a cura di Luigi R. Maccagnani
Aprile 23÷Maggio 03, 2015
Libia
Cominciare dalla Libia per combattere la migrazione illegale (Mustafa Fetouri – Al Monitor)
Ci sono probabilmente tante persone che muoiono nel deserto, quante in mare (Libya Herald)
(saputo nei giorni scorsi di 130 migranti sub-sahariani entrati in Libia dal Niger, di cui solo 3 sono sopravvissuti dopo che il gruppo fu abbandonato nel deserto senza cibo né acqua; nei giorni scorsi pattuglie della Petroleum Defence Force hanno intercettato un convoglio di trafficanti non lontano dall’oasi di Al-Jaghbub, vicino al confine con l’Egitto, è risultato che i trafficanti avevano abbandonato 44 migranti senza acqua o viveri, dei quali venti due ritrovati a 150 chilometri dall’oasi dopo quattro giorni di ricerche, due già morti).
Delegati di entrambe le parti che partecipano alle discussioni promosse da UNSMIL (United Nation Support Mission in Libia) hanno dichiarato che l’ultima bozza di accordo presentata dall’Alto Rappresentante Bernardino Leon per la costituzione di un governo provvisorio di Unità Nazionale può finalmente essere accettata dalle parti, prevedendo che il GNC ( General National Congress) – che aveva fino ad ora rifiutato ogni accordo – la approverà.
Libya Dawn, milizia vicina al GNC, rifiutando ogni possibile accordo, ha chiesto il “licenziamento” di Bernardino Leon. Si ricorda che i partiti (tra cui i Fratelli Musulmani), i cui dirigenti fanno ora parte del GNC, non avevano ottenuto alle ultime elezioni alcun seggio. Il generale Haftar, capo dell’esercito “regolare”, ha rifiutato di sedersi ad un tavolo con le milizie.
Il presidente del Consiglio degli Anziani (Council of Elders), Mohammed Al-Mubasher, si è dimesso.
Il Consiglio degli Anziani, o dei Capi Tribù, così determinante dopo la seconda guerra mondiale nel definire il futuro della Libia (in queste pagine: http://www.omeganews.info/?p=2653), ha ora perso ogni influenza, il paese è in mano ai signori della guerra.
Nei commenti sulla Libia che si trovano sui media in questi giorni si legge spesso una critica, più o meno esplicita, all’intervento Franco-Britannico che nel marzo 2011 ha aiutato gli insorti nella guerra contro Gheddafi, critica che appare ingiusta per due ragioni: la prima, che l’insorgenza in Libia è stata spontanea, promossa da larga parte della popolazione, principalmente dai giovani, che erano stanchi della dittatura in essere dal 1969; la seconda, che l’intervento, con le casualties che ha determinato, ha certamente evitato il massacro ben più pesante che la reazione di Gheddafi avrebbe causato. I giovani che avevano partecipato alla rivolta nulla hanno a che fare con le bande criminali che ora controllano il paese, ma ne subiscono le azioni, nell’indifferenza colpevole del mondo occidentale sordo a tutte le richieste di aiuto formulate da ogni governo Libico che si è succeduto dal 2011 ad oggi.
Ricordo l’entusiasmo, le aspettative, che si respiravano a Tripoli nell’estate del 2012, quando nella piazza principale della città, già piazza Al Fatah, poi Piazza dei Martiri, i giovani distribuivano ai visitatori il braccialetto con i colori della rinnovata bandiera Libica, con la data simbolo della rivoluzione.
In un paese che quasi 43 anni di dittatura avevano lasciato senza istituzioni, non un esercito, non un corpo di polizia (che in un modo o nell’altro avrebbero potuto essere determinanti per l’esito della rivoluzione, o nella ricostruzione – vedi Tunisia), le persone che hanno cercato di ricostruire il paese si sono trovate inermi, impreparate e senza aiuti: colpevole l’indifferenza di quelle stesse Nazioni che avevano aiutato l’insorgere della rivolta.
Colpevole l’indifferenza dell’Italia, che ora si lamenta di essere “sola” di fronte al problema dei migranti quando è sempre stata solo a guardare.
Smisurato il compito di Bernardino Leon, che cerca di promuovere un governo di “unità nazionale”. Che non avrebbe comunque i mezzi per controllare le bande dei “signori della guerra”, che ora controllano la Libia. Senza considerare la contraddittorietà di voler allo stesso tavolo il governo “internazionalmente riconosciuto”, e quello auto-nominato sostenuto da milizie armate.
Tunisia
Dati i significativi progressi nella transizione politica in Tunisia, l’Europa cerca un consolidamento dei rapporti di partnership. (European Neighbourhood Partnership Instrument – ora ENI, 27-03-2015)
L’Europa approva investimenti di 100 milioni di Euro a sostegno della Tunisia (ENPI 15-04-2015)
Immigrazione: due guide per agevolare i flussi regolari da Tunisia e Marocco (29-04-2015)
“viaggi più sicuri e meno costosi di quelli offerti dai trafficanti”. Il ministero Italiano dell’Interno ha promosso uno studio sulla normativa dell’ingresso in Italia per migranti di origine Tunisina e Marocchina.
EU approva cinque programmi di finanziamento alla Tunisia per un valore totale di 63 milioni di Euro (ENPI 30-04-2015)
I programmi finanziati comprendono: sviluppo aree popolari 28 milioni, giustizia 13 milioni, audiovisivi 10 milioni, promozione uguaglianza di genere 7 milioni, controllo confini 3 milioni.
La Tunisia prosegue con il rafforzamento della transizione verso la democrazia, numerose le iniziative a supporto della classe media con la partecipazione fattiva dell’Unione Europea, della Banca Mondiale e del Centro di Commercio Internazionale, con particolare attenzione nel campo dell’agroalimentare, artigianato e servizi.
Dove tutto è cominciato (inizio delle rivolte il 17 Dicembre 2010, conclusesi con l’allontanamento del presidente Ben Ali il 14 Gennaio 2011). Contrariamente alla vicina Libia, la Tunisia aveva una classe media, un’economia differenziata, benché minata da corruzione e disoccupazione crescente, ma soprattutto una polizia forte, che si è schierata immediatamente con il popolo: una struttura Paese forte abbastanza da far rispettare la volontà della maggioranza.
Turchia
Verso le elezioni parlamentari del 13 giugno 2015
Periodo di incertezza per il Paese, che, a meno di sei settimane dalla data prevista, si prepara a nuove elezioni parlamentari sabato 13 Giugno. Incertezze sulla direzione che vorrà prendere il presidente Erdogan, conosciuto per la svolta autoritaria degli ultimi anni, caratterizzata soprattutto da una sempre maggiore inclinazione islamica.
Un accenno sulla persona:
Recep Tayyip Erdogan, 61 anni, una vita spesa nella politica, da quando ancora studente delle superiori era strenuo sostenitore di un Islam politicizzato, in un periodo in cui la costituzione del Paese vietava (e vieta ancora oggi) partiti politici di base religiosa. Presto si unì a Erbakan, veterano della lotta a favore dei partiti Islamici. Erdogan crebbe in popolarità fino ad essere eletto sindaco di Istanbul nel 1994, il primo ad essere anche attivista Islamico, con grave perplessità per la parte laica dell’establishment.
Erdogan comunque si dimostrò un amministratore capace, almeno fino a quando, nel 1998, non fu condannato a 10 mesi di prigione per incitamento all’odio religioso.
Uscito di prigione dopo solo 4 mesi, riprese il percorso politico e, nel 2001, contribuì alla nascita del suo partito di oggi, l’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi – Justice and Development Party), partito che vinse le elezioni parlamentari del 2002. Nel 2003 divenne Primo Ministro.
AKP è rimasto il primo partito, con maggioranza relativa, fino ad ora, confermando Erdogan come Primo Ministro per tre mandati. Non essendo possibile concorrere per un quarto mandato, nel 2014 è stato eletto Presidente, con elezioni dirette, invece che parlamentari, in virtù di un emendamento costituzionale voluto dal suo partito nel 2007.
Sebbene la Turchia sia al 95% Musulmana, a grande maggioranza Sunnita, essa ha consolidate tradizioni laiche, tant’è vero che tuttora tre articoli della costituzione, ed altri del codice penale, proibiscono l’uso della religione per scopi politici. Tuttavia si individuano segnali che possono far pensare ad un cambiamento voluto da Erdogan: tutto sta a vedere se il partito raggiungerà i due terzi del quorum necessario per poter cambiare la costituzione.
Iran
Kerry e Zarif si incontrano a New York City
27 Aprile 2015 – Il Segretario di Stato Americano, John Kerry, ed il Ministro degli Esteri Iraniano, Javad Zarif, si sono incontrati nella residenza dell’ambasciatore Iraniano presso le Nazioni Unite nell’occasione di una conferenza sul Trattato di Non Proliferazione Nucleare che si teneva all’ONU nello stesso giorno.
Zarif: L’Iran si adoprerà per la riduzione delle tensioni regionali
29 Aprile 2015 – “La nostra regione è la nostra priorità”: parlando ad un evento promosso dal Centro Universitario di New York sulla Cooperazione Internazionale, il ministro degli esteri Iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha lungamente commentato sugli obiettivi del Paese una volta concluso l’accordo sul nucleare.
Proseguono gli incontri che fanno seguito alla riunione di Losanna del 2 Aprile scorso in cui si sono impostati i termini di un accordo per risolvere il problema del programma nucleare Iraniano, partecipanti i ministri degli esteri dei cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU, oltre alla Germania, per cercare di risolvere le possibili divergenze e concludere entro il 30 Giugno p.v. l’accordo definitivo. Oltre agli incontri negoziali di carattere tecnico, i cui dettagli poco trapelano, c’è nuova visibilità soprattutto da parte Iraniana, che si prepara a riprendere, ad accordo raggiunto e sanzioni rimosse, una posizione dominante nell’area Medio-Orientale, con un ruolo che potrebbe – se le premesse sono mantenute – avere effetti positivi.
Certo, da qui al 30 Giugno ci sarà molto da fare. Ma, a fronte di un successo, per parafrasare il Segretario di Stato Americano, “si avrà la riprova che la diplomazia può vincere sui conflitti e rinforzare la legalità”.
Luigi Maccagnani