Pitigliano – Tra storia, solidarietà, letteratura, turismo

«Gino Bartali e i Giusti Toscani», di Alfredo De Girolamo, edizione Ets

Molto più di una recensione, nell’approssimarsi del “giorno della memoria”

di Enrico Catassi

coverQuesto mio scritto prende spunto da due fatti: un viaggio e la recente pubblicazione di un libro scritto da un caro amico. Il piacevole viaggio è stato qualche mese fa. Sono sceso nell’ultimo lembo di Toscana che si affaccia sul Lazio. Terra etrusca. È l’incantevole Maremma. Dove spicca la rupe di Pitigliano: antico borgo dalle case arroccate sul grande sperone di tufo. Pitigliano è anche conosciuto come la piccola Gerusalemme. Evidente la somiglianza con la città Santa. La ricorda la panoramica di Pitigliano osservabile dalla strada statale 74. La ricordano i vicoli stretti e irti che portano all’antico quartiere ebraico. Il ghetto di Pitigliano già nell’800 raggiungeva le centinaia di abitanti e prendeva, per questa ragione numerica, il nome di piccola Gerusalemme. La migrazione ebraica in Maremma era iniziata quattro secoli prima. Infatti era presente una sinagoga già dal 1598. Crollata a causa di una frana nel ’60 e ricostruita dal Comune nel 1995. Oggi la sinagoga, il museo della cultura ebraica, le stanze restaurate che includono il macello kasher, il bagno milkvé, il forno delle Azzime e la cantina fanno parte di un percorso turistico – museale gestito dall’Associazione Piccola Gerusalemme. Il 20% dei ricavi va al Comune. Molti i turisti stranieri che visitano il complesso ebraico e acquistano prodotti kasher nei negozi di souvenir del borgo. Il vino kasher, prodotto dalla locale Cantina Sociale e dall’omonimo nome Piccola Gerusalemme, è visibile in quasi tutte le vetrine, è un prodotto ricercato dai clienti non solo di fede ebraica, ma anche da affetti da celiachia e intolleranti ad additivi a base di caseina, proteina assente in questo vino. Negli scaffali dei negozi troviamo anche l’olio kasher, il pane azzimo e lo sfratto. Dolce tipico della tradizione ebraica dell’alta maremmana. Dalla forma di bastone, in passato preparato dalle donne ebree per ricordare l’usanza seicentesca di picchiare con il bastone alle porte intimando l’editto del Granduca Cosimo II: agli ebrei delle zone limitrofe era fatto obbligo di lasciare le proprie case e trasferirsi nel ghetto di Pitigliano. È considerato un dolce natalizio. Mentre nell’estate si cucina un altro dolce tipico: il bollo. È una ciambella rotonda a base di anice e limone, tipico della tradizione sefardita. Pitigliano, luogo storico d’incontro culturale e sinergico tra la popolazione ebraica e quella cristiana. Un rapporto suggellato nel 1799 quando la popolazione intera di Pitigliano, impugnati i forconi, costrinse alla fuga i soldati antifrancesi che volevano saccheggiare il ghetto. Anni dopo ancora una volta Pitigliano non fece mancare esemplari atti in difesa dei suoi concittadini di religione ebraica. Erano gli anni terribili delle leggi razziali e poi dell’occupazione nazista. Cava e Servi alcune famiglie ebree che furono imprigionate nel campo di Roccatederighi e che poi presero la via della deportazione nei lager, dove perirono. Altre famiglie israelite di Pitigliano si nascosero nella campagna; scampando ai continui rastrellamenti nazifascisti grazie alla rete di solidarietà dei cittadini e dei contadini della zona. Le famiglie Dainelli, Perugini, Bisogni, Nucciarelli, Perugini, Simonelli, Pietro Felici e Fortunato sono insignite dell’onorificenza di Giusti, come riporta un libro andato in stampa proprio in questi giorni. Scritto da Alfredo De Girolamo e dal titolo «Gino Bartali e i Giusti Toscani», edizione da Ets, con prefazione di Franco Cardini. Un piccolo volume che raccoglie elencandoli i toscani che hanno salvato ebrei dalla ferocia nazifascista, e ai quali l’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme, la massima istituzione israeliana per il ricordo delle vittime della Shoah, ha riconosciuto il titolo di Giusti tra le Nazioni. Furono tanti. “Una catena umana di solidarietà ci proteggeva. Ricordo le persone che ci portavano il cibo. Vivevamo in una grotta. Io, mio padre, mia madre e le mie due sorelle. Per avvertirci del pericolo avevano un segnale specifico concordato con noi: l’allarme era il fattore in sella ad un cavallo nero”. A parlare è Elena Servi fondatrice e presidente dell’associazione Piccola Gerusalemme. Ebrea. Ottantenne. Qualche problema per la frizione della macchina guidata con estrema cautela, per il resto è in perfetta forma. Allegra e gioviale. Limpido il ricordo di quei giorni di gioventù, la “vita amara” a cui il fascismo e i fascisti la relegavano, le paure di una bambina per la guerra, il fidanzato della sorella partigiano, la fuga nella campagna maremmana, la felicità per la liberazione che il padre, croce al merito nella Prima Guerra Mondiale, aveva capito in anticipo osservando di nascosto i soldati tedeschi arrotolare i fili telefonici. Memorie uniche e straordinarie raccontate da Elena. Come la storia di Carlo Frischumann. Dentista di Pitigliano durante la guerra. Ebreo dell’Europa orientale giunto in Italia sotto mentite spoglie, prendendo il nome di Carlo Schemmari. A tutti aveva sempre nascosto l’origine ebraica. Restò ucciso sotto il bombardamento americano del 7 giugno 1944 che colpì l’affollato centro storico devastandolo. Leggenda vuole che l’esplosione lo cogliesse nel suo studio mentre curava un militare tedesco. Altra voce narra che il suo assistente per sbaglio quel giorno avesse portato la borsa del dottore nello studio di Pitigliano obbligandolo a passare di là. Sbigottiti restarono i cittadini quando, finita la guerra, la fidanzata di Carlo Frischumann, alias Schemmari, si presentò a Pitigliano, chiese di riesumare il corpo dalla tomba del cimitero cristiano e svelò la vera identità del suo amato. Ecco, caro lettore, il mio consiglio è di visitare Pitigliano con in mano il libro “Gino Bartali e i Giusti Toscani”.

 

Enrico Catassi