Gaza nei post di FB

di Enrico La Rosa

Questo contributo è un servizio reso a tutti i lettori che non abbiano – per qualsivoglia ragione – dimestichezza con i “social network”.

Inutile precisare la cattiva attitudine all’insulto personale tra persone che non si conoscono e non si sono mai incontrate, solo per questioni di diversità di idee, come se il mondo potesse essere migliore se tutti la pensassimo allo stessa maniera. Cattiva abitudine, anzi cattiva educazione che i talk show, prima, ed i social network, successivamente, hanno radicato nel popolo del web.

A parte ciò, ed è difficile riuscire a prescinderne, scremando molto, scaturisce un mondo fatto di persone molto diverse da come i governanti vorrebbero convincerle a divenire. Molte idee preconcette, è vero, non supportate da fatti, ma solo da luoghi comuni, ma anche tante idee originali che i governanti dovrebbero assorbire dalla rete, senza pretendere di dover essere sempre loro a diffondere il verbo, un “verbo” spesso più banale ed inconsistente degli internauti medesimi.

In molti casi, abbiamo avuto l’opportunità di imparare cose non note, se non persino occultate ad arte. E’ questa la casistica che ci piacerebbe riportarvi di seguito, ma anche talune dichiarazioni appassionate o disperate che dovrebbero indurci a riflettere sui motivi per i quali si sia potuto arrivare a tanto, anziché indurci a rispondere con facili e fondamentalmente anonime offese.

Omeganews ha deciso di fare un dono di questi interventi a tutti coloro che vogliono mantenere libero da condizionamenti il proprio cervello e senza pregiudizi il proprio spirito e non abbiano avuto l’opportunità, il tempo, la voglia di farlo. E’ vero che molti usano FB per condividere foto, satira politica, informazioni ludiche, pubblicazione di aforismi e frasi celebri, pubblicità di spettacoli, brani musicali e luoghi di vacanza, per scambiarsi confidenze generalmente banali. Ma è anche interessante biblioteca di notizie utili ed interessanti, di articoli non altrimenti consultabili, opinioni originali ed interessanti. Uno specchio delle categorie e delle propensioni del genere umano.

Una tragedia, quella del Medo Oriente, sta vivendo in questi giorni ore drammatiche. La regione è mediterranea, rientra tra gli obiettivi della monitorizzazione di <omeganews> e ne seguiamo con molta attenzione gli sviluppi.

Riportiamo, di seguito, alcuni fra i più interessanti post nei quali ci sia capitato d’imbatterci navigando in Internet, in particolare tra le maglie del popolo di Facebook.

Ovviamente, non abbiamo monitorato tutto il contenuto di FB. Neppure gran parte di esso, e neppure una piccola. Solo i commenti e le argomentazioni ramificate, e, talune, molto ben espanse, degli amici di membri della redazione e dei rispettivi amici e amici degli amici. Un campione non enorme, ma sufficiente per essere considerato “statisticamente significativo”.

Premettiamo alla rassegna il testo della RISOLUZIONE 242 (1967) adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite il 22 Novembre 1967.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità il 22 novembre (15 voti favorevoli, nessuna astensione, nessuno contrario) la proposta di risoluzione presentata dalla delegazione britannica.

Il Consiglio di Sicurezza,

esprimendo l’inquietudine che esso continua a provare a causa della grave situazione nel Medio Oriente,

Sottolineando che l’acquisizione dei territori con la guerra è inammissibile e che è necessario operare per una pace giusta e duratura, che consenta ad ogni stato della regione di vivere in sicurezza,

Sottolineando inoltre, che tutti gli stati membri accettando la Carta della ONU si sono impegnati ad agire in modo conforme all’art. 2 dello Statuto;

  1. Afferma che il compimento dei principi della Carta esige l’instaurazione di una pace giusta e durevole nel Medio Oriente, che dovrebbe comprendere l’applicazione dei due seguenti principi:

a)      Ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati nel recente conflitto;

b)      Fine di tutte le pretese e di tutte le situazioni di belligeranza e rispetto e riconoscimento della sovranità e dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di ogni stato della regione e del loro diritto di vivere in pace entro frontiere sicure e riconosciute, al riparo da minacce ed atti di forza;

2.      Afferma inoltre la necessità:

a)      Di garantire la libertà di navigazione sulle vie d’acqua internazionali della regione;

b)      Di realizzare una giusta soluzione del problema dei profughi;

c)      Di garantire l’inviolabilità territoriale e l’indipendenza politica di ogni stato della regione, con misure comprendenti la creazione di zone smilitarizzate

SELEZIONE DI POST PUBBLICI SU FB

14.07.2014 – 2212 – GuMo

B’tselem è una organizazzioen israeliana molto nota per la difesa dei diritti umani e la serietà delle sue indagini.

Ora qualcuno dirà che i dati non sono veri perchè sono fascisti, nazisti, comunisti, socialisti, anarchici… insomma scegliete voi…

http://www.btselem.org/initial-figures-114-people-killed-gaza-strip-date-12-july-2014-noon

16.07.2014 – 0906 – GuMo

Finalmente arriviamo al dunque.

Gaza è da sempre una spina nel fianco per il sionismo; non è un caso che Ariel Scheinerman (Sharon) proprio da queste parti ha compiuto la maggior arte dei suoi efferati delitti (perchè nonostante quanto pensino in diversi anche su Facebook allorquando le forze armate, volontariamente, massacrano e fucilano civili, siamo al di fuori di qualsiasi attività legale od etica che poco ha a che fare con il diritto e la giustizia e molto con il delirio di onnipotenza ed il pretendere che mai si verrà giudicati per i propri delitti).

Una concentrazione di due milioni di abitanti in così poco spazio, lascia solo soluzioni alla grozny, ossia la distruzione della città o di parte di essa.

Diritto internazionale? Giustizia? Equità? Ma cosa volete che siano, di fronte alla legge del più forte, sopratutto se ci si può permettere quello che ad altri non viene concesso in virtù di una particolare situazione geopolitica e interna agli USA dove la lobby ebraica può decidere per l’elezione di un presidente. Ah, forse in pochi si rendono conto di cosa stia parlando, visto che la storia di Gaza e dei gazawi è un po’ particolare, tanto che Nasser la considerava non territorio egiziano, seppur amministrata dall’Egitto, ma parte di un futuro stato palestinese.

http://www.repubblica.it/esteri/2014/07/16/news/gaza_16_luglio-91682294/?ref=HREC1-3

18.07.2014 – 0949 – GuMo

Bene, abbiamo, come prevedevo, chi ritiene che la tragedia di Gaza,quella che ha visto i quattro bambini uccisi da un missile o cannonata israeliana mentre giocavano a pallone sia inventata. Che ci sino testimonianze di giornalisti stranieri, di volontari di ONG internazionali e quant’altro, poco conta. Quello che è importante per costoro è condurre una guerra psicologica tesa a dimostrare che quanto viene dai palestinesi non esiste, è frutto di fantasia o costruzione a tavolino. Non altrettanto viene però messo in dubbio riguardo immagini provenire dal fronte opposto, in cui le notizie e i video filmat od altro sono tutti veritieri.

Quelo che mi fa rabbia è che le persone, l’uomo, vengono messe in secondo piano di fronte ad una ideologia, ad una presa di posizione di parte, alla sopravvivenza o vittoria della propria tesi; i morti, vittime civili? E cosa vuoi che siano. siccome sono dalla parte ideologicamente diversa dalla nostra, ben gli sta. chissà se la pensano in egual maniera i parenti, ormai pochi, di coloro che hanno perso i propri familiari od amici sotto i bombardamenti siano essi stati tedeschi o anglo americani qui in Italia durante la seconda guerra mondiale.

Certo, la guerra attuale, ove mai quella fra uno stato (Israele) e gli abitanti di una città (Gaza) possa considerarsi guerra e non operazione di punizione collettiva, entrerebbero in gioco i classici fattori della guerra psicologica, di quella guerra che abbiamo visto essere condotta sui telegiornali e media attraverso agenzie specializzate(lo ha fatto anche la NATO) il cui compito è manipolare l’opinione pubblica, manipolare noi cittadini che abbiamo il diritto-dovere di controllare coloro che abbiamo eletto e di verificare che quanto da loro operato corrisponda a quanto da loro promesso. Perché, se così non fosse, abbiamo abdicato al sistema democratico, come mi sembra che abbiamo fato da lungo tempo ad ora. E se quindi NOI, come cittadini, abbiamo fatto in modo che certe cose accadano, per nostra ignavia, ignoranza o cattiva volontà, siamo responsabili delle decisioni prese dai nostri governati (insisto ancora sull’argomento responsabilità). perchè se qualcuno. esasperato per la continua morte di parenti, amici, conoscenti, per la mancanza di qualsivoglia libertà e possibilità di vivere una vita decente, decide di farcela pagare perchè noi, nella nostra ignoranza, non abbiamo controllato e verificato, beh, con chi prendersela?

18.07.2014 – 1014 – GuMo ß RoSc

Dati statistici di un anno di negoziati, più attacco a Gaza

2307201401

18.07.2014 – 1843 – TaLa

Jon Snow di Channel 4 mette in seria difficoltà il portavoce del governo israeliano. Perché alcuni giornalisti e cosiddetti esperti del medio oriente italiani non guardano con molta umiltà simili lezioni di giornalismo prima di pontificare su ciò che non sanno o sanno pressapoco o quando addirittura non fanno il copia-incolla della voce del più forte?

GAZA 2014 | Jon Snow ‘annihilates’ Israeli spokesperson Mark Regev

Channel 4 News anchor Jon Snow destroys the Prime Minister of Israel’s Chief Spokesperson, Mark Regev, live on air on British television; questioning Israeli…

19 luglio 2014 – 0007 – GuMo

Palestina. quello che dà fastidio è la mistificazione dei fatti.

Sin dalla partizione voluta dalle UN, non si è mai espresso un punto di vista mediatico badandosi su documenti storici.

La votazione che approvò la partizione fu presa solo dopo due decisioni in cui il quorum non venne raggiunto, per un intervento diretto su alcune nazioni cui furono minacciati il taglio di aiuti economici o soluzioni per cambiare il governo.

I vari massacri compiuti sia dall’Haganah che dal Lehi e dall’Irgun, sono sempre stati sepolti nella storiografia ufficiale sino all’arrivo dei così detti nuovi storici.

Le pulizie etniche (non saprei come altro chiamarle) del 1948 e del 1967 con il divieto del ritorno dei palestinesi espulsi, la distruzione o meglio eradicazione di circa 500 villaggi, considerato che si è tolto qualsiasi riferimento ad una precedente presenza palestinese, non sono mai state descritte al grande pubblico.

La prosecuzione delle leggi antiterrorismo britanniche del periodo del mandato, nei territori occupati, sono state abbondantemente ignorate,

la realtà degli accordi di Oslo, descritte da Shlomo Ben-Ami e Yossi Beilin (uno dei negoziatori da parte israeliana), sono state abbondantemente ignorate anch’esse per favorire una visione dei Palestinesi cui era stato concesso tutto e che non avevano dato alcunché in cambio.

La realtà di una società militarizzata che mira ad una espansione territoriale neanche chiara, laddove fa riferimento ad un ipotetico regno di Israele, laddove (secondo al Bibbia) a seguito della morte di Salomone il regno degli Ebrei si divide in un regno di Israele ed uno di Giudea; e Gerusalemme è la capitale del regno di Giudea.

Nella stessa Bibbia il termine terra di Israele, così ampiamente tratta dalla mitologia, non esiste, in quanto si parla di popolo di Israele, ma la terra viene descritta come terra di Canaa o o in altri nomi, laddove l’affermazione terra di Israele appare per la prima volta nel vangelo di Matteo (2:19-21); giusto per capire quanto poco intendiamo rifarci ai fatti.

20.07.2014 – 0538 – GuMo ß MeCa

Mail del chirurgo norvegese Mads Gilbert dallo Shifa hospital, Gaza.

Carissimi amici,

la notte scorsa è stata estrema. L’“invasione di terra” di Gaza ha provocato decine e vagoni di mutilati, lacerati, insanguinati, tremanti, moribondi – tutti i tipi di palestinesi feriti, di tutte le età, tutti civili, tutti innocenti.

Gli eroi nelle ambulanze e in tutti gli ospedali di Gaza stanno lavorando i…n turni di 12-24 ore, grigi dalla fatica e dai disumani carichi di lavoro (senza paga tutti quelli dell’ospedale Shifa da 4 mesi), si prendono cura, fanno il triage delle emergenze, cercano di capire qualcosa nell’incomprensibile caos di corpi, organi, taglie, arti, esseri umani che camminano, che non camminano, che respirano, che non respirano, che sanguinano, che non sanguinano. Esseri umani!

Ora, ancora una volta trattati come animali dall’“esercito più morale del mondo” (sic!).
Il mio rispetto per i feriti è infinita, nella loro contenuta determinazione in preda a dolore, agonia e shock; la mia ammirazione per il personale e i volontari è infinita, la mia vicinanza al “sumud” [resilienza] palestinese mi dà forza, anche se a occhiate voglio solo urlare, tenere qualcuno stretto, piangere, sentire l’odore della pelle e dei capelli del bambino caldo, coperto di sangue, proteggerci in un abbraccio senza fine – ma non possiamo permettercelo, né possono loro.

Volti grigio cenere – Oh NO! non un altro carico ancora di decine di mutilati e insanguinati, abbiamo ancora laghi di sangue sul pavimento nell’Emergency Room, mucchi di bende insanguinate gocciolanti da spazzare via – oh – addetti alle pulizie, ovunque, in fretta spalano sangue e tessuti di scarto, capelli, vestiti, cannule – gli avanzi della morte – tutto portato via … per essere pronti ancora una volta, per ripetere tutto da capo. Più di 100 casi arrivati allo Shifa Hospital nelle ultime 24 ore, gia’ tanto per un grande ospedale ben attrezzato con tutto, ma qui – quasi nulla: elettricità, acqua, materiale monouso, medicine o tavoli, strumenti, monitor – tutto arrugginito e come se preso da musei di vecchi ospedali. Ma non si lamentano questi eroi. Vanno avanti cosi’ come guerrieri, a testa bassa, immensamente resoluti.

E mentre vi scrivo queste parole, da solo, su un letto, le mie lacrime scorrono, lacrime calde ma inutili, di dolore e di pena, di rabbia e di paura. Questo non sta accadendo!

Ed ecco, proprio ora, l’orchestra della macchina da guerra israeliana inizia la sua macabra sinfonia di nuovo, proprio ora: salve di artiglieria dalle navi della marina appena giù sulla spiaggia, gli F16 che ruggiscono, i droni nauseanti (in arabo ‘Zennanis’, che mugolano), e gli Apache che creano scompiglio. Tutto fatto e pagato dagli Stati Uniti.

Obama – ce l’hai un cuore?

Ti invito – passa una notte – solo una notte – con noi nello Shifa Hospital. Travestito da addetto alle pulizie, magari. Sono convinto al 100% che cambierebbe la storia. Nessuno con un cuore e potere potrebbe mai allontanarsi da una notte nello Shifa senza essere determinato a porre fine al massacro del popolo palestinese.

Ma i senza cuore e i senza pietà hanno fatto i loro calcoli e pianificato un altro assalto “dahyia” [la dottrina elaborata dal generale israeliano Gadi Eizenkot dell’infliggere la massima sofferenza alla popolazione civile come metodo di deterrenza] a Gaza.

I fiumi di sangue potranno continuare a scorrere la notte a venire. Posso sentire che hanno sintonizzato i loro strumenti di morte.

Per favore. Fate quello che potete. Questo, questo non può continuare.

Mads

Gaza, Palestina Occupata

Mads Gilbert MD PhD

Professor and Clinical Head

Clinic of Emergency Medicine

University Hospital of North Norway

N-9038 Tromsø, Norway

Mobile: +4790878740tel:%2B4790878740

20.07.2014 – 0930 – GuMo ß http://digitaledition.corriere.it/ (ViMa)

Da Corriere della Sera del 20/07/14

http://digitaledition.corriere.it/

Social media, se l’imparzialità va in crisi.

Se la copertura mediatica del conflitto israelo-palestinese è sempre oggetto di polemiche, a moltiplicarle contribuisce la tendenza dei giornalisti ad esprimere la propria opinione sui social media. Così nei giorni scorsi due importanti network americani si sono trovati a dover difendere la propria immagine. La Cnn ha riassegnato alla sede di Mosca una reporter di guerra, Diana Magnay. La ragione: un tweet della giornalista. Mentre osservava i raid su Gaza dalla città di Sderot, spesso colpita dai razzi provenienti dalla Striscia, ha scritto su Twitter: «Gli israeliani sulla collina su Sderot esultano mentre le bombe piombano su Gaza, e minacciano di distruggere la nostra auto se dico una parola sbagliata. Feccia». La tv ha deciso di tutelare la propria imparzialità e ha trasferito Magnay. Un’altra tv americana, la Nbc, invece, si è trovava sotto accusa dopo aver fatto rientrare da Gaza il giornalista egiziano-americano Ayman Mohyeldin, diventato una star durante la guerra a Gaza nel 2009 (al tempo lavorava per Al Jazeera, ma anche Gideon Levy su Haaretz lo definì un eroe). Elogiato da più parti per il modo bilanciato di seguire la crisi, è stato invece accusato dai media conservatori di favorire il lato palestinese. Nei giorni scorsi dopo aver assistito all’uccisione di 4 bambini palestinesi con cui aveva giocato a calcio poco prima sulla spiaggia, ha scritto su Facebook: «Il dipartimento di Stato ha appena detto che Hamas è responsabile per il raid israeliano e l’uccisione dei bambini perché Hamas non accetta la tregua. Discutetene tra di voi». Improvvisamente è stato sostituito da un altro noto giornalista della Nbc , Richard Engel, senza convincenti spiegazioni, suscitando le critiche di giornalisti dentro e fuori il network. Ma alla fine, la Nbc, accusata di censura, ha ceduto alle pressioni: Mohyeldin ha annunciato su Twitter il suo ritorno a Gaza: «Orgoglioso dell’impegno di Nbc a seguire il lato palestinese della storia».Le polemiche hanno colpito anche gli opinionisti, accusati di essere andati «troppo oltre». Jon Stewart che nel suo programma tv «Daily Show» usa la satira per discutere «seriamente» di attualità, è stato definito «un ebreo che odia se stesso» per le critiche ai raid israeliani e agli inviti ai palestinesi a lasciare le proprie case: «E dove dovrebbero andare?». Il comico Bill Maher è tacciato di razzismo e sessismo per aver twittato: «Avere a che fare con Hamas è come avere a che fare con una donna pazza che cerca di ucciderti: puoi solo stringerle i polsi prima di prenderla a schiaffi». Nel loro caso, prendere parte è più ovvio. Ma i social media trasformano tutti in opinionisti. Viviana Mazza

Articolo condiviso con Corriere della Sera Digital Edition

20 luglio 2014 – 2301 – SaEl

ho condiviso tante cose con te sul fondamentalismo islamico e so che sei d’accordo con me. Ho viaggiato tanto e sono arrivata persino in Iraq. La questione dell’islamismo religioso non è cosa da poco. Vorrei per dire che si ricordasse dove sono nati i movimenti fondamentalisti e perché,. Un tempo sarei anche stata d’accordo, anzi ero d’accordo con Moni Ovadia. Ho fatto la coordinatrice in una comunità di rifugiati che provenivano quasi tutti dall’Africa tranne una piccola minoranza di afghani, pashtu e hazara, Con loro, grazie al fatto di sapere sia inglese che francese ho molto parlato. Ho molto parlato con somali, sud sudanesi, tunisini, afghani, congolesi. Sono d’accordo, siamo d’accordo che quel cancro, sparso dagli Usa, anzi dalla Cia, per contrastare l’Urss di allora, si sta divorando la civiltà islamica che, per averla studiata all’università, amo sopra ad ogni cosa. Non riesco ad andare avanti ad ascoltare Moni Ovadia oltre il quinto minuto,. Può darsi che mi sbaglio, ma la sua analisi è oltremodo superficiale e soprattutto non tiene conto di una cosa, reale questa, sulla quale sarai d’accordo con me, almeno lo spero. Le reazioni a ciò che hanno fatto gli occidentali in medio oriente e anche in Africa sono il primo motivo per cui il fondamentalismo ha preso piede. e di questo – specie dopo la mia visita in Iraq – sono assolutamente convinta. Poi sono stata in Finlandia, ad un convegno sul neo nazismo. Anche lì, come allora in Iraq, gli esperti parlavano di forti legami con i movimenti neo nazisti e certo estremismo di matrice islamica. Allora ho iniziato a riflettere. Poi sono stata in Israele, dove ho avuto modo anche di incontrare amici palestinesi del tempo dell’università. amici palestinesi che vivono in zona c, territori controllati da Israele, Gerusalemme, per intenderci. E Bethlemme. Mi dicevano che loro nella striscia di Gaza, sotto il governo di Hamas non avrebbero abitato nemmeno morti. Poi è accaduto ciò che è accaduto ora. Vederlo senza guardare anche il resto è da pazzi, oltre che da superficiali e so che tu non lo fai. Ma Moni Ovadia, e purtroppo moltissimi intellettuali italiani, invece sì. Mi sembrano ciechi. e so che tu non lo sei. Mi sbaglierò ma Moni Ovadia, che in Israele peraltro non è mai stato e quindi NON lo considero un esperto nel campo (e non mi risulta sia mai stato in nessun paese arabo, credo), nemmeno in questo video lo fa. Per cui ti prego, visto che io non riesco a guardarlo senza che mi salga una rabbia bestiale, ti prego di dirmi se Moni Ovadia ha mai fatto, o la fa in questo video, un’analisi della situazione sotto questo punto di vista. Che è molto pericoloso sottovalutare. Sono sempre stata contro le azioni dello Stato d’Israele, chi mi conosce bene lo sa. Ma questa volta, mi spiace, ho un’altra visuale. E credo non sia sbagliata. Io non voglio apparirti paranoica, però…

21.07.14 – 0009 – DaFr

Ma per essere considerati obbiettivi basta essere contro Israele? Perché chi ha di prima mano informazioni diverse non è attendibile? Perché sono fandonie tutte le aggressioni che ha subito Israele con i razzi lanciati a mo’ di pioggia? Dove eravate quando sono iniziati? Perché non vi siete fatti sentire affinché cessassero e si fermasse quella che sarebbe diventata una escalation micidiale? A chi faceva comodo che Israele si rompesse le scatole di far vivere i suoi cittadini nei bunker e reagisse? Perché che vi piaccia o meno Israele sta reagendo come può a chi vuol mettere in dubbio la sua esistenza, a chi cerca di renderla infernale. A chi la rende infernale anche ai poveri gazawi che non possono ribellarsi pena la morte. A chi minaccia di venire a Roma e a cominciato ad espellere i cristiani dal Califfato Islamico, ad un solo mese dalla preghiera in Vaticano. Vi sembra sincerità questa? Ma sapete di cosa state parlando o vi piace riempirvi la bocca di buonismo? Vi fa sentire a posto? Sono d’accordo con SaEl, io ho resistito meno dei suoi 5 minuti, è stata fin troppo brava. Già dimenticati i 4 ragazzi israeliani uccisi (3 noti più la Shelly Dadon), il mese di razzi lanciati su Israele, i tre giorni di preavviso dati da Israele prima di iniziare le controffensive…Dormivate? E tutto sapete per cosa? Avete letto le condizioni di Hamas per il cessate il fuoco? Credete che sia per la liberazione di Gaza? Andate a leggere, 10 anni di tregua (non di accordi per un trattato di pace), liberazione di 56 prigionieri in Israele e i soldi per pagare gli stipendi ai 40000 dipendenti…per questo Hamas sta facendo questa strage…fra l’altro, dove sono tutti questi valorosi combattenti? Perché muoiono solo i civili (forse perchè i miliziani non hanno una divisa)? Per favore, riflettete un attimo e guardate quanto di buono fa Israele quando non è impegnato a difendersi e guardate cosa fanno i paesi arabi…per favore…

21 luglio 2014 – 1417 – GuMo

A New York migliaia di ebrei manifestano contro il massacro di Gaza

2307201402

21 luglio 2014 – 1427 – TaLa

I media parlano soltanto di Hamas, come se a Gaza ci fosse una guerra fra Israele (assediata dice qualcuno) e una forza oscura islamista pronta a distruggere Israele chiamata Hamas. Non è così. A Gaza c’è una cosa che si chiama Resistenza palestinese ed è formata da:

–         Brigate Abdelkader Al-Husseini (Fatah)

–         Brigate Abu Ali Mustapha, (FPLP) – Sinistra radicale

–         Brigate Annasser Salah Eddin (salafiti)

–         Brigate di Resistenza Nazionale (Fronte Democratico per la liberazione della Palestina) – Sinistra.

–         Saraya Al-Quds (Jihad islamica)

–         Brigate Ezzeddin Al-Qassam (Hamas)

–         Brigate Shuhada al-Aqsa (OLP-Fatah)

Resistenza unita, al di là delle differenze ideologiche, per contrastare l’aggressione israeliana. Così, giusto per la chiarezza.

21.07.14 – 1527- GiuMi

“19 luglio 2014

i cittadini dello Stato d’Israele in questi giorni sono vittime di una pioggia di missili che provengono dalla striscia di Gaza e vivono l’angoscia degli allarmi che li costringono a correre nei rifugi antiaerei per evitare di essere colpiti.

Fortunatamente, l’efficacia dei missili lanciati dall’ala militare di Hamas o di altri gruppi jihadisti o islamisti è molto limitata.

Cionondimeno vivere sotto la minaccia di quelle armi ancorché poco efficienti non cancella la condizione di vittima e men che meno il sentimento di essere tale.

I sostenitori delle ragioni di Israele sempre e comunque, senza se e senza ma, oggi come ieri, proclamano tuttavia che Israele sia vittima in ogni circostanza e qualsiasi cosa faccia, qualunque sia la politica praticata dal suo governo.

Non vedono altro, non vogliono che la loro fede sia neppure sottoposta al vaglio di disamine critiche.

Per esempio, Gaza – dopo l’evacuazione dei coloni, ad opera di Ariel Sharon – è stata ridotta a una gabbia sigillata;

il suo territorio, le sue acque territoriali, i suoi confini, il suo spazio aereo sono sotto il controllo dell’esercito israeliano;

le risorse idriche, l’energia elettrica sono sotto il controllo delle autorità israeliane;

i movimenti dei cittadini, persino la loro identità, sono sottoposti al controllo di Israele;

il flusso delle merci, e di quali merci, lo decidono sempre gli organi di controllo dello stato di Israele;

la popolazione palestinese gazawi vive in una condizione infernale, sottoposta allo stillicidio di un assedio permanente;

il numero delle sue vittime, civili e innocenti, dei ripetuti conflitti con l’assediante è pauroso…

chi è la vittima?

Israele.

Il popolo palestinese vive da quasi 50 anni sotto occupazione;

le sue terre legittime, secondo il diritto internazionale, vengono espropriate, colonizzate;

le sue topografie esistenziali vengono stravolte a favore dell’occupante;

le sue case demolite o alienate;

i diritti di proprietà negati, per mezzo di leggi speciali;

le colonie si espandono in continuazione;

i suoi confini sono unilateralmente ridisegnati dall’occupante che, non avendo una legge costituzionale, non ha né dichiarato né definito i suoi confini.

La popolazione palestinese subisce continue vessazioni, come centinaia di migliaia di detenzioni amministrative senza processo, a opera dell’occupante che è potentissimo, la 4a potenza militare al mondo…

Chi è la vittima?

Gli israeliani.

Ora, sarebbe un errore considerare ironicamente questo sentire vittimistico di un vastissimo numero ebrei, in Israele e nella diaspora.

Esso è alimentato dal formidabile propellente della immane tragedia della Shoà.

Lo sterminio degli ebrei è mille volte rivissuto, ri-metabolizzato senza fine;

usato strumentalmente da politici cinici;

accolto dalla vile comunità internazionale occidentale come lavacro di un ignobile complesso di colpa, espiato con impudicizia colonialista sulle spalle dei palestinesi, cui viene negata dignità e identità.

Per questa ragione i governanti dell’occidente non chiamano quelli israeliani al rispetto della legalità internazionale.

Ma, sia chiaro, se il drammatico e micidiale circuito della vittimizzazione psico-patologica e, insieme, strumentale non viene superato con un grande progetto politico culturale promosso dalle istituzioni internazionali, non ci sarà mai pace”.

21 luglio 2014 – 1943 – GuMo

Uno dei miti fondatori della attuale situazione è che la risoluzione 181 della assemblea generale delle UN il 23 settembre 1947 abbia dato la titolarità alla costituzione di uno stato ebraico basandosi sul fatto che la popolazione di cultura e religione ebrea detenesse la maggior parte del territorio comprato dalla popolazione palestinese o (e sopratutto) dai grandi proprietari terrieri-

in ordine:

–         secondo i documenti britannici, la popolazione in Palestina nel 1931 era composta da:

  • Ebrei: 175.000unità, rispetto alle 60.000 del 1918 con una proprietà terriera di 1.163.000 dunum (un dunum circa 1000 mq), rispetto ai 650.000 del 1920, grazie all’immigrazione;
  • Palestinesi: 880.000 unità di cui 775.000 musulmani e 93.000 cristiani

–         gli arabi costituivano quindi l’82% della popolazione con una tendenza alla diminuzione in virtù dell’integrazione che li porterà ad essere meno del 70% nel 1939. (Benny Morris, Vittime, pag 159).

Al momento della risoluzione, secondo i dati Britannici quale potenza mandataria, i dati erano i seguenti:

–         Popolazione

  • araba:1.796.537;
  • ebrea: 552.670.

–         Proprietà terriera:

  • Araba: 23.339.643 dunum;
  • Ebraica: 1.491.699 dunum;
  • Pubblica:1.491.657 dunum.

Allego poi di seguito la pagina da cui sono stati ripresi i dati e che ho suddivisi per distretto.

Qualora si ritengano tali dati non affidabili, rimando a documento in mio possesso della organizzazione sionistica – ufficio di Roma, via Treviso 31, risalente al 1928 ed intitolato “Memoriale sui progressi della sede nazionale ebraica nel 1927-1928 presentato dalla organizzazione sionistica alla organizzazione permanente dei mandati presso la Lega delle Nazioni nel giugno 1928” in cui, a pag. 11 si legge: “al 1° luglio 1927, l’ufficio di Igiene del Governo di Palestina calcolava la popolazione ebraica del paese a 147.687 anime.. (omissis)..calcoli recenti permettono di stimare la popolazione ebraica, alla fine del 1927, a circa 159.000 anime (circa il diciotto per cento della popolazione)“.

Dati che concorrono pertanto a dare vigore a quelli forniti da Benny Morris all’inizio ed a quelli britannici citati.

Pertanto, si devono ritenere i dati da me citati e riferiti a fonti britanniche del 1945 (Survey of Palestine prepared in December 1945 and January 1946 for the information of the anglo american committee of inquiry – e- village statistics, preparato dal the Government Office of Statistics and the Department of Lands of the British Mandate Government per l’inquiry committe appena descritto) siano affidabili, anche perchè sono quelli su cui si è basato lo speciale comitato delle Nazioni Unite (USCOP) e la cui relazione di maggioranza fu approvata come piano per la risoluzione 181 anzi citata.

Secondo la risoluzione 181, la Palestina sarebbe stata divisa in TRE entità;

–         Uno stato indipendente arabo;

–         Uno stato indipendente ebraico;

–         Un regime speciale internazionale per la città di Gerusalemme.

Pertanto, secondo la previsione delle Nazioni Unite:

–         lo stato arabo sarebbe stato composto dal 42% del territorio assegnato ad una popolazione araba di 818.000 palestinesi con una popolazione ebraica di 10.000 unità;

–         Il 56% del territorio assegnato ad uno stato ebraico con 499.000 ebrei e 438.000 palestinesi;

La città di Gerusalemme e dintorni, governata internazionalmente, con una popolazione di 200.000 abitanti equamente suddivisa.

I territori assegnati a ciascuno stato sono consultabili direttamente sul documento delle UN http://unispal.un.org/unispal.nsf/0/7F0AF2BD897689B785256C330061D253.

Non tratto dell’argomento risoluzione, delle sue fasi, incluso il parere contrario al progetto della seconda subcommissione che sosteneva la non disponibilità giuridica delle Un di un simile progetto raccomandando che venisse interessata del caso la corte internazionale di giustizia, né dei criteri di assegnazione delle terre, bensì solo del mito che la popolazione ebrea disponesse, avendola comprata, della maggioranza della terra della Palestina.

Come si vede, è un mito facilmente smascherabile.

A/RES/181(II) of 29 November 1947

unispal.un.org

22 luglio 2014 – 1525 – GuMo

Altro mito fondatore, (ed è un mito possente e difficile da contrastare perché fa parte di una immagine che ci siamo costruiti nel tempo) è quello del Davide contro Golia, del piccolo Stato che, grazie alla forza e disperazione dei suoi cittadini, è riuscito a sopravvivere ad un attacco concentrico e concentrato dei paesi arabi confinanti e della popolazione araba della Palestina.

Questo non è uno studio, ma una traccia indicativa, un qualcosa con cui avere dei dati di fatto e documenti a portata di mano.

Anzitutto una premessa; nel 1948 i conflitti sono stati due e diversamente localizzati nel tempo.

Il primo conflitto è stato fra le forze ebraiche organizzate e quelle arabe, raffazzonate, fra fine novembre 1947 e metà maggio 1948.

Ricordo che il 14 febbraio il governo britannico decise di districarsi dalla questione palestinese, lasciando la responsabilità sull’argomento alle Nazioni Unite.

il secondo fra il 15 maggio 1948 e l’inizio del 1949 fra nuovo stato israeliano e Siria, Giordania, Libano e Iraq.

Nella prima parte del conflitto fra il 1947 e il 1948, erano ancora presenti in Palestina le forze britanniche, che si ritirarono definitivamente il 14 maggio 1948 con la partenza del generale sir Alan Cunningham, , l’ultimo alto commissario per la Palestina, che lasciò Haifa a bordo della nave Euryalus.

Per meglio comprendere la situazione ricorro alle parole di Kimmerling-Migdal (I Palestinesi, la genesi di un popolo, pag.179) “I palestinesi sembravano aver il sopravvento, almeno dei numeri, grazie ad una popolazione più che doppia (1.300.000 abitanti) rispetto a quella ebraica (620.000). Ma queste cifre sono ingannevoli: l’immigrazione ebraica aveva creato infatti una società con una proporzione smisurata di giovani in età di leva, pari ad una volta e mezza quella degli arabi”.

Scrive Benny Morris (Vittime pag 247 e seguenti): “Alla vigilia della guerra la Haganah disponeva complessivamente di 35.000 combattenti. Tra questi le unità di élite del Palmach consistevano nel novembre 1947, in 2.100 uomini e 1.000 riservisti che furono subito richiamati. L’Irgun disponeva di 2000-3000 combattenti, l’LHI di 300-500; durante la fase della guerra civile nessuna di queste organizzazioni si scontrò con le altre o le intralciò. Semmai le sue ultime fasi videro un crescente coordinamento far l’Haganah e l’Irgun. In breve lo Yshuw poteva contare su un unico dispositivo militare nazionale, qualcosa di cui gli arabi palestinesi mancavano completamente. Inoltre lo stato maggiore e le altre strutture di comando della Haganah garantivano che gli uomini in armi potessero essere trasferiti e schierati in ogni momento dove era più importante disporre della superiorità di numero e potenza di fuoco rispetto al nemico” “Alla fine di Novembre 1947 l’Haganah aveva circa 16.000 armi leggere – fucili normali, fucili mitragliatori e pistole, un migliaio di mitragliatrici, 750 mortai leggeri – mentre la polizia ebraica degli insediamenti, dipendente dalla autorità britannica ma di fatto leale all’Haganah, possedeva legalmente altri 6000 fucili e 48 mitragliatrici (NdR. non esisteva analoga polizia araba). Gran parte degli oltre 300 insediamenti ebraici allo scoppio della guerra era munito di solide difese; trincee, bunker e altri rifugi. E barriere perimetrali spesso rinforzate con filo spinato e campi minati. Si trattava in sostanza di fortezze in miniatura”.

Benny Morris (1948, Israele e Palestina tra guerra e pace, pag. 57 e segg.): “uno dei più tenaci miti relativi al 1948 è quello di “Davide e Golia”- il mito, cioè, che gli arabi fossero militarmente molto più forti dell’Yshuw. La verità – come dimostrato da Flapan, Shlaim, Pappe e chi scrive – è semplicemente che a vincere fu chi, in realtà, era militarmente più forte. Le carte geografiche che mostrano un minuscolo Israele circondato da una gigantesca estensione dei paesi arabi non rispecchiavano, e per il momento continuano a non rispecchiare i veri rapporti di forze. L’Yshuw pre-1948 si era ben organizzato sia sul piano della pubblica amministrazione che su quello bellico; gli arabi di Palestina, due volte più numerosi degli ebrei, non l’avevano fatto. E in guerra comando e controllo sono tutto, o quasi. Nella prima metà del conflitto (dicembre 1947-14 maggio 1948) l’Yshuw ebbe combattenti meglio armati ed addestrati rispetto ai palestinesi. Le cui forze erano rimpolpate da alcune migliaia di volontari provenienti dai vicini stati arabi. La superiorità nell’organizzazione, nel comando e nel controllo significò che in quasi tutti i momenti decisivi della battaglia la Haganah riuscì a schierare formazioni più numerose e meglio armate rispetto ai palestinesi. Quando l’Yshuw mise alla prova la forza dei due schieramenti, con le offensive dell’Haganah di aprile e dell inizio di maggio del 1948, il risultato non fu mai dubbio: le ridotte forze arabe caddero come frutti maturi, producendo un effetto domino – il corridoio di Gerusalemme, Tiberiade,Haifa, la Galilea orientale, Safad se aggiungiamo a tutto questo la superiorità dell’Yshuw quanto a morale e motivazione –  erano trascorsi solo tre anni dall’olocausto, e i combattenti della Haganah sentivano la guerra come una questione di vita o di morte – è chiaro che i palestinesi non ebbero mai lacuna possibilità di vincere”.

Ilan Pappe (La pulizia etnica della Palestina,  pag.63 e seguenti). “In tutto, alla vigilia della guerra del 1948, le truppe da combattimento ebraiche ammontavano a circa 50.000 soldati, dei quali 30.000 erano combattenti e il resto ausiliari che vivevano in vari insediamenti: nel maggio del 1948 questi soldati potevano contare sull’assistenza di una piccola forza aerea e navale e su unità di carri armati, di blindati e d’artiglieria pesante. Di fronte, avevano unità irregolari paramilitari di palestinesi che non raggiungevano i 7.000 soldati: una forza da combattimento che mancava di qualsiasi struttura o gerarchia, equipaggiata miseramente se paragonata alle forze ebraiche. Oltre a questi soldati, nel febbraio del 1948 erano entrati circa 1.000 volontari dai paesi arabi, che nei mesi successivi raggiunsero la cifra di 3.000” (fonte citata da Pappe è The war of indipendence di Rivlin-Oren vol. I, pag 320 e pag 397; vol. II pag. 428).

Martin van Creveld (La spada e l’ulivo, storia dell esercito israeliano scrive:

(pag.111) “negli ultimi mesi del 1947 si passò alla preparazione effettiva della coscrizione degli uomini e alla costruzione di un esercito vero e proprio. Il 28 novembre venne promulgato un decreto per la registrazione militare; alla metà del 1948 era stato chiamato alle armi un totale di circa 50.000 effettivi, tra uomini e donne di età compresa tra i 17 e i 35 anni. Oltre ai 27.000 membri che già avevano fatto parte della Hagana, vi erano inclusi anche 7.000-10-000 immigrati recenti che, dopo essere stati concentrati nei campi di transito in diversi paesi europei, erano stati radunati e selezionati anche prima di raggiungere la nuova patria. Come indicano queste cifre, finché continuava la presenza britannica in Palestina, la risposta dei membri dello Yshuw restava alquanto modesta; in effetti in quel periodo si parlava molto di “disertori” e “ imboscati”. Una volta partiti gli inglesi, però, diventò possibile impiegare l’autorità dello stato per sostenere il processo di mobilitazione e il numero dei coscritti aumentò notevolmente. Alla fine del 1948 circa 200.000 persone, di cui 164.000 uomini, risultavano registrate per il servizio militare”.

Giova al riguardo sottolineare che quanto scritto – ed abbondantemente citato da me, da Benny Morris nei suoi libri, trova un repentino voltafaccia proprio da parte di Morris, che nell’articolo THE IGNORANCE AT THE HEART OF AN INNUENDO (http://howtoplayalone.wordpress.com/a-nasty-piece-of-work/) si contraddice sostenendo “It is true that in the first part of the war, the “civil war” between the Jewish and Arab communities in Palestine (from late November 1947 until May 14, 1948, when the state of Israel came into being), the Jews enjoyed a gradually mobilized military superiority, owed primarily to better organization and only marginally to an advantage in some types of weaponry (mortars and possibly machine guns). But the Palestinians probably had an edge in light arms, the main armaments during the civil war. And they enjoyed the support of the 4,000-man Arab Liberation Army, consisting mainly of Syrian and Iraqi volunteers, which had field artillery, which the Yishuv–the Jewish community in Palestine–did not possess. Except in the last few weeks of the civil war, the Arabs probably had an overall edge in men-under-arms–say 15,000-30,000 to the Yishuv’s 15,000-25,000; but they proved unable to bring the advantage to bear in the successive battlefields. The militiamen of Nablus and Hebron, where no fighting occurred, saw no reason to come to the aid of their embattled brothers in Jaffa and Haifa”. L’articolo è del 28 aprile 2006, periodo in cui Morris aveva cambiato la sua opinione sulla guerra del 1948, sostenendo sì che vi era stata una pulizia etnica, ma che non era stata intenzionale (NDR, cosa che gli ha permesso di essere l’unico fra i nuovi storici israeliani di permanere in una università israeliana, essendo gli altri dovuti allontanarsi per ragioni di ostracismo in università internazionali secondarie quali Oxford e Cambridge).

Nur Masalha (Expulsions of Palestinians, pag. 177), citando un rapporto dell intelligence Britannica (G.J. Jenkins, 30 december 1947, British Embassy, Cairo, PRO,FO 371/68366,E458)

scrive “On 23 december, a British intelligence observer reported thaat the Haganah was moving fast to exploit Palestinian weaknesses and disorganization, especially in Haifa and Jaffa, and to render them “completely powerless” so as to force them into flight”.

Avi Shlaim (The debate about 1948 pubblicato in The israel/Palestine questionedited by Ilan Pappe, pag181”: “during the unofficial phase of the war, from december1947 until 14 may 1948, the yshuw gradually gained the upper hand in the struggle against its palestininas opponents:its armed forces were larger, better trained, and more technologically advanced. Despite some initial setbacks, these advantages enabled it to win and win decisively the battle against the palestinians arabs”.

Thomas G Frazer (Il conflitto arabo israeliano, pgg 48-49): “fin dall’inizio fu evidente che gli arabi erano molto meno coordinati. Nel nord del paese, Fauzi al Kaukji, un ufficiale siriano che aveva avuto un ruolo di rilievo nella rivolta araba del 1936-1939, fu a capo dell esercito di liberazione arabo, una forza mista siriano palestinese di circa 5000 uomini. Gli Husseyni avevano un controllo più diretto dell’area di Gerusalemme e della zona attorno a Lydda; i loro contingenti militari, ognuno dei quali contava circa 1000 uomini, furono rispettivamente affidati al comando di bd al Aadr al Husseyni, il cugino del muftì e di hassan Salameh. Essi poterono contare solo sulla simpatia ed il relativo sostegno dei paesi arabi confinanti e dei britannici in procinto di lasciare il paese, ma pochi arabi avevano esperienza di combattimenti moderni, né avevano un chiara strategia politica a parte il desiderio di impedire la nascita dello stato ebraico, a sua volta limitato dalle ambizioni di Abdallah di Transgiordania di assicurarsi parte della Palestina.

Per contro, migliaia di ebrei avevano combattuto nell’esercito britannico o nella brigata ebraica, ricavandone una precisa cognizione di ciò che era necessario per combattere una guerra moderna. Durante l’inverno 1947-1948 l’agenzia ebraica trasformò la Hagana da forza clandestina in nucleo di un esercito, creando sei brigate a copertura delle aree cruciali: la Golani nella Galilea orientale, la Carmeli nella Galilea occidentale, la Givati e la Alexandroni nella pianura costiera, la Etzioni intorno a Gerusalemme e la Kyriati intorno a Tel Aviv. esse arrivarono contare circa 15.000 uomini, ben organizzati, ma a causa della continua ostilità britannica, non particolarmente bene armati. C’erano, accanto a questi, varie miglia di membri del Irgun e del Lehi che avevano piani indipendenti” .

Riguardo le forze palestinesi. Oltre quanto scritto sopra, rimando ancora a Benny Morris (Vittime, pag 248-249) nelle prime settimane del conflitto, in particolare nel dicembre 1947 – gennaio 1948, entrarono in azione un certo numero di grandi bande arabe – le due principali furono quelle di Abd al Qadir al Husayni che agì sulle colline intorno a Ramallah e Gerusalemme, e quella di Hasan Salamè, nella rea di Lydda. Ogni banda possedeva un nucleo stabile di 300-500 combattenti e si spostava nelle campagne accampandosi nei pressi di questo o quel villaggio. A volte il villaggio prescelto si rifiutava di ospitarla, temendo la vendetta degli ebrei. Le bande disponevano di armi leggere, compresa qualche mitragliatrice e qualche mortaio da due o tre pollici. L’importanza strategica delle bande era considerata scarsa sia dalla Haganah sia da Qawuqji che a quanto pare le giudicava brutali ed inaffidabili e refrattari alla disciplina, quindi pressoché inutili in un conflitto convenzionale”.

Il più grande e meglio organizzato esercito arabo della Palestina prima della invasione del maggio 1948 fu l’ELA di Qawuqji, composto soprattutto di volontari della lega araba affluiti in Siria. Al suo apogeo consisteva di 5.000-6.000 uomini, ai quali si aggiungevano centinaia di volontari locali in ciascun teatro di operazioni. L’ELA era dotata di vari tipi di armi leggere, alcuni mortai di medio calibro e qualche cannone da 75 e 105, ma scarseggiava di munizioni. Lasciata la Palestina nel maggio 1948, si riorganizzò in Siria e tornò in campo con un arsenale leggermente migliorato. Nell’ottobre 1948 consisteva sulla carta in otto battaglioni; in realtà non poté mai schierare più di tre/quattro battaglioni standard e ogni battaglione operava per conto proprio. I reparti entrarono alla spicciolata in Palestina nel gennaio 1948 attraverso i confini con Siria e Giordania per concentrarsi in Samaria e Galilea. Furono ripetutamente battuti dall’Haganah e definitivamente cacciati dalla Palestina dall’IDF alla fine di ottobre.

Nell’insieme il dispositivo militare palestinese consisteva sopratutto nelle milizie autonome di circa 800 tra città e villaggi dei quali solo 450 parteciparono al conflitto. Gli altri, quasi tutti nel territorio poi chiamato Cisgiordania (la west bank o sponda occidentale degli anglosassoni) contribuirono allo sforzo bellico in misura trascurabile. Ogni città e villaggio aveva un proprio presidio composto da 10-100 uomini armati di pistole e fucili con una piccola scorta di munizioni. Le milizie locali non dipendevano da nessuna struttura nazionale, al massimo si coordinavano a livello regionale in occasione di un attacco ad un obiettivo nemico”.

Ho cercato di inserire il maggior numero di fonti possibili per un lavoro su Facebook.

Appare comunque chiaro che solo con il lavoro svolto dai nuovi storici le verità ed i fatti hanno preso consistenza svilendo dei miti che si erano ormai radicati nella nostra coscienza. Da una parte, un gruppo in armi, organizzato, addestrato e con una dirigenza, le cui idee politiche saranno, se interessano, esaminate a parte e che comunque parte all’idea che nel territorio del futuro stato ebraico NON ci debbano essere arabi e, qualora vi fossero, non devono mai costituire una minaccia per lo stato. Dall’altro, un gruppo che si aspettava di vedere le sue legittime aspirazioni riconosciute da un contesto internazionale, che pensa e ritiene di aver ragione e che quindi non si organizza militarmente né politicamente, anche perché la grande rivolta araba durata tre anni, aveva comportato da parte britannica una fortissima repressione con l’annichilamento, mediante morte o distruzione, della leadership e della intellighenzia palestinese.

Non esisteva esito diverso, al di là dei miti.

Che poi quell’esito si sia trasformato in una carneficina e in una pulizia etnica attraverso una serie di operazioni portate avanti con il piano Dalet, questo è un altro argomento.

Quello che mi preme ora evidenziare è come determinati miti siano ancora presenti nell’immaginario collettivo non solo ebraico ma generalmente occidentale, e duri da rivedere; mancanza di quella cultura della conoscenza che dovrebbe spingersi non a prestare fede a quanto ci dicono altri, ma a verificare, studiare, impegnarsi.

Continuerò poi a distruggere l’altro mito dei pericolosissimi eserciti arabi che cercano di distruggere il povero esercito di Israele sempre nel 1948.

22 luglio 2014 – 1548 – GuMo

Una verità che viene ammantata sotto una falsa notizia:”Israele non fermerà l’assalto a Gaza fino a quando non completerà la distruzione dei tunnel usati dai militanti di Hamas per gli attacchi oltre confine, ha detto il ministro della Giustizia israeliano Tzipi Livni, giudicando “inaccettabili” le condizioni poste da Hamas per il cessate il fuoco“.

Orbene, chiunque sia stato a Sarajevo ricorda il tunnel e in tanti lo hanno visitato. Attraverso quel tunnel scorreva la linfa per la sopravvivenza della città assediata. Certo, anche le armi portate dagli aerei statunitensi, come gran parte dei Sarajevesi sapeva e vedeva anche se atterravano di notte.

Attraverso quei tunnel a Gaza passa anche il materiale che consente alla città di sopravvivere ad un assedio che dura da anni, da quando i coloni sono andati via su disposizione di Sharon che, nel calcolo costi/benefici, aveva compreso che non valeva la pena difendere quei pochi coloni quanto strozzare Gaza sino alla morte. E attraverso quei tunnel passano sì le armi, ma anche viveri, medicinali contrabbando, sì, esattamente come a Sarajevo,anche contrabbando.

Ecco perchè quei tunnel devono essere demoliti; perchè l’assedio possa stringersi ancora di più. E’ dal 1956 ( ed anche prima) che i governi di destra israeliani cercano di prendere Gaza; Scheinerman (Sharon) a Gaza ha condotto fra le sue incursioni più terrificanti. Nel 1956, quando Israele scatenò una guerra di aggressione occupando il Sinai e Gaza, fu costretta a ritirarsi perchè si incavolò di brutto Eisenhower, dimostrazione che se gli USA vogliono, il tutto termina in 48 ore. Ma quello che si vuole è una Gaza libera dai Gazawi. Dove vanno? E chi se ne importa, il mondo è grande…

22 luglio 2014 – 1643 – GuMo

Ghetto di Varsavia, rivolta.

Se ben ricordo, era un gruppo di terroristi i che si rivoltavano contro una occupazione militare; infatti la Polonia era sotto occupazione militare tedesca; se ben ricordo tale Mordechai Anielewicz cominciò sparando sul soldato tedesco che aveva più vicino. Ah, non erano terroristi ma patrioti che, giustamente a parere mio, difendevano la loro libertà in questo caso di essere ebrei?

Posso anche essere d’accordo, e lo sono; ma la foto sotto, in quanto a reazione che causò mi pare 7.000 morti da parte delle forze di occupazione militare, ricorda molto qualcosa che ho visto recentemente; fammi pensare, ah, sì, a Gaza!

22 luglio 2014 – 1741 – GuMo

E’un articolo, quello pubblicato dal signore palestinese, di estrema intensità ed interesse, che svelle alcune idee che ci siamo fatti sulla base di notizie di stampa spesso poco approfondite e basate sopratutto sul sensazionalismo più che sull’analisi o sul fornire informazioni e notizie. Combacia con quel po’ che so della Palestina, con le impressioni che ho riportato sia parlando con le persone locali, sia con chi la Palestina la conosce molto, ma molto meglio di me.

In Palestina non c’è solo Hamas, ci sono partiti diversi come in Israele e come in qualsiasi altra parte del mondo. In Palestina ci sono anche forze laiche e anticapitaliste, sicuramente quelle a cui noi ci sentiamo più vicini. Abbiamo chiesto ad Ares, un compagno palestinese, un contributo per la pagina che pubblichiamo con grande piacere.

«Il più grande colpevole di quello che sta succedendo a Gaza è semplicemente il capitalismo. E tutti i suoi figli, sionismo, colonialismo, nazionalismo, li trovi sempre lì a distribuire disuguaglianza, morte, distruzione e profitti per pochi.

Perché non sono gli ebrei che bombardano Gaza, ma idioti che si nascondono dietro un’idea di nazionalismo religioso, che si chiama sionismo ed è nato 100 anni fa da uomini d’affari che cercavano una terra dove fare uno Stato. Ma gli ebrei già vivevano in Palestina, convivevano con cristiani e musulmani. Ebrei, musulmani e cristiani hanno sempre convissuto in tutto in tutto il mondo arabo, dal Marocco allo Yemen.

Ed è sempre la logica del profitto e del nazionalismo che ha portato a credere alla possibilità di due Stati, quella logica che sta alla base degli accordi di pace di Oslo 1994, che di pace non hanno proprio niente.

Con gli accordi di Oslo non ha vinto la pace, ma ha vinto il capitalismo. Gli accordi hanno diviso quello che non c’era più da dividere in Palestina. Così adesso esistono tre zone: A, B, C. La prima sotto controllo dell’OLP (in realtà, nell’ultimo mese, l’IDF ha scorrazzato ovunque volesse in tutti i villaggi palestinesi), una zona B sotto controllo congiunto e la zona C completamente israeliana. Qui Israele continua a costruire le sue colonie in casa d’altri. Questi accordi garantiscono anche che il controllo dell’ingresso in Palestina sia fatto da soldati con la stella di David, la moneta è lo sheqel di Tel Aviv, la corrente elettrica la devi comprare da Tel Aviv, gli stessi fondi dell’OLP possono essere manovrati da Israele.

Questa macchina ha creato il colonialismo dei Territori, a vantaggio dei dirigenti dell’OLP che, come avviene in ogni regime coloniale e anche nella povera e arretrata Palestina, sono diventati classe medio-borghese. Quella dei privilegiati, che se ne sta a Ramallah lontano dai conflitti. Quella che per tutelare i suoi privilegi ha svenduto tutto e non vede, o forse non vuole vedere, cosa succede a pochi chilometri. Così ci si è trovati ad avere uno Stato di Palestina dove il governo non combatte il suo peggior nemico, il sionismo, ma l’appoggia; dove non arriva la repressione dell’IDF arrivano i soldatini di Abbas, la resistenza è stata quasi completamente smantellata, tutti sacrifici in cambio di nulla. Perché mentre si reprime in Cisgiordania, il sionismo continua a costruire, a rubare terre, umiliare, uccidere e arrestare.

La divisone palestinese è dovuta a ragioni politiche che si intrecciano con quelle economiche. In una struttura sociale dove la disoccupazione è alta e il più grande datore di lavoro è lo stesso Stato con ministeri, scuole, burocrazia… se sei di un partito lavori e mangi, se non lo sei non mangi (vedi l’adesione allo sciopero generale, quando vinse Hamas nel 2006: la Palestina si bloccò perché Israele non pagava gli stipendi e tutti i funzionari pubblici sono di Fatah).

Quello che sta succedendo a Gaza è il risultato di non voler chinar la testa, i gazawi sono per la maggior parte profughi, di ogni guerra che ha devastato la Palestina. Qua non ci sono zone A, B e C, è tutto un grande ghetto: 36 km quadrati, quanto un comune di 200000 abitanti in Italia, solo che ci vivono quasi 2 milioni di persone. A Gaza non si sta punendo Hamas perché lancia i razzi: parlare di Hamas, vuol dire che ci si è fatti lobotomizzare una parte del cervello dai giornali. Hamas non è solo un partito, è anche una parte della società palestinese.

Punire Hamas a Gaza è una bugia, perché tutte le fazioni politiche hanno il loro braccio armato e tutte combattono per la resistenza, che sia Hamas, Jihad Islamica, Al Fath, il Fronte Popolare, tutti combattono, tutti lanciano i razzi, tutti resistono. Questa non è guerra: è resistenza. L’autodeterminazione di un popolo che non vuole essere schiavo di un altro, se ci sta simpatico il 25 aprile in Italia, dovremmo sostenere anche questa lotta.

I motivi veri di questa nuova macelleria, possono essere tantissimi: dallo sfruttamento delle risorse idriche e minerarie del territorio, alla pulizia etnica per ridurre in maniera drastica un popolazione che cresce al ritmo del 4% annuo, una rioccupazione del territorio che Israele ha lasciato nel 2005.

Quello che accade oggi a Gaza non è diverso da piombo fuso, solo che ci sono più internazionali a testimoniare che cadono le bombe, mentre con piombo fuso c’era solo Vik, Vittorio Arrigoni, a raccontarci con gli occhi pieni di lacrime quello che succedeva.

Il vero problema della Palestina è che a nessuno importa dei palestinesi, noi comunque restiamo umani, alzando le dita in segno di vittoria perché resistiamo, che sia in Palestina, in Libano, in Giordania, in qualsiasi parte del mondo dove sono esuli, sappiamo qual è la parte della barricata dove dobbiamo stare».

Per questa volta, ci fermiamo qui. L’augurio che rivolgiamo a noi stessi ed alla terra martoriata è che non vi sia più bisogno di raccontare di altro sangue versato

Enrico La Rosa