Davide contro Golia: la guerra di Israele contro i paesi arabi nel 1948. Mito o realtà?

= Parte IIa – Situazione alla vigilia del conflitto – Forze e aspettative =

Gli obiettivi politici degli arabi

Mentre da parte ebraica l’unico obiettivo era quello della costituzione di uno stato di Israele sulla maggior parte possibile di territorio della Palestina, gli obiettivi dei vari stati arabi erano completamente diversi.

Bregman ed el-Tahri ci raccontano come l’obiettivo della sparuta dirigenza palestinese non fosse quello di un’invasione degli eserciti arabi: ”Haj Amin Husseini, the Head of the arab High committee and the main Palestinian spokesman in exile, was fiercely opposed to the intervention od Arab regular armies. He favored intensifying attacks by local fighters. He did not hide his anxiety that if the Arab armies entered Palestine, king Abdullah of Jordan would occupy Jerusalem and claim it as part of his Kingdom”.[1]

Anche da parte di numerosi politici egiziani l’entrata in guerra era considerata negativamente. “The Egyptian prime mister, Mahmoud Fahmi El-Nokrashi Pasha, also opposed intervention. During a Parliamentary session held in Cairo on 25 April 1948, he argued that Egypt’s primary objective was to persuade Britain to leave the Suez canal zone rather than to enter a costly war with the Zionist. After extensive debate – during which no preparations were undertaken – and barely a fortnight before 15 may – Egypt decided to abide by the Arab League members’ decision to go to war. Azzam Pasha,[2] now the main advocate for a concerted Arab attack, did not hide his unease about the lack of preparation. The Arab rulers, he was convinced, had totally underestimated the strength of the Jewish fighters”. In realtà l’Egitto entrò in guerra essenzialmente per motivi legati alla necessità del re Farouk di recitare un ruolo di primo attore nel mondo arabo. Come scrive Alan Hart, fu il  primo ministro Libanese Riad Sohl che, attraverso i buoni uffici del di Antonio Pulli, il ministro di Farouk per gli affari personali – ossia il procacciatore di donne per il suo harem – ebbe un incontro privato in cui riuscì a convincere il re che la lotta contro gli ebrei sarebbe stata una passeggiata e che, se l’Egitto non avesse partecipato, tutta la gloria sarebbe ricaduta sul re Abdullah di Transgiordania.[3] Per comprendere questa situazione basta rifarsi a quanto scrivono Shlaim e Rogan: “Tuttavia la lega araba era divisa fra un blocco Hashemita, composto da Transgiordania ed Iraq, ed un blocco anti Hashemita guidato da Egitto ed Arabia Saudita. Le rivalità dinastiche giocarono un ruolo fondamentale nel definire l’approccio arabo alla Palestina. Re Abdullah di Transgiordania era guidato dalla vecchia ambiziose di diventare il dominatore della grande Siria, composta oltre che dalla Transgiordania, Siria, Libano e Palestina. Re Farouk considerava l’ambizione di Abdullah una minaccia diretta alla supremazia dell’Egitto nel mondo arabo. I governanti di Siria e Libano vedevano in Abdullah una minaccia all’indipendenza dei loro paesi e sospettavano anche che fosse in combutta con il nemico”.[4]

Appare chiaro, quindi, il gioco delle varie nazioni arabe, pochissimo interessate alla questione palestinese, se non nella forma, tanto che furono negati gli aiuti a quel che rimaneva della dirigenza palestinese.[5]

L’intenzione della Transgiordania di annettersi il territorio riservato dalla spartizione delle U.N. all’entità palestinese avrebbe comportato un allargamento del regno Hashemita e sicuramente una posizione di preminenza all’interno del mondo arabo, foriero di una possibile unione per la ricostruzione di un grande regno arabo, il sogno promesso da Mac Mahon nel suo carteggio con Husayn nella prima guerra mondiale, e per cui si originò la rivolta araba contro gli ottomani, sogno poi rimasto tale. Sogno che, ovviamente, collideva con gli interessi egiziani e sauditi e che non teneva in alcun conto le aspirazioni palestinesi. Sogno che da parte israeliana era ben conosciuto, che portò ad una generale intesa sugli obiettivi ebraici ed Hashemiti nell’intera area.[6]

Verso il conflitto – Aspirazioni delle parti e consistenza delle forze

Il mito del Davide contro Golia, della nascente democrazia israeliana che lotta sola contro l’intero mondo arabo, è stato trascritto in tanti libri di storia e tramandato da un mito collettivo, tanto da diventare parte della nostra conoscenza collettiva; ma è tutto vero?

Secondo quanto testimoniato dal comandante della Legione Araba Giordana, John Bagot Glubb, detto Glubb Pasha, la Legione Araba varcò il ponte di Allenby il 15 maggio 1948, quando già dal 14, all’evacuazione delle ultime truppe britanniche e del High Commissioner dalla città, era seguita, dopo neanche mezz’ora, la presa di possesso delle caserme e delle piazzeforti britanniche da parte dell’Haganah, che, avanzando su tre colonne, aveva occupato la stazione ferroviaria, la colonia tedesca e le caserme Allenby, stabilendo il contatto a nord con la guarnigione ebraica che controllava l’ospedale Hadassa e l’Università Ebraica sul monte Scopus, con solo gli irregolari arabi che si erano ritirati nella città vecchia chiudendone la porte nonostante gli inviti degli ufficiali ebraici di abbandonare la città e di scappare attraverso la strada di Jericho. Evidentemente Deyr Yassin aveva insegnato qualcosa.[7] Ma quello che è importante rammentare è che nel piano di ripartizione Gerusalemme non era stata assegnata ad alcuna delle due parti; per cui, se sono da biasimare gli eserciti arabi per aver iniziato le operazioni militari contro Israele in violazione dell’accordo, non si comprende perché non si sia biasimato il nascente stato per il suo tentativo di occupare militarmente una zona internazionale.

Una particolare trattazione merita[8] il ruolo della Transgiordania all’interno della coalizione araba e di come la dinastia Hashemita perseguisse interessi propri legati sia all’espansione del territorio che alla sopravvivenza della monarchia stessa, cose che una possibile futura entità palestinese avrebbe posto a rischio. In tale quadro vanno letti gli incontri – citati anche in questo testo – fra Golda Meir ed Abdullah a Naharayim il 17 novembre 1947 e di cui parla diffusamente Alan Hart.[9] [10]

Nel suo libro[11] vengono analizzati sia i rapporti di forze fra gli eserciti rivali, sia il ruolo giocato dalla Transgiordania all’interno della coalizione araba; e per meglio chiarire tale concetto, Hart riporta un colloquio avuto con la stessa Meir sull’argomento: ”Through his personal surgeon in Jerusalem, Dr Mohammed el Saty, she (NdA, Meir) could communicate directly with the Hashemite monarch. When Arab newspapers reported that Transjordan was about to follow Egypt and commit to war against the Jews, Golda sent Abdullah a short message . “Is this indeed so?” she asked.[12] (Many years later Golda’s recall of the prompt reply from Amman included this <<King Abdullah was astonished and hurt by my question. He asked me to remember three things: that he was a Bedouin and therefore a man of honor, that he was a king and therefore a doubly honorable man; and finally that he would never break his word to a woman. So there could not possibly be any justification for my concern”>>. Ma è soprattutto importante riportare una frase del libro di Hart, a pagina 47 del quale scrive: “and you did not have to be a genius of any kind to work out that the frontline Arab rulers, in constant fear of being toppled from within, would not even dream of committing to war in Palestine more that a portion of their regular forces. Fighting the Jews might be quite important, but protecting their own backs at home was much more important”.

E il solo impegno da parte di Abdallah, secondo quanto riporta Hart, fu con la temuta Legione Araba per salvare Gerusalemme dall’attacco delle forze ebraiche che cercavano di occuparla militarmente; in questo caso per un rendiconto personale visto che vi era stata una dichiarazione da parte del segretario della Lega Araba, Azzam, di dichiararlo re di Gerusalemme qualora avesse utilizzato la Legione nella difesa di Gerusalemme stessa.

Chi desiderasse approfondire l’argomento afferente alle reali intenzioni di Abdullah e al suo mancato coinvolgimento reale all’interno della coalizione, visto l’accordo preso con la dirigenza sionista, può utilizzare i documenti e quanto scritto da Ilan Pappè nel suo Arab-Israeli conflict 1947-1951, in particolare nel 4° capitolo, The Arab World Goes to War or Does It ? The General Arab Preparation.

Qualora servissero ulteriori punti di vista nel confermare tale situazione, si possono trovare in quanto scrive Charles D. Smith [13]: “Plans for a coordinated Arab attack had been made in april under Arab League auspices.[14] The fighting forces included units from Iraq, Syria, Lebanon, Egypt and Jordan with a token from Saudi Arabia. Nevertheless, the Israelis held a manpower advantage over the Arab armies backed by superior military training and commitment; the only comparable units were those of Jordan’s Arab Legion. In addition there was no coordination of Arab military movements because the participants were mutually suspicious of one another’s territorial ambitions. All richly suspected Jordan’s Abdullah of seeking to acquire control of the area allotted to the Palestinians Arabs under the partition plan in order to incorporate it into his kingdom, thereby enlarging his country and defeating the mufti in process. The Israelis were well aware of Abdullah aspirations. Zionist representatives had been in contact with him in 1947 and again in 1948 when he expressed his acceptance of partition. Abdullah felt constrained to attack Israeli forces after independence because they were taking over areas within the Arab partition zone, but his Arab Legion, the best of the Arab forces, did not undertake sustained offensives, preferring to establish defensive perimeters around the areas Jordan coveted. Israeli and Jordanian aims generally coincided with the exception of Jerusalem, where Jordan was able to retain control of the old, eastern sector, leaving the Israeli the newer, western sector.”

Scrive Hart,[15] parlando della riunione tenuta dai vertici israeliani prima della dichiarazione di indipendenza per valutare la situazione prima dell attacco da parte della coalizione araba: “Slowly and dramatically Ben Gurion read out the contents of the files, pausing to let each figure make an impression on his audience. From file one: 25.000 rifles; 5,000 machine guns; 58m millions rounds of ammunition; 175 howitzer; and 30 airplanes with options on more. From File two: 10 tanks; 35 anti aircraft guns; 12 120 millimeter mortars; 50  65 millimeter cannons; 5.000 rifles, 200 heavy machine guns, 97.000 artillery and mortar shells of assorted calibres; and 9 million rounds of small arms ammunition” puntualizzando poi[16] l’equipaggiamento di cui nel corso del conflitto disponeva la forza aerea israeliana: 20 Messerschmitt, 5 P-51 Mustang, 4 Beaufighters, 7 Sansons,[17] 3 B17 Fortezze Volanti, 3 Constellation, 15 C46, 2 DC4 e 10 DC3

Ma probabilmente la parte più importante è laddove scrive:

“After both reports had been presented there was a final military briefing by Yigael Yadin, the Haganah’s chief of operations and Ysrael Galili, its de facto commander in Chief. The assessment of both men was that the Jewish State would have a “50-50” chance of surviving a concerted Arab tack. As Yadin put it” we are as likely to win as we are to be defeated”.[18] In fact the 50-50 assessment was much too pessimistic. It was made on the worst case scenario including the wrong assumption that Abdullah was going to break his promise and join a concerted Arab attack on the Jewish State of the partition plan. If the reality of Abdullah’s position had been factored in, the assessment of Israel’s ability to survive would have been much better than 50-50: perhaps 70-30 or even 80-20”.

Se vogliamo ignorare il lavoro di Hart, relegandolo al semplice ruolo di attività giornalistica, sebbene le sue fonti e i suoi riferimenti siano sempre stati puntuali e precisi, ritorniamo nel campo degli storici, con quanto scrive Avi Shlaim[19]: “The conventional Zionist version portrays the 1948 war as a simple, bipolar no-holds barred struggle between a monolithic Arab adversary and a tiny Israel. According to this version, seven Arab armies invaded Palestine upon expiration of the British mandate with a single aim in mind: to strangle the Jewish state as soon as he come into the world. The subsequent struggle was and unequal one between a Jewish David and an Arab Goliath. The infant Jewish state fought a desperate, heroic, and ultimately successful battle for survival against overwhelming odds. During the war hundreds of thousands of Palestinians fled to the neighboring states, mainly in response from their leaders and in the expectations of a triumphal return. After the war, the story continues, Israel’s leaders sought peace with all their heart and all their might, but there was no one to talk with on the Arab side. Arab Intransigence was alone responsible for the political deadlock that persisted for three decades after the gun fell silent.

This popular, heroic, moralistic version of the 1948 war has been used extensively in Israeli propaganda and is still taught in Israeli schools. It is a prime example of the use of nationalist versions of history in the process of nation building. In a very real sense history is the propaganda of the victors, and the history of the 1948 war is no exception… omissis… following the release of the official documents, however, this version was subjected to critical scrutiny. The two main claims about the official phase of the 1948 war concern the Arab – Israeli military balance and Arab war aims.

As far as the military balance is concerned, it was always assumed that the Arabs enjoyed overwhelming numerical superiority. The war was persistently portrayed as a war of the few against the many. The desperate plight and the heroism of the Jewish fighters are not in question. Nor is the fact that they had inferior military hardware at their disposal, at least until the first truce, when illicit arms supplies from Czechoslovakia decisively tipped the scales in their favor. But in mid 1948 the total number of Arab troops, both regular and irregular, operating on the Palestine theater was under 25.000, whereas the IDF folded over 35.000 troops. By mid-July the IDF mobilized 65.000 men under arms, and by December sits numbers had reach a peak of 96.441. The Arab states also reinforced their armies, but they could not match this rate of increase. Thus, at each stage of the war, the IDF significantly outnumbered all the Arab forces arrayed against it and by the final stage of the war its superiority ratio was nearly two to one. The final outcome of the war was therefore not a miracle but a reflection of the underlying Arab Israeli military balance. In this war, as in most wars, the stronger side ultimately prevailed.[20]

As far as Arab war aims are concerned, the older generation of Israeli historians have maintained that all the forces sent to Palestine were united in their determination to destroy the newborn Jewish state and to cast the Jews into the sea. In this they simply expressed the prevalent perception on the Jewish side at the time. It is true that the military experts of the Arab league had worked out a unified plan for the invasion, but king Abdullah, who was given nominal command over all the Arab forces in Palestine, wrecked this plan by making last minute changes. His objective in sending his army into Palestine was not to prevent the establishment of a Jewish state, but to make himself the master of the Arab part of Palestine. There was no love between Abdullah and the other Arabs rulers, who resented his expansionist ambitious and suspected him of being in cahoots with the enemy. Each of the other Arab states was also moved by dynastic or national interest, which were hidden behind the fig leaf of securing Palestine for the Palestinians … omissis … Ben Gurion had a grand strategy which he presented at the general staff on 24 may, ten days after the declaration of independence and which stewed a number of key points. first he had a clear order of priorities: Jerusalem, Galilee in the north and the Negev in the south. Second, he preferred an offensive to a defensive strategy. Third, his method of dealing with the hostile Arab coalition, and one that become a central tenet in Israel’s security doctrine was to pick off the Arabs one by one; to attack on one front at a time while holding on in the other fronts. Fourth, he wanted  to force a showdown with Jordan’s Arab Legion, in the belief that if the mighty legion cold be defeated, all the other Arab armies would rapidly collapse”.

 

Se necessitasse ancora un supporto a tale tesi, ricordiamo quanto scritto da Shlomo Ben Ami[21]: “Perfino Ben Gurion, durante un incontro del gabinetto israeliano verso la fine della guerra (19 dicembre 1948) ammise che non era vero che si trattava di una guerra dei pochi contro i molti. E in altra occasione ribadì: <<sebbene possa suonare incredibile, all’epoca possedevamo un esercito ben più grande dei loro>>.[22]

Appare ovvio, da tutto quanto detto e ormai disponibile grazie ad una attenta opera di ricerca dei nuovi storici, in particolare Morris, Pappe e Shlaim, che vi era una situazione del tutto favorevole al nuovo stato; dal puro e semplice rapporto di forze in campo, tra personale, armamenti e logistica, al comando e controllo. Né può essere ignorato il livello di addestramento del personale.

Tra le fila delle forze ebraiche vi erano i combattenti che avevano militato nella “Brigata Ebraica” dal 1944 e prima ancora nel Palestine Regiment formatosi nel 1941 e nelle compagnie ebraiche dell’East Kent Regiment e dei gruppi del Palmach (Plugot Ha Mahatz), quando si radunarono tutte le forze possibili per contrastare un possibile sfondamento tedesco-italiano in Egitto, per un totale di circa 5000 unità.[23] Da sottolineare che alcuni reparti ebrei vengono impiegati in missioni speciali in Iraq, in Siria ed in Libano, ed in una di queste missioni muore il capo dell Irgun, David Raziel e che una compagnia del King’s West African Rifles composta da quattrocento ebrei palestinesi viene impegnata in Libia a Bir Hakeim, scontrandosi anche con le forze italiane della Ariete.[24]

La Brigata Ebraica[25] aveva combattuto al seguito della 8a Armata Britannica in Italia[26] e qui era rimasta sino allo scioglimento avvenuto nel 1946. I suoi membri, ripartiti in unità di fanteria, artiglieria e servizi logistici, erano quindi in grado di conoscere non solo le tecniche di combattimento individuale, ma anche quello organizzato e di manovra, avendo partecipato ai combattimenti che portarono allo sfondamento del Senio[27] e che condussero le forze britanniche poi sino a Trieste.[28]

La forza di difesa dell’Haganah, che più tardi si trasformerà, come detto, nelle forze armate israeliane, aveva già visto le sue origini nel 1920 su ispirazione di Vladimir Ze’ev Jabotinsly e di Elihau Golomb[29] e raccoglieva dei gruppi già costituiti fra il 1909 ed il 1920, raccolte nell’Hashomer (la guardia), il cui motto era “ bedam va’esh Yehudah Naflah- bedam va’es Yehudah takun (nel sangue e nel fuoco la giudea è caduta, nel sangue e nel fuoco la giudea risorgerà). Già alla sua nascita, l’Haganah aveva incorporato i militari ebrei impegnati nel 1915 nell’esercito britannico; né va sottaciuto l’addestramento fornito dall’ufficiale britannico Orde Wingate, giunto in Palestina nel 1936 che, cristiano, ma animato dall’idea che il sionismo fosse uno strumento di un piano divino, organizzò numerose aggregazioni ebraiche in gruppi chiamati SSN (squadre speciali notturne), che operarono contro delle bande arabe, attaccando i villaggi sospettati di dare loro rifugio. Nel 1939, considerati i suoi troppo stretti legami con gli ebrei, fu trasferito ad altra sede dai suoi superiori. L’importanza della sua azione è stata descritta da Ben Gurion con le seguenti parole “i migliori ufficiali dell’Haganah furono addestrati nelle squadre speciali notturne e le teorie di Wingate furono rilevate e fatte proprie dalle forze di difesa israeliane”.[30]

Al contrario della parte ebraica che, nonostante indecisioni e tentennamenti, ed anche opposizioni, aveva scelto di stare al fianco della componente britannica durante la 2^ guerra mondiale, quella araba aveva parteggiato per la componente tedesco-italiana, né poteva essere altrimenti.

Di fatto, gli Inglesi si ponevano come potenza occupante del Medio Oriente, vuoi a mezzo di governi controllati, che di creazioni politiche artificiali quali i mandati; il possesso di tali aree era strategicamente importantissimo in quanto assicurava il controllo del Canale di Suez, da cui transitava la linea vitale dei rifornimenti da e per l’India, e delle riserve petrolifere Medio Orientali, in particolare quelle persiane.

Ovviamente, le numerose dichiarazioni di intenti da parte tedesca e italiana di vicinanza con i popoli dell’Islam e, soprattutto, la promessa della concessione della libertà ed indipendenza per tali nazioni – la cui costruzione artificiale e foriera di innumerevoli conseguenze negative è stata decisa a seguito degli accordi fra le potenze vincitrici della prima guerra mondiale, in particolare Francia e Gran Bretagna, per consentire la prosecuzione del loro impegno colonialista e di perseguimento dei propri interessi – aveva ingenerato sentimenti di profonda sfiducia da parte della potenza occupante britannica nei confronti della popolazione araba.

Era chiaro alle due potenze coloniali che la creazione di una nazione araba, che avrebbe cementato tale unione attraverso esperienze comuni quali il discorso religioso o l’appartenenza ad una cultura comune, avrebbe potuto portare al sorgere di una potenza regionale sostitutiva di quella ottomana, con conseguente rischio per i traffici e le vie di comunicazione con l’oriente, oltre che creare le premesse per uno sfruttamento della nuova risorsa energetica del petrolio, di cui gli inglesi si erano già resi conto. L’intero progetto coloniale sarebbe stato posto a rischio. E quanto contassero tali idee emerge da una completa lettura degli accordi di Sevres, in occasione dei quali si osserva il sorgere di piccole strutture nominalmente autonome, ma in realtà sotto stretto controllo coloniale, quali la Siria e la Mesopotamia, addirittura privi di confini che dovranno essere delineati dalle potenze suddette, e l’ossessione per il passaggio dei traffici mercantili, che pone condizioni al re dell’Hejaz, quel Feysal che pure era stato alleato delle potenze vincitrici.

Al di là della Legione Araba della Transgiordania, che, sotto guida e comando britannico, partecipò alle operazioni militari Britanniche contro il governo Iracheno di Rashid Ali, favorevole alla Germania,[31] non furono presenti forze di paesi mediorientali nella seconda guerra mondiale in particolare di quelle che invasero la Palestina.

–         Egitto: “La seconda guerra mondiale appare all’opinione pubblica egiziana come un contrasto che vede da una parte gli alleati, padroni delle colonie e dominatori di altri paesi, tra i quali l’Egitto, e dall’altra le nuove potenze che disputano loro la supremazia. I seguaci dell’asse in Egitto sfruttano a fondo la crisi alimentare e l’irritazione sempre più viva provata dall’uomo della strada contro lo stato d’assedio e la trasformazione del paese in base militare per il Middle East Command. Nel gennaio-febbraio 1942 ha luogo l’avanzata del maresciallo Rommel fino ad el Alamein, a 80 chilometri ad ovest di Alessandria. E’ vista da tutti come il preludio ad una liberazione dell’Egitto da parte delle truppe italo-tedesche. Le manifestazioni contro la mancanza di viveri degenerano in una esplosione anti-britannica al grido di ILAL AMAM JA ROMMEL (avanti Rommel) e di HIZA FARUK FAUKA RASAK JA GEORGE (la scarpa di Faruk[32] sulla tua testa, George). II mattino del 4 febbraio 1942 i tank britannici circondano il palazzo di Abdin e impongono a Faruk un ministero presieduto da Mustafa el Nahas che accetta di tornate al potere “sulla punta delle baionette inglesi” come in seguito si dirà”.[33] Dalle parole di Abdel Malek appare chiaro quale fosse il sostegno e l’apprezzamento della popolazione egiziana verso l’occupante inglese ed infatti il re Faruk riuscì ad evitare al suo paese l’entrata in guerra a fianco dei britannici, almeno sino agli ultimi giorni; qualsiasi altra decisione avrebbe infatti potuto costargli il trono,[34] cosa che difatti accadde nel 1952 ed i cui prodromi vanno cercati proprio nella sconfitta subita nel 1948[35]. La preparazione delle forze armate egiziane si rivela dalle parole di Zakaria Mohiedin, uno dei futuri vice – presidenti egiziani che studiava all’epoca in una accademia militare:” Orders came that we had to stop studying so that could be distributed to units entering Palestine. there was not enough preparation-mentally or militarily. They said that we had to be ready within twenty four hours. We could not object because, in the army, no one objects to supreme orders. But we were not thinking about the problems of Palestine. What we had in mind was how to get rid of the British colonization in Egypt”.[36] E lo stato delle forze egiziane, le più consistenti in questa raffazzonata alleanza, sono così descritte da Bregman ed El-Tahri: “The 15.000 men sent from Egypt were the largest Arab league force. But they had no battle experience and no more than Three days logistic supplies. They thought they could count on the backing of the other four invading Arab armies- the Iraqi, Syrian, Lebanese and Jordanian forces. And, anyway, how could the Jewish fighters stand up to the troops of five regular armies? Within a month, the Egyptian attack was practically halted by the Jewish troops, and the Jews found they had little to fear from the Iraqi, Syrian and Lebanese troops who were very few and badly equipped”.[37]

–         Libano: Nel 1943 al Libano era stata concessa l’indipendenza dopo che il governo francese di Vichy, che controllava l’area, era stato esautorato dalle forze britanniche e della Francia libera nel 1941; [38] nella realtà, le truppe francesi rimasero sino al 1947 pervenendo ad un confronto quasi fisico con quelle britanniche, non volendo la nuova Francia rinunziare a determinate prerogative coloniali. [39]

–         Iraq: Jon Kimche [40] ci descrive quali siano stati i forti sentimenti anti britannici che condussero ad uno cambio di governo nell’Iraq del 1941 e che portarono ad un bombardamento della RAF[41] nei confronti dell’esercito iracheno e ad un successivo intervento di truppe britanniche per ristabilire un governo favorevole alla Gran Bretagna.

Appare chiaro, dal quadro appena dato, come nessuna forza araba, o quasi, ad eccezione della Legione Araba sotto pieno controllo britannico, abbia partecipato ai combattimenti, perdendo così la capacità di acquisire conoscenze militari e di organizzazione logistica, oltre a verificare il vero e proprio combattimento; da parte britannica, sopratutto, e poi francese, non vi era interesse ad addestrare e formare militarmente eserciti che erano dichiaratamente a favore della completa esclusione del controllo coloniale e che avevano manifestato simpatie per le potenze dell’asse, non in quanto ne condividessero gli obiettivi, ma perché erano nemiche del proprio nemico.

Ma anche questa ultima supposizione si rivelò errata, come dimostra proprio la situazione irachena, dove l’aiuto proposto dai tedeschi ai militari che nel 1941 avevano dato vita ad un cambio di governo in funzione anti britannica, non si realizzò mai in pratica.[42]

L’accondiscendenza verso il governo coloniale britannico da parte dei governi in carica dei paesi elencati, soggezione su cui si basava il supporto militare ed economico fornito dalla Gran Bretagna, aveva portato, inoltre, alla nascita di forti movimenti nazionalistici e islamici nei vari paesi citati contrari ovviamente alle politiche di dipendenza coloniale, talché gli eserciti erano più impegnati in funzioni di ordine e sicurezza pubblica che in qualcosa di simile ad una vera e propria attività di difesa o militare, e pertanto solo una piccola parte di essi poteva essere distratta per fini diversi dalla sicurezza interna.

A. G. Monno



[1] Ahron Bregman and Jihan El-Tahri. The fifty years war. Israel and the Arabs.pag 37.

[2] Abdul Rahman Hassan Azzam, segretario generale della Lega Araba dal 1945 al 1952. E’ a lui attribuita una frase relativa alla guerra di sterminio che sarebbe stata combattuta per costringere gli Ebrei a lasciare le terre occupate con l’ideale sionista. Ma, secondo le indagini degli storici più recenti, fra cui l’israeliano Tom Negev, tali frasi sarebbero state estrapolate dai numerosi contesti in cui furono pronunziate e non inquadrate in un ambiente di retorica nazionalista molto in voga all epoca, laddove Azzam Pasha si era spesso pronunziato a favore di una coabitazione fra Arabi ed Ebrei. Sempre secondo le interpretazioni di tali storici, la frase, estrapolata dal contesto e virgolettata in maniera particolare, sarebbe stata usata dalla propaganda israeliana, o meglio ebraica, quale strumento di guerra, che ora definiremmo psicologica.

[3] Alan Hart – Zionism- The real Enemy of the Jews. vol. II pag. 34.

[4] A. Shlaim-E.L.Rogan, La guerra per la Palestina. Riscrivere la storia del 1948 ,pagg 118-119.

[5] Si veda, al riguardo, Shlaim -Rogan, libro citato , pag.119.

[6] Si veda Yacoov Shimoni in Shlaim- Rogan, libro citato, pag. 121.

[7] John Bagot Glubb “A Soldier with the Arabs” pagg..98-101.

[8] Stesso capitolo 4 (Israel and the Arab coalition in 1948) del testo citato The War for Palestine -rewriting the History of 1948-– pagg. 83 e seguenti.

[9] Zionism, the Real Enemy of the Jews, vol. II pagg 37 e segg. – Alan Hart è stato a lungo il giornalista della BBC preferito dalla signora Meir e dalla stessa considerato il suo biografo non ufficiale.

[11] Vol II, nei capitoli God Save Jerusalem e The annihilation myth.

[12] Golda Meir, My life, pagina 176.

[13] Palestine and the Arab Israeli Conflict ,sixt edition, pag. 204.

[14] L’idea del piano generale pianificato da parte delle forze arabe non trova assoluta conferma da parte del comandante della Legione Araba Giordana, John Bagot Glubb, detto Glubb Pasha, che , espressamente, riferisce come tale piano non sia mai esistito. Vedasi seguito.

[15] Pag. 46, testo citato.

[16] Testo citato pag.79.

[17] E’ probabile che il termine Sansons usato nel teso, corrisponda in realtà al britannici Avrò 652A Anson, non essendoci alcun aeroplano di nome Sansons fra quelli usati nella seconda guerra mondiale. Tale supposizione deriva anche da quanto raccontato nel libro Gerusalemme Gerusalemme di Lapierre e Collins, nel quale, a pag 270, nella versione italiana del 1972, si parla del bombardiere Ansom comprato assieme ad altri quattro da Freddy Fredkens per la nascente aviazione ebraica e che sarebbe servito per bombardare la nave LINO, di cui si parlerà più avanti nella parte che riguarda l’Italia ed il trasporto clandestino di armi.

[18] Dal libro di Golda Meir citato, pag.181.

[19] The Iron Wall – Israel and the Arab World, pag. 34 nel capitolo “The war of indipendence”.

[20] Simha Flapan “The birth of Israel. Myths and realities” page 187-199 e Benny Morris “1948 and After, page 13-16.

[21]Palestina, la storia incompiuta” pag. 66.

[22] La foto di Ben Gurion è tratta dal sito http://www.israel-travel-and-tours.com/david-ben-gurion.html.

[24] Charles Enderlin “ Attraverso il ferro ed il fuoco”, pagg. 54-55 e 74; vedasi al riguardo anche Martin van Creveld, La spada e l’Ulivo. Storia dell’esercito  israeliano, pagg 83 e segg.

[25] La foto dello stemma della brigata ebraica è tratta dal sito http://www.bibliotecasiena.it/eventi_news/dettaglio/243-mostra-fotografica-la-brigata-ebraica.

[26] Le tombe dei caduti della brigata sono presenti nei cimiteri militari inglesi lungo la penisola italiana; ricordo in particolare quello di Camerlona (RA).

[27] Fiume in Romagna su cui si appoggiava la linea difensiva tedesca in Italia nel 1945; teatro di una battaglia che vide lo sfondamento delle forze alleate.

[29] Claudio Vercelli, Israele-Storia dello stato (1881-2007), pag. 114 e segg.

[30] Martin van Creveld, La spada e l’Ulivo. Storia dell esercito israeliano. pag. 74.

[31] John Bagot Glubb, “The story of the Arab Legion”, pay 277 e segg.

[32] Trattasi di Faruq ibn Fu’ad, ultimo regnante egiziano prima della rivoluzione degli ufficiali liberi del 1952, in seguito alla quale fu poi esiliato in Italia.

[33] Anouar Abdel-Malek, Esercito e società in Egitto 1952-1967. pag18-19.

[34] A riprova di ciò vi è l’uccisione li 24 febbraio 1945 del primo ministro Ahmed Maher, che aveva progettato una dichiarazione di guerra alle potenze dell Asse (cosa che verrà poi fatta il 26 febbraio).

[35] Vedi il colloquio con Zakaria Mohiedin, laddove si fa risalire l’organizzazione degli ufficiali liberi che organizzarono il colpo di stato del 23 luglio 1952 in Egitto proprio alla pessima organizzazione del sistema politico egiziano che portò alla sconfitta del 1948. Bregman ed El- Tahri, libro citato, pag.39.

[36]Ahron Bregman and Jihan El-Tahri. The fifty years war. Israel and the Arabs., pay 38.

[37] Ibidem, pagg. 38-39.

[38] Don Peretz “ The Middle East Today, pag. 369.

[39] Don Peretz, The Middle East Today, pag. 371.

[40] Il secondo risveglio arabo, pagg. 142 e seguenti.

[41] RAF: Royal Air Force, la forza aerea militare britannica.

[42] Jon Kimche “il secondo risveglio arabo” pagg.148-150.