Davide contro Golia: la guerra di Israele contro i paesi arabi nel 1948. Mito o realtà?

= Parte IIIa – La narrazione del conflitto =

Si cercherà di raccontare l’esito delle operazioni attraverso le testimonianze degli storici, sia quelli “tradizionali”, sia quelli “moderni”.

La storiografia classica

Da quanto scritto in un testo di Colin Shindler, non certo uno degli storici revisionisti (o nuovi storici) israeliani, che ripercorre i sessant’anni della storia di Israele: [1] qualche ora dopo (la dichiarazione d’indipendenza, NdA), appena gli Inglesi furono partiti, come era prevedibile, gli stati arabi invasero. Nel giro di poche settimane gli Egiziani erano avanzati fino a dodici chilometri da Rehovot, i Siriani si erano attestati nell’alta Galilea e i Giordani erano stanziati tra Ramla e Lod, a mezz’ora di automobile da Tel Aviv. Gli attacchi di Israele tra Latrun e Jenin erano stati respinti dalla Legione Araba. Significativamente erano rari i Giordani che occupavano l’area designata quale sede dello stato ebraico nel novembre del 1947. Le forze di invasione contavano 22-28 mila effettivi, a cui si aggiungevano varie migliaia di irregolari. Oltre ai contingenti principali di Egiziani, Giordani e Siriani, anche l’Iraq, il Libano, l’Arabia Saudita e lo Yemen avevano contribuito inviando le loro truppe. Le forze armate israeliane (Zva Hahaganah Leysrael abbreviato in ebraico con l’acronimo ZAHAL, in inglese Israel Defence Forces, con quello di IDF) a quel punto potevano mettere in campo 27mila-30 mila effettivi, oltre ad una guardia civile di seimila veterani e a due-tremila membri dell Irgun. L’11 giugno 1948 iniziò un cessate il fuoco destinato a durare un mese. Ygal Allon commentò riguardo alle possibili conseguenze che ne sarebbero derivate qualora l’avanzata araba non fosse stata arrestata. (NdA, le frasi seguenti sono inserite nel libro citato ma virgolettate in quanto riprese dalla fonte indicata nella nota (2) a piè di pagina).

Poiché il nemico era così forte e così vicino alle aree più densamente popolate dagli ebrei, gli Israeliani non avrebbero osato adottare una strategia puramente difensiva. Era chiaro che se gli eserciti invasori avessero potuto godere del vantaggio dell’azione offensiva, avrebbero potuto sfondare la debole linea di difesa di Israele, spazzare via le sue forze e prendere possesso di tutto il suo territorio, che sarebbe stato fin troppo facile da sottomettere in quanto mancante di profondità.[2]

I combattimenti ripresero l’8 luglio, con una offensiva di dieci giorni di Israele in cui vennero conquistate Lod, Ramla e Nazareth. Il successivo cessate il fuoco durò fino al 15 ottobre 1948 e consentì agli Israeliani di riarmarsi, riorganizzare le forze e addestrare nuovi emigranti. Alla fine del 1948 Israele era in grado di schierare in campo 100.000 effettivi.

E’ paradossale che la maggior parte delle armi che salvarono l’IDF da una sconfitta quasi certa provenissero dalla Cecoslovacchia comunista in seguito ad un accordo firmato nel gennaio 1948 quando i fornitori ufficiali negli Stati Uniti ed in Europa non erano autorizzati a vendere ai sionisti. (NdA, nella realtà è opportuno ricordare che l’Unione Sovietica di Stalin fu la seconda nazione a riconoscere Israele dopo gli USA e che, all’epoca, da parte comunista vi era ancora la speranza di poter attrarre Israele nella sua orbita, o – almeno – non farla entrare in quella statunitense. Per quanto attiene al divieto di vendere armi, come si vedrà in seguito, fu largamente aggirato mentre rimase completamente in vigore nei confronti delle forze arabe).

I Cecoslovacchi fornirono cinquantamila fucili, seimila mitragliatori e novanta milioni di proiettili. Oltre a questo, fornirono degli aerei Messerschmitt, e i piloti e i tecnici israeliani vennero addestrati a usarli in Cecoslovacchia. Ciò si rivelò un potente contrappeso agli Spitfire che erano stati forniti agli Egiziani dai Britannici. La maggior parte dell’equipaggiamento, comprese le uniformi che indossavano gli Israeliani, era stato fabbricato in Cecoslovacchia dai nazisti.

Durante la guerra fra Israele e il Mondo Arabo che ne seguì, altri 300.000 Arabi Palestinesi se ne andarono: alcuni, stavolta, vennero espulsi in numero considerevole dai comandanti israeliani a livello locale. Senza alcun dubbio c’era il risentimento per la mancanza di volontà del mondo arabo di prendere in considerazione negoziati e compromessi, preferendo scatenare una guerra a tutto campo in seguito alla quale, secondo i calcoli degli invasori, essi dovevano risultare vincitori. C’era risentimento per l’elevato livello di perdite subite dagli Israeliani per il fatto che così poco tempo dopo la Shoah venisse compiuto un altro tentativo per decimare gli ebrei. Tutto questo accentuava il desiderio di amplificare al massimo l’esodo che era iniziato prima della proclamazione dello Stato e ridurre la popolazione araba di Israele ad un minimo politicamente e militarmente impotente. C’era anche una probabile approvazione, ancorché silenziosa, da parte di molti politici.

E qui si interrompe la descrizione delle attività belliche da parte di Shindler che dedica il resto del capitolo a cercare una spiegazione plausibile della diaspora palestinese, che costituisca una spiegazione buonista dell evento.

Ma prima, giusto per dimostrare quanto la saggistica italiana sull’argomento pecchi di superficialità ed approssimazione, tanto da scivolare nella partigianeria, trascrivo quanto riportato da Giovanni Codovini:[3]Gli Ebrei, numericamente inferiori (650.000 contro oltre 1.000.000 di Arabi nella sola Palestina), male armati (9 brigate per un totale di 30.000 uomini, già il 30 maggio videro cadere il settore orientale di Gerusalemme nelle mani della Transgiordania, ma a giugno (esattamente l’11, il giorno della prima tregua) l’avanzata era ormai arrestata. Anzi la direzione si era capovolta.

In quei giorni, anche se la stampa mondiale espresse simpatia per Israele (persino la Pravda) (NdA, sembra esser facile dimenticanza di numerosi presunti studiosi neutrali scordare il riconoscimento immediato dell’Unione Sovietica di Stalin della neonata repubblica e la vendita di armi dalla Cecoslovacchia verso Israele), non mancarono tuttavia tentativi di rimettere in discussione l’esistenza del giovane stato. Tali tentativi trovarono un interprete nel conte Folke Bernadotte, un diplomatico svedese presidente della Croce Rossa. Il 20 maggio egli fu nominato dalle Nazioni Unite mediatore per il problema della Palestina e nel rapporto del 1° luglio propose una nuova frontiera tra gli Stati Arabi e Israele. Il progetto, che tra l’altro assegnava Gerusalemme ed il Negev alla Transgiordania, finì per esasperare la frangia più estremista dell’opinione pubblica israeliana: il 17 settembre alcuni terroristi, ex membri del LEHI, uccisero Bernadotte e un suo collaboratore. Il piano non ebbe seguito.

Dopo aver ripreso l’iniziativa militare nel luglio 1948, grazie alle truppe di Moshe Dayan (futuro ministro della difesa tra il 1967 e il 1974) e l’abilità dell’aviazione che bombardò il Cairo e Damasco (le nuove armi provenivano dalla Francia e Cecoslovacchia) e dopo aver respinto nel gennaio 1949 l’ultima offensiva egiziana, Israele arrivò a una serie di armistizi separati con i vari stati arabi (conferenza di Rodi nel febbraio/luglio 1949) tranne che con Iraq, Arabia Saudita e Yemen, stati che addussero come pretesto di non avere confini comuni con Israele.

Come si vede, sull’argomento non si entra affatto nel dettaglio, salvo attribuire delle responsabilità di voler portare il mondo indietro al conte Folke Bernadotte, sulla cui figura non viene spesa alcuna parola.

In numerosi libri che trattano di Israele, più che dei conflitti guerreggiati, sopratutto in chiave favorevole allo stato ebraico, da un punto di vista critico questa parte della storia poco viene trattata, salvo allegorie o richiami alla lotta di Davide contro Golia; vedi ad esempio Eli Barnavi, “Storia di Israele”, in cui questa parte di storia, a pag. 67, viene trattata in pochissime righe che narrano solo del conflitto interno fra Haganah da una parte ed Irgun e Lehi dall’altra, con una minima menzione a una piccola frangia di dissidenti oltranzisti, frase che non si sa bene a chi si intendesse riferire.

Altrettanto fa Claudio Vercelli in “Israele, storia dello Stato dal sogno alla realtà 1881-2007” che da pagina 170 a 175, glissa abbondantemente sia sui rapporti di forza, definiti “similari” a pagina 170 riferendosi a 30.000 combattenti per poi parlare a pagina 173 di 60.000 elementi per la forza combattente israeliana e dell’assunzione di iniziativa da parte di Tsahal, sia sugli obiettivi delle due parti e le combinazioni ed implicazioni politiche che abbiamo in precedenza visto trattate da altri autori.

Analoga situazione, che non entra affatto nel dettaglio, si trova in La terra contesa di Federico Steinhaus, nella versione con prefazione di Giuseppe Spadolini.

Eppure i dati non mancavano già all’epoca, tali da mettere in dubbio tale ricostruzione e definirla superficiale o partigiana, se non falsa.

Sir John Bagot Glubb, meglio conosciuto come Glubb Pasha, l’ultimo comandante inglese della Legione Araba Giordana, già nel 1957 aveva scritto della forza della componente ebraica e della debolezza degli eserciti arabi, dando anche i seguenti numeri: “On the whole the Israeli Forces in May 1948 were probably fourteen times as great as the Arab Legion in numbers. In their heavier armament, the Arab Legion had a few British weapons, with very little ammunition. The Israelis had many locally made weapons with ample ammunition”.[4]Thus the total Arab forces which took the field on May 15TH, 1948, may be estimated as follows:

Egypt

10.000

Arab Legion

4,500

Syria

3,000

Lebanon

1,000

Iraq

3,000

This gives a total of 21,500, as against the Jewish figure of 65,000.”[5]

Nella sua onestà, il vecchio militare britannico ammette che i numeri sono supposti in quanto non esistevano dati certi e ben precisi, ma certamente deve essersi avvalso di notizie di intelligence, probabilmente fornite dai suoi colleghi britannici. Da buon militare, non guarda solo il fattore numerico, ma anche quello logistico, notando come il movimento per linee interne delle forze israeliane fosse decisamente più favorevole di quello per linee esterne degli eserciti arabi, ricordandoci che la distanza fra Baghdad e Haifa è di circa 700 miglia come quella da Londra a Berlino e che le forze armate egiziane avevano una linea di rifornimenti di 250 miglia nel deserto; senza contare che la maggior parte delle forze armate dei paesi arabi, dovettero rimanere in patria per questioni di sicurezza interna.[6]

E, comunque, dopo questa analisi della situazione conclude dicendo: “In 1948, the number of armed Israelis in the field was always much greater than that of the combined Arab armies attacking them”.[7]

Secondo lo stesso autore, che – ricordiamolo ancora – era il comandante di una delle unità impegnate in questa guerra, tale situazione, che vedeva le forze armate israeliane enormemente superiori a quelle arabe, fu uno dei motivi che spinsero il re Abdullah a cercare un accordo con gli Israeliani.

Simha Flapan, che dal 1954 al 1981 ha ricoperto la carica di segretario generale del partito Israeliano Mapam, nel suo “The birth of Israel-Myths and Realities” del 1987, aveva messo in evidenza tale situazione indicandola come “mito numero sei”.[8]

Questi documenti erano, pertanto, ben noti a coloro che hanno scritto sulla guerra del 1948, come lo avrebbero potuto essere altri, a seguito di interviste o ricerche negli archivi civili militari; ma tanto valeva ignorarli e continuare nella costruzione del mito di Davide contro Golia.

Altrettanto noti erano i documenti relativi alla prima parte della guerra del 1948, quella fra Palestinesi e sionisti che vide il forzato trasferimento di palestinesi, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa altro che ebraica, come testimonia la lettera del 12 novembre 1957 del Cancelliere del Patriarcato Armeno di Gerusalemme, Zaven Chinchinian e indirizzata al giornalista italiano Ugo Dadone, in cui viene stimato in 5.000 il numero degli Armeni “obbligati (forzati)” ad abbandonare la Palestina a causa dell’occupazione sionista.[9]

Il mediatore delle Nazioni Unite, conte Folke Bernadotte

E’ doveroso spendere qui qualche parola su questa persona e sulla vicenda, che tende a cadere nell’oblio.

Nato a Stoccolma nel 1895, Folke Bernadotte ottenne unanimi riconoscimenti come responsabile della Croce Rossa svedese durante la seconda Guerra Mondiale; usò la sua posizione ed influenza per negoziare con Heynrich Himmler e salvare migliaia di ebrei dai campi di concentramento. [10]

Nominato mediatore dalle Nazioni Unite il 20 maggio del 1948, fu grazie al suo intervento che fu negoziata una tregua di 30 giorni l’11 giugno 1948 [11].

Propose un nuovo piano di pace rigettato da ambedue le parti.

Fu ucciso da membri del Lehi[12] (il 16 settembre del 1948) insieme all’osservatore delle Nazioni Unite Andrè Seraut, mentre si recava dal governatore militare di Gerusalemme  Dov Joseph.[13]

Pur conoscendo tutti il nome dell‘assassino, Yehoshua Cohen, parte terminale di un piano congegnato ed organizzato all’uopo, che faceva capo ai vertici dell Irgun e quindi anche a quello che sarà poi uno dei primi ministri di Israele, Ytzak Shamir, [14] lo stesso non fu mai né arrestato né perseguito penalmente. Anzi, in seguito, divenne responsabile della sicurezza di Sde Boker, il luogo ove si ritirò Ben Gurion. Guardia del corpo dello stesso, secondo altre fonti.[15]

I nuovi storici e la nuova storiografia di Israele

Per avere un quadro più chiaro di quanto è successo non si può prescindere dai nuovi storici israeliani e dal contenuto dei documenti scoperti e presentati in numerose pubblicazioni.

Scrive Benny Morris,[16]La seconda metà della guerra: Israele contro gli stati arabi. 15 maggio 1948-primavera 1949 – I rapporti di Forza: ”Le aree ebraiche erano difese da nove brigate dell’Haganah. Altre tre sarebbero state organizzate nelle settimane seguenti. Il 15 maggio l’Haganah disponeva di 30.000÷35.000 uomini; l’Irgun e LHI, insieme, di altri 3.000 circa. Seimila combattenti dell’Haganah appartenevano alle tre brigate delle Palmah. In giugno, l’Israel Defence Force poteva contare su 42.000 combattenti tra uomini e donne. Grossi carichi di armi leggere erano giunte in maggio e nel mese successivo, secondo Ben Gurion, l’IDF <<aveva un surplus>> di materiale. L’industria bellica dell’Yshuv aveva già prodotto in proprio 7.000 Sten,[17] saliti a 16.000 in ottobre. Alla fine di maggio gli ebrei erano autosufficienti nella produzione di fucili mitragliatori e delle relative munizioni, di mortai di piccolo e medio calibro, di razzi anticarro, di bombe a mano, mine e granate. Il principale handicap dell’Haganah[18] nelle prime due settimane dell’invasione era nel campo delle armi pesanti. Essa era riuscita a sottrarre o comprare dai britannici in partenza tre carri armati, 12 autoblindo, (quattro delle quali con cannoncino), tre semicingolati e tre guardiacoste. Alla fine di maggio erano stati consegnati altri 10 carri armati e una dozzina di semicingolati acquistati all’estero. Inoltre, dal 15 maggio furono disponibili quattro o cinque pezzi di artiglieria da campagna di piccolo calibro (45 alla fine del mese) 24 cannoni antiaerei anticarro,[19] 75 Bazooka PIAT [20] (Projectors, infantry, antitank) e un centinaio di autocarri blindati (per lo più in modo artigianale) per il trasporto di uomini e materiali. L’Haganah disponeva anche di 700 mortai da due pollici e di 100 mortai da tre pollici, più pochi mortai pesanti prodotti in loco (i così detti Davidka), che, nell’insieme, compensarono in certa misura l’iniziale carenza di artiglieria vera e propria.

Per quanto riguarda l’aviazione, l’Haganah aveva  aerei leggeri da ricognizione e trasporto, ma nessun caccia (anche se alcuni erano dotati di mitragliatrice e furono usati per sganciare piccole bombe). Ma entro il 29 maggio Israele aveva ricevuto, montato e inviato in missione, quattro caccia cecoslovacchi Messerschmitt Avia 199.[21] [22]

Entrambe le parti tendevano a sopravvalutare la forza dell’avversario; la strategia dell’Yshuw è incomprensibile se non si tiene conto del suo sincero timore di essere sconfitto ed annientato, che cominciò a dissolversi solo dopo la constatazione che gli eserciti arabi erano molto più piccoli e disorganizzati del previsto. A metà del 1947, Ben Gurion credeva che la Legione Araba della Transgiordania consistesse in non meno di 15.000÷18.000 uomini con 400 carri armati, mentre in realtà essa non aveva alcun carro armato e i suoi soldati in quel momento erano non più di 6.000. Gli eserciti arabi erano molto meno temibili di quanto Ben Gurion pensasse e non impegnarono mai la loro intera forza in Palestina. Solo il regime giordano si considerò abbastanza solido da gettare nella mischia quasi tutto il suo esercito.

Le forze arabe in Palestina consistevano (fino alla fine di maggio) in non più di 28.000 uomini. Circa 5.500 egiziani, tra 6.000 e 9.000 legionari arabi, 6.000 siriani, 4.500 iracheni, un pugno di libanesi; gli altri erano irregolari e volontari stranieri.

Sulla carta, secondo stime dell’Haganah, la coalizione degli eserciti arabi disponeva di 75 aerei da guerra, 40 carri armati, 500 blindati, 140 cannoni da campagna e 220 cannoni antiaerei. In effetti, il loro equipaggiamento era ben più modesto e in parte inutilizzabile (specialmente gli aerei, mentre un’altra parte non varcò mai i confini palestinesi).

Dopo l’invasione entrambi gli schieramenti potenziarono sensibilmente le loro forze armate, ma la corsa alla mobilitazione fu vinta dagli ebrei con ampio margine. A metà luglio l’IDF schierava quasi 65.000 uomini, che salirono a 115.000 nella primavera del 1949. I paesi arabi disponevano probabilmente in Palestina e nel Sinai di circa 40.000 uomini a metà luglio e di 55.000 in ottobre con un ulteriore modesto incremento entro al primavera del 1949.

Ci fu quindi un declino relativo della forza araba nel corso del conflitto, sfociato nel settembre-ottobre 1948 in una chiara, benché non soverchiante, superiorità israeliana. Ciò dipese dalla “vittoria“ ebraica contro l’embargo internazionale sugli armamenti, imposto dal consiglio di sicurezza dell ONU ai belligeranti dal 29 maggio 1948 all’11 agosto 1949. Ancora prima, il 14 dicembre 1947, gli Stati Uniti avevano dichiarato un embargo unilaterale. All’inizio di febbraio del 1948 la Gran Bretagna – unico fornitore di materiale bellico a Iraq, Egitto e Transgiordania – cominciò a ridurre le consegne in tutto il Medio Oriente. L’embargo fu applicato con grande rigore da Stati Uniti e Gran Bretagna oltre che dalla Francia, tradizionale fornitore di armi a Siria e Libano. Oggi è possibile affermare che esso danneggiò gli arabi molto più dell’Yshuw.

Gli stati arabi non avevano fornitori alternativi, e da luglio in poi i loro eserciti soffrirono di una grave carenza di armi, munizioni e pezzi di ricambio.

Teoricamente nell’ottobre 1948, l’aviazione egiziana possedeva 36 caccia e 16 bombardieri; ma non potevano alzarsi in volo mai più di una dozzina di caccia e di tre o quattro bombardieri, con poche munizioni e equipaggi male addestrati. L’Haganah, d’altra parte, aveva creato un’ampia rete segreta di approvvigionamenti in Europa e e nelle Americhe.

Circa 129 milioni di dollari, in liquidi o variamente garantiti, furono raccolti tra gli ebrei all’estero; di questi, 78,3 milioni furono spesi per l’acquisto di materiale bellico tra l’ottobre 1947 e il marzo1949. All’inizio della guerra, trattative andarono a buon fine con la Cecoslovacchia, bisognosa di valuta pregiata e con società private in Europa Occidentale e negli Stati Uniti; invii di armi relativamente ingenti si ebbero il 30 marzo 1948 e sopratutto dopo la proclamazione dello stato di Israele il 14 maggio. Né i cecoslovacchi, né le società private si curarono dell’embargo delle Nazioni Unite, ma gli stati arabi non disponevano né delle risorse economiche né dei contatti necessari ad accedere a quei potenziali fornitori.

Migliaia di ebrei ben addestrati e molti volontari gentili[23] – più di 300 spesso reduci della seconda guerra mondiale e in gran parte statunitensi e canadesi – prestarono servizio nell’aviazione israeliana nel 1948; 198 come equipaggi d’aeroplano. Quindi l’IAF (Israeli Air Force, l’aviazione israeliana), aveva più personale addestrato del necessario, gli arabi molto meno del necessario; ciò spiega perché nell’ottobre 1948, con appena una dozzina di caccia, l’IAF conquistò la superiorità area sugli egiziani. L’abbondanza di personale addestrato, di munizioni e di pezzi di ricambio fu decisiva.

E già quanto scritto da Morris, che sull’argomento ha avuto accesso a fonti ebraiche e israeliane in particolare, getta una luce di sfiducia su quanto scritto anche da Codevini, citato in precedenza, in quanto a superficialità e mancanza di approfondimento, sia per quanto riguarda i numeri, che armamenti, logistica, disponibilità economiche ed addestramento.

Continuiamo. Scrive Martin van Creveld: [24] In base alle informazioni contenute nel diario di Ben Gurion, alla metà del 1947 gli stati arabi potevano arruolare un totale di 160.000 uomini nonché 40 carri armati e mezzi blindati. Tuttavia, queste forze non parteciparono certo tutte all’invasione della Palestina. Alcuni regimi arabi, segnatamente la Siria e la Giordania, non potevano impegnare in quel senso tutto il loro potenziale, a causa di problemi di sicurezza interna, una questione che allora, come in seguito, Israele non dovette mai affrontare se non in modo molto marginale. La rispettiva posizione geografica dell’Egitto e dell’Iraq comportava che gli eserciti di questi due paesi fossero costretti ad operare al capo terminale di lunghe linee di comunicazione, le quali avrebbero dovuto rivelarsi oltremodo vulnerabili.

Alla fine, la consistenza delle forze di invasione si limitò approssimativamente a 30.000 uomini. Il singolo contingente più forte era quello giordano che abbiamo già descritto. Si trascrive, per completezza di informazione, anche quanto citato da van Creveld in relazione al contingente giordano[25] <<Pagata dal ministero del tesoro di sua maestà e comandata da circa 50 ufficiali britannici, per gran parte della sua storia la Legione Araba aveva preso ordini più


dall’ambasciatore britannico ad Amman che dal re Hashemita Abdullah.[26] Nel 1946, tuttavia, alla Transgiordania era stata concessa l’indipendenza e, in ogni caso, la necessità di portare la maggior parte possibile di territorio palestinese sotto il controllo del re Abdullah, alleato del loro impero, era un obiettivo sul quale il re giordano ed i suoi ufficiali pagatori concordavano perfettamente. Sui 20.000 uomini della legione araba, poco meno della metà erano a disposizione in caso di guerra. Inoltre, contrariamente alle leve palestinesi, si trattava di una forza regolare fornita di un’organizzazione adeguata, con tanto di artiglieria e mezzi blindati. Si rivelò anche meglio addestrata e più motivata rispetto al resto delle forze arabe in campo>>.

L’altro nuovo storico israeliano Ilan Pappè, scrive:[27]Anche se l’esercito giordano era il più forte tra le forze arabe e avrebbe potuto quindi costituire un nemico formidabile per lo stato ebraico, esso fu neutralizzato sin dal primo giorno di guerra a causa della tacita alleanza stretta tra il re Abdullah e il movimento sionista.[28] Non stupisce quindi che il comandante in capo inglese della legione araba, Glubb Pasha, abbia chiamato la guerra di Palestina del 1948 “la guerra finta” (Phony war, nella versione inglese). Glubb era al corrente non solo delle restrizioni imposte da Abdallah alle operazioni della Legione, ma anche delle generali consultazioni panarabe e dei vari preparativi. Come i consiglieri militari inglesi dei vari eserciti arabi – ed erano molti – anch’egli sapeva che i preparativi degli altri eserciti arabi per un’operazione di salvataggio in Palestina erano del tutto inefficaci, “patetici” secondo alcuni suoi colleghi, ivi compreso l’ALA.[29]

L’unico cambiamento nel generale comportamento arabo al termine del mandato si verificò nella retorica. I tamburi di guerra suonavano sempre più forte e con più violenza, ma non riuscivano a vincere l’inerzia, lo scompiglio e la confusione. Forse la situazione era davvero diversa nelle varie capitali arabe, ma il quadro era complessivamente lo stesso. Il governo egiziano decise di inviare truppe in Palestina solo all’ultimo momento, due giorni prima del termine del mandato. I 10.000 soldati predisposti comprendevano un ampio contingente, quasi il 50 % di volontari della fratellanza musulmana … omissis … ma naturalmente mancavano di addestramento militare e, nonostante il loro fervore, non costituivano un vero pericolo per le forze ebraiche.[30]

Le forze siriane erano meglio addestrate e i loro capi politici più impegnati, ma erano passati solo pochi anni dalla loro indipendenza, avvenuta con la fine del mandato francese, e il numero esiguo di truppe inviate dai siriani in Palestina ottenne risultati così scarsi che già prima della fine di maggio del 1948 la Consulta[31] aveva cominciato a valutare la capacità di espandere i confini dello stato ebraico sul lato nord-orientale in Siria annettendo le alture del Golan.[32]

Ancora più esigue e ancora meno impegnate erano le unità libanesi, che per quasi tutta la durata della guerra si accontentarono di restare dalla loro parte del confine palestinese cercando con poca convinzione di difendere i villaggi circostanti.

L’ultima componente del fronte arabo, e la più interessante, era costituita da truppe irachene. Il governo ordinò alle poche migliaia di soldati di seguire le linee guida giordane ovvero di non attaccare lo stato ebraico, ma limitarsi alla difesa della zona assegnata al re Abdullah, ossia la Cisgiordania. Queste truppe, appostate nella parte nord della Cisgiordania, tuttavia, sfidarono gli ordini ricevuti dai politici e cercarono di avere un ruolo più attivo. Fu grazie a loro che in quindici villaggi di Wadi Ara, sulla strada tra Afula e Hadera, riuscirono a resistere e quindi evitare l’espulsione (furono poi ceduti a Israele dal governo giordano nel 1949 come parte di un accordo bilaterale di armistizio) … omissis ... Le truppe arabe che entrarono in Palestina ben presto scoprirono di aver sovrastimato le loro vie di rifornimento e rimasero quindi senza munizioni per le loro armi antiquate e spesso mal funzionanti. Gli ufficiali si resero conto che non esisteva un coordinamento tra i vari eserciti nazionali e che, anche quando le vie di rifornimento erano aperte, nei propri paesi di origine le scorte di armi si andavano esaurendo. Queste scarseggiavano poiché i principali fornitori degli eserciti arabi erano la Gran Bretagna e la Francia che avevano sottoscritto un embargo sulla fornitura di armi alla Palestina: ciò paralizzò gli eserciti arabi ma non toccò minimamente le forze ebraiche, ben rifornirete dall’Unione Sovietica e dai paesi del blocco orientale[33].

Nella pubblicazione The War for Palestine – rewriting the History of 1948 – edited by Eugene L Rogan and Avi Shlaim, a page 80-81, si legge: “as far as the military balance is concerned, it was always assumed that the Arabs enjoyed overwhelming numerical superiority. The war was accordingly depicted as one between the few against the many; was a desperate, tenacious, and heroic struggle for survival against the many, as a heavy odds. The desperate plight and the heroism of the Jewish fighters are not in question. Nor is the fact that they had inferior military hardware at their disposal, at least until the first truce, when illicit arms supplies from Czechoslovakia decisively tipped the scales in their favor.

But in mid-May 1948 the total number of Arab troops, both regular and irregular, operating in the Palestine theater, was under 25.000 troops. By mid-July the IDF mobilized 65.000 men under arms, and by December its number has reached a peak of 96.441. The Arab states also reinforced their armies, but they could not match this rate of increase. Thus, at each stage of the war, the first round of fighting, it outgunned them too. The final outcome of the war was therefore not a miracle but a fateful reflection of the underlying military balance in the Palestine theater. In this war, as in most wars, the stronger side prevailed”

A. G. Monno


[1]Israele. Dal 1948 ad oggi ” (pagg.67 e segg.).

[2]Allon, Ygal, “Israele’s war of indipendence” in Revue Internationale d’Histoire militaire” 1979, n°42.

[3] Geopolitica del conflitto arabo israeliano palestinese” edizione 2009, pag 25.

[4]Sir John Bagot Glubb, A Soldier with the Arabs, pag. 93.

[5] Sir John Bagot Glubb, A Soldier with the Arabs, pag. 94.

[6] John Bagot Glubb, A Soldier with the Arabs, pag. 95.

[7] Ibidem, pag 95.

[8] Simha Flapan, “The birth of Israel-Myths and realities” pag.9

[9] Ugo Dadone, Fiamme ad Oriente” edito dal Centro  Editoriale Nazionale, via della Trinità dei Pellegrini, Roma, pag. 423; anni, ritengo, a cavallo del 1958.

[11] Quella che permise all’esercito israeliano di riorganizzarsi ed ottenere gli armamenti  di cui necessitava e di cui si parlerà nel prosieguo.

[12] Lohamei Herut Israel – Organizzazione estremista ebraica (oggi diremmo terroristica) allora diretta da Yitzak Yezernitsky, poi Yitzak Shamir, futuro Primo Ministro di Israele).

[13] Le notizie sull’argomento, al fine di non essere accusato di partigianeria, sono state tratte dal sito https://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/History/folke.html.

[14] Charles Enderlin “ Attraverso il ferro ed il fuoco, pag.141.

[15] I link ed il libro sottostante si riferiscono sia alla figura di Jeoshua Cohen, sia all’organizzazione e attuazione dell’attentato in cui rimase ucciso il conte Bernadotte ad opera del Lehi:

http://www.nytimes.com/1986/08/12/obituaries/yehoshua-cohen-dies-linked-to-48-killing.html, valido al 9 settembre 2014;

http://www.jewishmag.co.il/64mag/lechi/lechi.htm; valido all’8 settembre 2014;

– New York Times in un articolo del 12 settembre 1988 http://www.nytimes.com/1988/09/12/world/2-recount-48-killing-in-israel.html; valido all’8  settembre 2014;

– quotidiano israeliano Haaretz in un articolo del 29 settembre 2006 http://www.haaretz.com/a-murder-waiting-to-happen-1.198184   valido all’8 settembre 2014

vedi al riguardo anche: A Death in Jerusalem: The Assassination by Jewish Extremists of the First Arab/Israeli  di Kati Marton

[16] In “Vittime”, pag 274.

[17] Trattasi di un mitra del secondo conflitto mondiale originariamente di fabbricazione britannica in calibro 9 m/m che, grazie ai pochi e non costosi componenti, realizzati prevalentemente in stampaggio, poteva essere prodotto in grandi quantità e con spesa limitata.

[18] Haganah, formazione di autodifesa ebraica nata in Palestina nel 1920 da cui sono originate le attuali forze  armate israeliane.

[19] Ritengo siano cannoni antiaerei usati in funzione anticarro come usato dai tedeschi durante la 2a GM, laddove il cannone antiaereo da 88 si rivelò un micidiale cannone anticarro.

[20] Trattasi di lanciarazzi anticarro portatili, idonei ad essere usati individualmente o a coppia.

[21] Trattasi di un aereo da caccia di produzione cecoslovacca costruito sulla base del più famoso aereo tedesco Messerschmitt bf109.

[23] Gentili, termine usato dagli appartenenti alla religione ebraica per indicare gli appartenenti ad altra religione.

[24] La spada e L’ ulivo – Storia dell esercito israeliano (Capitolo 6 pagg. 127 e segg.)

[25] Pagina 113 stesso libro laddove scrive al riguardo

[26] La foto, tratta dal sitohttp://www.whq-forum.de/invisionboard/lofiversion/index.php?t27916-1850.html, mostra il re Abdullah cha passa in rassegna la Legione Araba.

[27] La pulizia etnica della Palestina, Capitolo 6 -La finta guerra e la vera guerra in Palestina, maggio 1948; pagg. 161 e segg.

[28] Accordi presi con la negoziatrice israeliana Golda Mabovic, il cui cognome sarà poi trasformato in Meir e che diventerà primo ministro di Israele.

[29] John Bagot Glubb, A soldier with the Arabs, p. 82.

[30] Yehuda Sluzky, Summary of the Haganah Book, pagg. 486-487.

[31] Organo politico-militare di vertice ristretto dei politici israeliani che prendeva le reali decisioni.

[32] Ordini operativi alle brigate secondo il piano Dalet, archivi dell’IDF, 22/79/1303.

[33] Amitzur Ilan, The origins of the Arab Israel arms race; arms, embargo military Power and decision in the 1948 Palestine War.