I Beduini nella Terra Santa, nomadi del deserto ai giorni nostri

di Enrico Catassi

In questi giorni in Israele e in Palestina c’è un’altra questione sensibile a tenere banco. Per un volta non si tratta di relazioni internazionali, processo di pace, conflitto, terrorismo. È una controversia riguardante un gruppo etnico, la loro cultura, il loro stile di vita. È una minoranza che ha una storia molto lunga, affonda le radici nel lontano passato di queste calde terre, sante. Sono universalmente conosciuti con il nome di Beduini. I nomadi del deserto. In Terra Santa le loro tribù vivono di qua e di là dal muro. Taluni con passaporto israeliano, altri con quello palestinese o giordano. In Israele gran parte dei Beduini hanno accettato di muovere negli insediamenti riconosciuti a partire dagli anni ’60, altri invece ad oggi vivono ancora in villaggi ritenuti illegali dal governo israeliano. I Beduini israeliani, “abusivi” o meno, possiedono la cittadinanza dello Stato con la stella di Davide dagli anni Cinquanta. Risiedono principalmente nel sud del Paese, nella regione del Neghev. Abitano il grande deserto che costeggia tre mari: Mar Rosso, Mar Mediterraneo e Mar Morto. E confina con l’Egitto, Gaza e la Giordania. Mentre i Beduini che vivono nella West Bank hanno un unico lungo confine che si chiama muro di separazione. Tuttavia, anche in Palestina i Beduini rappresentano una minoranza che reclama diritti al governo centrale. Come la comunità di al Zayem, un sobborgo di Gerusalemme Est, che nelle ultime settimane ha criticato aspramente l’Autorità Nazionale Palestinese del presidente Abu Mazen per aver trascurato la loro lotta contro il piano d’Israele di evacuarli con la forza. Evacuazioni forzate hanno interessato, in queste settimane, anche migliaia di Beduini del Neghev. A Tel Aviv e nei principali centri della regione sono state organizzate manifestazioni di protesta a favore dei Beduini. Esiste quindi una questione Beduini.

Per capire al meglio il contesto abbiamo incontrato l’intellettuale israeliano Jamal Alkinawi, Docente all’Università Ben Gurion e fondatore dell’organizzazione no-profit “A New Dawn in the Negev”. Jamal appartiene ad una famiglia beduina e risiede nella città di Rahat, dove la totalità degli abitanti sono Beduini. Attraverso questa intervista abbiamo affrontato le criticità della situazione attuale e discusso il futuro dei Beduini in Israele.

Iniziamo prima di tutto spiegando, cos’è un Beduino?

I Beduini sono un’etnia che appartiene al mondo Arabo, sono di religione Musulmana e di solito parlano arabo come madrelingua. La più grande concentrazione di Beduini in Israele è nel deserto del Neghev. Le tribù dei Beduini native di questa regione hanno avuto storicamente uno stile di vita semi-nomade, pascolando il loro gregge in larghe aree desertiche. Oggi ci sono essenzialmente due comunità separate di Beduini che vivono nel sud di Israele. Circa il 60% dei 200 mila Beduini israeliani risiedono in una delle sette piccole comunità, progettate dal governo di Gerusalemme nei diversi tentativi di urbanizzare la popolazione Beduina, sin dal 1967. Il rimanente 40% vive in villaggi rurali “non autorizzati” che non sono riconosciuti dal governo e che non hanno accesso ai servizi pubblici. Nei villaggi la vita è impostata sulle tradizionali pratiche di allevamento di animali e coltivazione del foraggio. E si riscontra un alto tasso di povertà.

Nel 2013 la globalizzazione è un processo ormai affermato. Imposto sia economicamente che culturalmente in modo molto invasivo. Che effetto ha avuto il passaggio dalle vecchie tradizioni alla società moderna sulla vita dei Beduini?

Uno dei primi effetti di questa transizione è una disconnessione tra le nuove e le vecchie generazioni. Tra quelli che ricordano il modo di vivere prima della creazione dello stato d’Israele e coloro che hanno vissuto la loro intera vita da cittadini Israeliani. Questa divisione interna è rafforzata dalla classica separazione e contrapposizione tra vecchie e nuove generazioni, che spesso impedisce una normale comunicazione familiare ed un lineare passaggio di pratiche e memorie alle nuove generazioni. In questi anni questa transizione ha avuto anche un profondo effetto sulla vita domestica, molti aspetti sociali dello stile di vita tipicamente Beduino non hanno più nessun significato nella moderna società urbana.

Quali sono i principali problemi dei Beduini nella società odierna?

La disoccupazione rimane alta tra le comunità Beduine, sia rurali che urbane. Riprendo il concetto che ho espresso in precedenza, ribadisco che la forzata transizione alla vita urbana ha lasciato le singole comunità, i clan, con il difficile compito di ridefinire nuove norme culturali e sociali, talvolta in netta rottura con il passato. In termini economici invece le capacità che permettevano ai Beduini di sopravvivere e prosperare non sono più sufficienti nella moderna economia di mercato. Inoltre vorrei sottolineare il fatto che i Beduini sono una minoranza culturale e linguistica in Israele, l’accesso agli strumenti educativi e formativi è molto più difficile che per gli altri cittadini israeliani. Aggiungo che molte città in Israele sono segregate secondo confini razziali, barriere invisibili che ostacolano un corretto processo di integrazione dei Beduini nell’economia nazionale. Non parlo ovviamente dei principali centri, le maggiori città d’Israele (Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa, Beer Sheva etc.) sono città miste, aperte. È nei piccoli centri periferici che si affrontano sfide significative allo sviluppo, all’integrazione in un contesto dove resta fattore predominante l’economia Ebraica del Paese.

In che modo il governo israeliano sostiene i Beduini?

Esistono incentivi sotto forma monetaria, un risarcimento per i Beduini che si spostano dai villaggi non autorizzati ad una delle piccole città pianificate. Ci sono programmi del Ministero del Welfare e del Ministero dell’Educazione per la promozione di progetti finalizzati a combattere la discriminazione razziale nei confronti dei Beduini. Sono operativi progetti per aumentare gli standard accademici nelle scuole frequentate dai Beduini. Purtroppo i fondi per lo sviluppo delle infrastrutture e gli sforzi di progettazione regionale indicano che è in atto un processo politico o meglio un tentativo politico di assimilazione dei Beduini. Un processo irreversibile, che però non tiene in dovuta considerazione le aspirazioni dei Beduini, la volontà di proteggere e preservare aspetti della propria tradizione.

A partire dal 2011 il governo di Gerusalemme ha lanciato una campagna per lo sviluppo del Neghev. Quali sono gli effetti del piano Israeliano Prawer?

Il piano Prawer è una componente del programma di sviluppo del governo per la regione del Neghev. Il suo obiettivo principale è quello di trovare una soluzione finale al problema delle comunità che vivono nei villaggi non autorizzati e che sono riluttanti a lasciare quei luoghi. In sintesi il piano citato si pone l’obiettivo di spostare le basi militari nella regione del Neghev e di riclassificare numerose delle aree che circondano le città di Beer Sheva e Arad per ulteriori sviluppi. Inoltre il governo prevede di “ricollocare” circa 40 mila residenti Beduini nelle terre riconosciute. Secondo i fautori del piano Prawer (e delle recenti modifiche apportate nel 2013) sono stati fatti ragionevoli sforzi per coinvolgere i leader dei clan Beduini nel piano di sviluppo. Tale affermazione non smentisce che l’iniziativa opera tutt’oggi in aperta contraddizione con i diritti fondamentali di decine di migliaia di Beduini che desiderano rimanere nella loro terra ancestrale, su quella terra che però non gli viene legalmente riconosciuta dal governo. Manca quindi un atteggiamento di reciproco rispetto tra le parti perché i bisogni e i desideri dei Beduini del Neghev sono secondari agli obiettivi economici del piano e del governo. Siamo di fronte alla dimostrazione che problemi sistematici di discriminazione, di diritto di proprietà della terra, di permessi di costruzione persistono nella società israeliana. Un altro dato di fatto che merita di essere evidenziato è l’inconsistenza delle risorse per l’educazione e per i servizi primari messe a disposizione dal governo. In conclusione giudico il piano Prawer molto nebuloso, con molti punti da chiarire, troppa vaghezza per darne un giudizio positivo. É opinione diffusa tra molti Beduini che queste politiche non serviranno ad alleviare il loro stato di cittadini di seconda classe.

Beduini e Palestinesi, per anni sono stati gli abitanti della Terra Santa, due etnie compatibili che hanno convissuto pacificamente. Che cosa lega questi due mondi e quali differenze li allontanano?

Gli Arabi Palestinesi storicamente avevano una tradizione più urbana, i Beduini più agreste e nomade. Comunque i Beduini condividono legami religiosi e linguistici con gli Arabi Palestinesi, la distinzione sociale e culturale tra Beduini e Palestinesi risale a centinaia di anni fa. Le due comunità hanno vissuto insieme l’una con l’altra (interagendo socialmente ed economicamente). Oggi politicamente molti Beduini esprimono solidarietà ai Palestinesi che vivono nella West Bank e a Gaza. Oltre la lingua e la religione i Beduini Israeliani hanno una eredità comune e legami storici consolidati tra le tribù della regione, attraverso strette pratiche matrimoniali interne a ciascuna tribù. Direi che i Palestinesi, con tutte le difficoltà che conosciamo, sono in genere più cosmopoliti dei Beduini.

Jamal Alkinawi è un personaggio conosciuto e rispettato nella sua comunità. La sua vocazione non è politica, almeno per ora, lui è principalmente dedito ad un impegno sociale. Ha fondato un’associazione impegnata ad operare per migliorare le condizioni dei giovani Beduini e per una maggiore integrazione con gli ebrei israeliani. Sentiamo della sua esperienza.

Il nostro lavoro si concentra nell’affrontare l’isolamento sociale e culturale che sperimentano giornalmente i giovani Beduini e nel creare nuove opportunità per questi giovani. Crediamo opportuno e necessario espandere gli orizzonti di Ebrei e Beduini. “A New Dawn in the Neghev” è una organizzazione che unisce Ebrei e Beduini, che cerca di promuovere la convivenza e la pace tra tutti i residenti del Neghev. Se vogliamo realmente risolvere il problema delle divisioni e delle diseguaglianze dobbiamo operare su tre componenti: educazione, cultura e convivenza. Rafforzando il sistema educativo nella società Beduina, aiuteremo a preparare i giovani Beduini al loro futuro, con la speranza di raggiungere una funzione attiva e partecipe nella società Israeliana. Promuovendo la consapevolezza e la piena comprensione della propria eredità culturale contribuiremo ad esplorare nuovi percorsi di convivenza in una comunità globale. Occorre, comunque, rimuovere quelle barriere sociali e culturali esistenti e radicate. Dobbiamo costruire un clima di fiducia e rispetto tra i residenti del Neghev.

Nello specifico un’associazione non profit come “A New Dawn in the Neghev” quali attività svolge?

Gestiamo un centro culturale. Svolgiamo regolarmente corsi di lingua inglese, con un programma di doposcuola. E realizziamo varie attività ludico-culturali per giovani studenti. Recentemente abbiamo finito la prima di due parti di uno scambio culturale con studenti tedeschi. Siamo stati ospitati in Germania. Abbiamo passato una settimana a studiare l’identità culturale e la storia attraverso la fotografia. La nostra è una piccola associazione, composta completamente da volontari. E abbiamo poche risorse finanziarie. Però l’impegno è tanto e i risultati si vedono.

Enrico Catassi (*)

(*) Enrico Catassi è esperto in cooperazione allo sviluppo. Ha vissuto a Gerusalemme come rappresentante alla Casa della Toscana. Ha scritto libri sul Medio Oriente per ETS. Tra cui, di recente, pubblicazione  di “Kibbutz3000, Israele 2013”.