Il Petrolio e la Libia

Croce e delizia del più “rentier” degli Stati: un sintetico tracciato della sua storia

petrolifera, che tanto ha contribuito a modellarne le vicissitudini

Luigi R. Maccagnani

Ebbi occasione, nell’estate del 2006, di conoscere Nelson Bunker Hunt[1], membro di spicco della più famosa famiglia di petrolieri Texani. Mi aveva invitato al Country Club di Dallas per un pranzo di lavoro perché voleva un aggiornamento sulla situazione in Libia. In quegli anni negli Stati Uniti c’era grande curiosità sul Paese, allora considerato, con la fine delle sanzioni ONU e dell’embargo statunitense, un nuovo Eldorado: si riapriva dopo oltre vent’anni una nuova frontiera petrolifera.

Non credo che l’ormai ottantenne Bunker Hunt fosse realmente interessato ad una nuova avventura esplorativa nel Paese, ma piuttosto ad una “rimpatriata nostalgica”, là dove negli anni cinquanta l’allora ventottenne rampollo aveva acquisito un’enorme concessione petrolifera nel sud del deserto Sirtico, concessione dove fu scoperto il più grande giacimento della Libia, Sarir, con qualcosa come 12 miliardi di barili di petrolio “in posto”.

Mi incuriosiva il razionale di quella avventura, e gli chiesi: “Mr. Hunt, al tempo lei aveva 28 anni ed una limitatissima esperienza internazionale, su quale base decise di acquisire la concessione di Sarir? Con un leggero sorriso mi rispose: “Era la più remota e perciò quella che costava meno, poi avevo trovato la mappa di un geologo Italiano che vi indicava un buon potenziale, tanto valeva provare”.

La mappa risaliva agli anni ’30 ed era di Ardito Desio, geologo ed esploratore, 1897-2001.[2] In realtà, l’unico pozzo perforato da Bunker Hunt risultò sterile, così l’americano decise di cedere il 50% del suo titolo minerario alla British Petroleum, e fu quest’ultima che, con tecnologia più avanzata, riuscì a raggiungere profondità maggiori e così a scoprire, nel 1961, il giacimento.

La scoperta del petrolio. Nonostante le insistenze di Ardito Desio, ben poco era stato fatto durante il periodo della colonizzazione Italiana, 1911-1943[3] e anche durante l’amministrazione militare Britannica dal 1943 fino all’indipendenza della Libia nel 1951. Fu solo con l’acuirsi delle condizioni di instabilità nei Paesi del Golfo Persico, instabilità che metteva a rischio l’approvvigionamento di greggio dal Medio Oriente, che le IOC (International Oil Co.) – sostenute dai rispettivi governi occidentali – si decisero a cercare nuovi teatri operativi in Nord Africa: servì infine una scoperta nella confinante Algeria perché un’intensa campagna esplorativa avesse inizio in Libia.

1503201402Sancita l’indipendenza nel dicembre 1951, sotto re Idris El Senussi viene mantenuto comunque il rapporto della Libia con la Gran Bretagna e inizia l’influenza degli Stati Uniti (Trattato militare anglo-libico, concessione della base di Wheelus agli Americani).

Finalmente nel 1953 vengono assegnate da Tripoli le prime concessioni petrolifere, cui fa seguito una tempestiva attività esplorativa, che porta ben presto ad importanti scoperte.

Le condizioni contrattuali applicate nei confronti delle Compagnie concessionarie sono particolarmente favorevoli (tasse e royalties basate sul prezzo ufficiale del greggio meno un’ agevolazione per la sua commercializzazione:posted price less marketing allowance), ed i contratti di concessione hanno clausole che garantiscono alle IOC l’applicazione dei termini di mercato internazionali più favorevoli (most favorable terms going). Il Governo libico, inoltre, era vincolato a non modificare le clausole contrattuali senza il consenso degli operatori stessi e a consentire che essi esportassero liberamente i relativi introiti. Queste condizioni attrassero non solo le “majors”, ma anche le società indipendenti come Hunt, Conoco, Marathon, Amerada: la Libia divenne presto uno dei maggiori esportatori di greggio, superando i 3,4 milioni di barili/giorno già nel 1970.

La scoperta del petrolio in Libia coincise con il primo “risveglio” Arabo: Nasser in Egitto nel 1952 (e la conseguente crisi del canale di Suez del 1956), Saddam in Iraq (1959 attentato al presidente Qasim, 1968 Saddam Vice-Presidente, 1973 nazionalizzazione dell’industria petrolifera irachena), per citarne un paio. In Libia, già con Ben Halim, Primo Ministro dal 1954 al 1957 e Consigliere particolare di re Idris, inizia la diffidenza nei confronti della Gran Bretagna, con contestuale avvicinamento agli USA per controbilanciare, ma già si avvertono i primi sentimenti nazionalistici che porteranno poi alla rivoluzione di Qadhafi nel 1969.

Era un momento di grande confusione nell’industria petrolifera internazionale e di contrasto tra i Paesi produttori e le IOC: in questa crisi Qadhafi avocò a sé un ruolo primario.

Nel 1971 il campo di Sarir operato da BP-Hunt fu nazionalizzato, e mentre l’OPEC riduceva le quote di produzione dei Paesi membri, la Libia pretese una partecipazione nazionale del 51% in tutte le concessioni. La presenza delle Independents e degli Europei, più disponibili ad accettare condizioni meno favorevoli, fu strumentalizzata dalla Libia, che poté cosi perfezionare già nel 1973 i nuovi più rigidi contratti e nel contempo mantenere nel Paese una sufficiente competenza tecnica e capacità di investimento.

Nel 1974 fu firmato il primo contratto di Production Sharing per una vasta area nell’offshore, contratto che portò alla scoperta di vaste quantità di greggio e gas nel bacino della Tripolitania (fra cui il campo di Bouri, Agip/Eni, 1976).

Con una produzione di greggio intorno ai 2 milioni di barili/giorno che permetteva di esportare più di 1,2 milioni di barili/giorno, ed una popolazione molto limitata anche se in rapido aumento, l’enorme disponibilità finanziaria nelle mani di Qadhafi ha permesso al regime le note derive.

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Si ricordano: 1979 attacco all’Ambasciata USA in Tripoli; 1981 combattimenti di unità navali ed aeree libiche e USA nel Golfo della Sirte; 1986 bomba in un Night Club di Berlino con la morte di diversi militari americani, cui fa seguito il raid aereo su Tripoli ed il contestuale embargo totale USA. Tutte le società Americane sono a questo punto fuori dal Paese, gli assetti delle Majors già nazionalizzati, quelli delle Independents “congelati” nel cosiddetto “standstill agreement”. Poi, nel 1992, l’attentato di Lockerbie, con l’esplosione dell’aereo Pan Am e le sanzioni ONU, che perdurano fino al Settembre 2003, quando la Libia consegna i due uomini accusati del sabotaggio e acconsente a risarcire le famiglie delle vittime. A distanza di 22 anni continuano, peraltro, le illazioni su quale sia stato il Paese mandante dell’attentato.[4]

Alla fine delle sanzioni ONU farà presto seguito quella dell’embargo USA: nel febbraio 2004 viene cancellato il divieto per i cittadini USA di recarsi in Libia e nell’aprile 2004 di tutte le restrizioni commerciali.

In questo lasso di tempo, 1980-2004, l’industria petrolifera è gestita, per le strutture nazionalizzate, da società di Stato, mentre rimangono operative le Compagnie europee, anche se soggette esse stesse alle limitazioni delle sanzioni. Tuttavia, soprattutto grazie al vasto potenziale sviluppato negli anni ’60 e ’70, ed al costo di un progressivo degrado delle infrastrutture, la Libia riesce comunque a mantenere quote di produzione elevate (vedi grafico sopra, intorno a 1,5 milioni di barili/giorno), ed il relativo introito in valuta (40-50 miliardi di USD all’anno, 95-98% delle entrate dello Stato).

Stima delle Riserve Petrolifere.

Come da recente stima della EIA, Energy Information Agency degli Stati Uniti,[5] la Libia possiede la più grande riserva accertata di greggio del continente Africano, con 48 miliardi di barili (6,5 miliardi di tonnellate), e la quarta di gas naturale, dopo Nigeria, Algeria ed Egitto, con 55 trilioni di piedi cubici (circa 2 miliardi di metri cubi). Due considerazioni: al di là delle riserve “proven” (cioè accertate, allo stato attuale delle infrastrutture), rimane un potenziale di riserve probabili e possibili altrettanto vasto, come dimostrano stime effettuate da diversi istituti del settore (per esempio Wood Mackenzie, gia’ nel 2003); poi va considerato il potenziale “unconventional” della Libia, vale a dire quello non ancora sperimentato (shale gas-oil, tight oil – la vera nuova frontiera dell’esplorazione petrolifera).

 

Le vicissitudini recenti

Qualche mese dopo la fine delle sanzioni, Tripoli lancia una gara di appalto per la concessione di nuove aree, gara che attira la partecipazione di moltissime Compagnie petrolifere e vede il ritorno degli USA. E’ un periodo di grande apertura e fermento, non solo per l’industria petrolifera e la trasformazione immobiliare, con nuovi alberghi di catene internazionali (Meridien e Intercontinentale, per esempio) e quartieri residenziali, ma per la stessa vita sociale: fino al 2003 era praticamente impossibile avere un collegamento internet, o un anche un collegamento satellitare per la televisione; dalla fine delle sanzioni cambia tutto.

Petrolio e la storia recente.

1503201405Il 17 Febbraio 2011, data formale di inizio della rivoluzione, la Libia produceva circa 1,65 milioni di barili/giorno di greggio, più il gas naturale del progetto Green Stream dell’Eni. Gli introiti del petrolio per il 2010 sono stimati dall’OPEC in 60,19 miliardi di USD, corrispondenti al 97,997% delle total revenues. Dopo una rapida ripresa con valori vicini ai dati pre-guerra civile, problemi di stabilità, di sicurezza e sociali causano un abbattimento a meno di un decimo della capacità.

Nei primi mesi del 2014 la produzione si è assestata a poco più di 400.000 b/g, e la stessa esportazione di gas attraverso il Green Stream dell’Eni ha subito numerose interruzioni. Le mancate revenues hanno sicuramente contribuito alla debolezza del Governo centrale ed alle spinte “secessioniste” della Cirenaica (si veda il caso di questi giorni con la vendita diretta operata dai “secessionisti” alla petroliera Nord Coreana).

Nel frattempo le milizie ribelli hanno trovato altre fonti di reddito: il traffico di armi e di droga, i flussi migratori e il contrabbando di beni comuni. Purtroppo questi traffici illeciti, come prospetta il rapporto redatto dall’United States Istitute of Peace,[6] alimentano le divisioni territoriali e tribali endemiche nel Paese, e certo non è sufficiente il controllo dei confini esterni per risolvere il problema.

1503201406In chiusura, un elemento positivo: da un’ indagine demoscopica condotta congiuntamente dal National Democratic Institute (NDI) e da un’agenzia di consulenti Danese (JMW Consulting) nel periodo novembre – dicembre 2013 su un vasto campione di abitanti in tutto il Paese,[7] risulta che l’ottanta per cento dei Libici crede che la democrazia sia la miglior forma di governo ed una netta maggioranza – inclusi gli abitanti della Cirenaica – è contraria ad autonomie regionali. Nonostante le difficoltà attuali, quindi, la maggioranza rimane ottimista circa il risultato finale.

Luigi R. Maccagnani


[3] Sebbene l’Azienda Generale Italiana Petroli – A.G.I.P.,fondata nel 1926 ed il cui acronimo fu poi adottato dall’Eni nel secondo dopoguerra come nome proprio (Agip) – avesse eseguito prospezioni nella Libia “Italiana”, al tempo probabilmente non aveva né la tecnologia adeguata né un mandato preciso di esplorazione internazionale (si ricorda per esempio che l’A.G.I.P. fu la prima a scoprire petrolio in Iraq, per poi barattare con gli Inglesi, nel 1936, il titolo sulla concessione con il permesso di transito dal canale di Suez per la campagna d’Abissinia).