Dal 1922 al 2015, un filo invisibile con molti nodi, visibili

Quasi un secolo di errori e misfatti dei vincitori di turno

Mediterraneo, la Federazione che non c’è

di Enrico La Rosa

 3006201503

Siria e Irak quasi definitivamente e irrimediabilmente nelle mani dell’Is, nel nome del quale si consumano con frequenza crescente episodi cruenti in Tunisia, Libia Arabia Saudita Corno d’Africa e strani movimenti si notano a Gaza, in Turchia. Corsi e ricorsi, un bis in Francia, oltre quello tunisino, ed una nuova vampata in Kuwait. Libia e Tunisia prossime a far da ganascia di sinistra di quella tenaglia, la cui ganascia destra è già costituita da Siria e Irak. Chi avesse voglia, può avere un’idea “geografica” dell’area interessata sulla cartina allegata. E, soprattutto, può verificare il contenuto dell’interno delle due ganasce.

La situazione è gravissima!

Strano notare l’inerzia del resto del mondo, come la cosa non lo riguardasse. Almeno finché la minaccia non arriverà troppo vicino a Israele.

In effetti, la destabilizzazione introdotta dall’unilaterale (Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica, USA conniventi) sistemazione del 1922 (trattati con Turchia Iran e Afghanistan per la determinazione dei confini meridionali dell’Unione Sovietica – armistizio con il nuovo stato turco e determinazione dei suoi confini – mandato della Società delle Nazioni alla Francia per l’amministrazione della Siria e del Libano – mandato della Società delle Nazioni alla Gran Bretagna per l’amministrazione della Palestina, Transgiordania compresa – trattato con l’Irak – imposizione di Fuad I sul trono egiziano, Paese trasformato in protettorato formalmente indipendente – imposizione dello status di protettorato indipendente anche all’Irak – concessione dell’autonomia rispetto alla Palestina alla Transgiordania – formulazione di promessa agli ebrei di una «National Home», ai non ebrei del pieno rispetto dei loro diritti – determinazione dei nuovi confini fra l’Arabia Saudita, l’Irak e il Kuwait – assoluta indifferenza verso il problema curdo) e le misure peggiorative del ‘44 (accordi di Bretton Woods), ‘47 (risoluzione 181 dell’Assemblea Generale delle NNUU relativa al Piano di partizione della Palestina), ‘94 (accordo di Marrakesh) ed i ripetuti fallimenti dei tentativi di esportare nella regione la “democrazia occidentale”, probabilmente inducono la società internazionale a prender tempo, onde non ripetere errori grossolani del recente passato e non correre il rischio di uscirne con le ossa rotte e le mani macchiate di sangue. Come puntualmente accaduto.

Se questo fosse il motivo di tanta indifferenza, sarebbe anche condivisibile e nobile.

Il problema è che ciò che turba i nostri sonni siano piuttosto le ricadute di carattere economico e finanziario della “crisi greca”, una ben diversa emergenza. Le cui cause, evidentemente, non sono esclusivamente nazionali.

Il negoziato avrebbe dovuto avere come unico obiettivo quello dell’avanzo primario per Atene, senza guardare alla riduzione del debito, che potrebbe esporre la Grecia a un numero interminabile di crisi successive. Gli attuali governanti ellenici sembrano averlo capito. Le loro proposte, infatti, sono andate proprio in questa direzione, ma i creditori hanno continuato a nutrire dubbi sulla crescita del Paese. E questa è la ragione per cui hanno rigettato le proposte elleniche su base fiscale, basate troppo sulle imposte ed in misura insufficiente sui tagli alla spesa.

Ancora una volta, quindi, i creditori cercano di influenzare la politica economica interna di un Paese, onde poterlo più saldamente assoggettare al proprio controllo.

E’ esercizio sin troppo facile quello di esaminare l’identità dei creditori e a chi siano riconducibili i loro interessi.

Anche in questo caso, tuttavia, esistono aspetti incomprensibili di tutta la faccenda.

Secondo noi la Grecia rimarrà a pieno titolo nell’Euro e in Europa. Troppo denso di incognite per i soliti creditori e investitori l’eventuale default del Paese.

Ma, se anche ciò si dovesse malauguratamente verificare, gli atti successivi della “rappresentazione” (a metà tra la tragedia e l’opera buffa) sarebbero quasi obbligati. Le iene si avventerebbero alla gola delle vittime subito dopo nell’elenco dei Pigs, dei Paesi incapaci di avere voce in capitolo e di ottemperare alle regole imposte dal “direttorio europeo” (la vicenda del latte è solo l’ultima di una lunga catena di provvedimenti che privilegiano i mercati ed i prodotti nordici: si ricordi, tra tutte, la questione del latte, i mille ostacoli alla tracciabilità delle materie e le centinaia di contraffazioni di prodotti alimentari italiani e mediterranei).

Strano, letteralmente incredibile, che i Paesi mediterranei, accomunati dall’identico interesse di promuovere non solo i propri prodotti alimentari e le tecniche produttive, ma anche più significative procedure e peculiarità nell’organizzazione delle attività socio-economiche, non riescano a fare fronte comune, ma preferiscano villaneggiarsi vicendevolmente, tipo la memorabile battuta di Aznar del 1996 «Non sono interessato a tenermi per mano nessuno».

Il fronte comune mediterraneo, che inglobi anche i Paesi delle sponde opposte, non ha alternative, è nei destini dell’intera regione, costi quel che costi, anche a rischio di qualche piccola secessione o separazione qua e la.

Enrico La Rosa

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