmi di guerra non sono vietati. Costituiscono stratagemmi di guerra gli atti che hanno lo scopo di indurre in errore un avversario, o di fargli commettere imprudenze, ma che non violano alcuna regola del diritto internazionale applicabile nei conflitti armati, e che, non facendo appello alla buona fede dell’avversario circa la protezione prevista da detto diritto, non sono perfidi. Sono esempi di stratagemmi di guerra gli atti seguenti: mascheramenti, inganni, operazioni simulate e false informazioni”.
La garanzia dei feriti negli ospedali, inoltre, non sempre è stata osservata. In alcune località sotto controllo degli insorti, le forze Pro-Gad hanno tagliato le forniture di energia elettrica agli ospedali pubblici mentre in altre sotto il proprio controllo hanno impedito l’assistenza sanitaria ai feriti delle forze avversarie, facendoli prigionieri. Condotte, queste, assolutamente contrarie ai principi generali ed alle disposizioni cristallizzate nei precitati testi convenzionali.
Nelle regioni della Cirenaica liberate dalle situazioni di instabilità bellica si è proceduto da parte delle organizzazioni umanitarie, delle Nazioni Unite ed in parte anche dell’Italia ad attività di assistenza umanitaria e sanitaria. Una delle prime notizie di cronaca, registrata sulla stampa nazionale già il 9 aprile 2011, sembra confermare questo assioma sul terreno dell’assistenza sanitaria degli insorti in terra di Libia, paradigma basico del trattamento umanitario di riconosciuti legittimi combattenti, bisognosi di indispensabili cure mediche. Appartiene, infatti, alla relazionalità bilaterale tra l’Italia e le neo istituite autorità governative locali, l’assistenza sanitaria prestata ad alcuni insorti libici, feriti e trasportati con un volo militare italiano, proveniente da Bengasi, all’Aeroporto Militare di Linate. I venticinque insorti saranno curati negli ospedali lombardi fino alla loro completa guarigione, dopo la quale è previsto che facciano ritorno nel loro Paese.
L’art. 70, “Azioni di soccorso”, delinea un’altra eloquente indicazione in questo ambito. “Allorché la popolazione civile di un territorio che, senza essere territorio occupato, si trova sotto il controllo di una Parte in conflitto, sia insufficientemente approvvigionata per quanto riguarda il materiale e le derrate … saranno intraprese azioni di soccorso di carattere umanitario e imparziale, da svolgere senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole… Nella distribuzione del soccorso, dovrà essere data priorità alle persone, ad esempio i fanciulli, le donne incinte o partorienti e le madri che allattano, che debbono essere oggetto, secondo la IV Convenzione o il presente Protocollo, di un trattamento privilegiato o di una protezione speciale.”
Queste previsioni ancora una volta sono state ostacolate dalle forze pro-Gad, come ha registrato il nostro intelligence e la stampa internazionale in materia di corridoi umanitari per il rapido trasporto di generi di prima necessità e medicinali alle popolazioni civili di entrambe le Parti in conflitto. “Le Parti in conflitto e le Alte Parti contraenti autorizzeranno e faciliteranno il passaggio rapido e senza ostacoli di tutti gli invii, materiali e personale di soccorso forniti conformemente alle prescrizioni di questa Sezione, anche se l’assistenza in questione è destinata alla popolazione civile della Parte avversaria”.
L’art. 54 del I Protocollo prevede, inoltre, la “Protezione dei beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile”: “È vietato, come metodo di guerra, far soffrire la fame alle persone civili…”
Conclusioni per la Missione
L’azione e l’ambito di intervento delle valutazioni del LEGAD si sono estesi, dunque, a tutte le attività operative e logistiche in senso lato del personale impiegato in Unified Protector.
La sua consulenza legale ha affrontato un amplissimo spettro di competenze: dal merito disciplinare o penale, agli aspetti fiscali per il personale estero della Nato affluito in Base, ai profili del diritto umanitario per le missioni portate a compimento o sottoposte a modifiche autorizzate in via gerarchica dal vertice della complessa ma ordinata macchina organizzativa predisposta dall’Alleanza.
Il ciclo di pianificazione delle operazioni su tre giorni, inoltre, ha imposto un continuo aggiornamento della situazione anche sul piano LEGAD, con le opportune attività di rettifica e correzione agli intervenuti mutamenti della realtà ambientale circostante agli obiettivi militari in precedenza designati .
Il LEGAD, infine, concorre con le Superiori Autorità nel valutare l’opportunità di sollecitare atti ed accordi di diritto internazionale o azioni umanitarie in una prospettiva di cooperazione, a volte, anche a vocazione interministeriale.
Conclusioni. Lo ius post bellum, i Legad e gli Ispettori delle Nazioni Unite
Appare di non secondaria importanza evidenziare la pressoché totale assenza di continuità tra le attività di valutazione delle condotte e delle situazioni de facto antigiuridiche e di presunta violazione delle norme, registrate nei territori interessati dal conflitto durante e prima lo svolgimento dello stesso, da parte dei Legad inseriti, ai vari livelli ordinativi, nei dispositivi multinazionali, e la successiva azione svolta dagli ispettori e dalle commissioni d’inchiesta nominate dall’Onu. La frattura, a mero titolo esemplificativo, prodotta in ipotesi nella continuità dell’azione di contrasto dei fenomeni criminali o di acquisizione probatoria è irrimediabilmente legata ai tempi e all’efficacia di realizzazione degli atti previsti.
Infine, lo ius post bellum, rappresenta un terzo quadro giuridico di riferimento destinato ad evolversi, in materia di obbligo di protezione, soggetto ad una intensa opera di interpretazione evolutiva, strumentale all’avvio dell’intero ciclo di adozione di misure, implicanti o non implicanti l’uso della forza. Esso è costituito da atti di soft law concepiti in sede universale, presso le Nazioni Unite, ma destinati a divenire cogenti vincoli all’azione per le organizzazioni regionali di sicurezza.
È questa la rinnovata frontiera del diritto dei conflitti armati, un nuovo insieme di cardini progressivamente irrinunciabili e cogenti sul quale ruoterà sempre più l’azione di legittimazione ad agire e la complessa struttura organizzativa delle Nazioni Unite.
Umberto Montuoro
[1] Umberto MONTUORO, Atti della conferenza, “Responsibility to protect: L’intervento umanitario e la cooperazione internazionale nella crisi libica”, tenutasi il 23 marzo 2012, nell’ambito del Seminario di Studi IMI 2012,“Transizioni democratiche e strategie geopolitiche”, presso il Dipartimento di Scienze Politiche “Jean Monnet” della Seconda Università degli Studi di Napoli.
Tenente Colonnello Commissario dell’Aeronautica Militare, Capo Sezione Studi del Dipartimento di Diritto internazionale umanitario e delle operazioni militari, dell’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, del Centro Alti Studi per la Difesa. È stato impiegato, nel maggio/giugno 2011, nella missione Unified Protector, in qualità di Legal Advisor, dell’Italian National Contingent Commander AIR, nell’ambito del Task Group Air BIRGI.
[2] Un preciso ed aggiornato quadro sintetico sul tema è delineato da: G. BOSCO, “The responsabilty to protect”, in Rivista di Studi Politici Internazionali, fasc. 317, pag. 59 e seg., gennaio-marzo 2013.
[3] Questi agreements, accordi internazionali sono volti a disciplinare il regime giuridico ed amministrativo applicabile al personale militare e civile inviato da uno Stato a prestare servizio nel territorio di un altro Stato. Le principali materie in essi disciplinate sono relative all’esercizio della giurisdizione penale e civile, alla composizione delle controversie in tema di risarcimento dei danni, all’esenzioni fiscali e doganali, alle agevolazioni di carattere amministrativo e sanitario concesse al personale ed eventualmente ai loro familiari a carico, all’inviolabilità delle sedi, degli archivi, della corrispondenza e delle telecomunicazioni. Questo insieme organico di disposizioni attinenti allo status, immunità e privilegi ha carattere eminentemente funzionale ed è volto a consentire il pieno e libero svolgimento delle attività di servizio del personale inviato in missione nella sfera territoriale dello Stato ospitante.