L’ONORE DELLE ARMI

di Alberto Osti Guerrazzi

Una volta, a chi aveva combattuto con coraggio, ma aveva perso, si riconosceva l’onore delle armi.

Credo, sinceramente, che Tsipras lo meriti.

Perché quella che ha condotto con la Troika è stata una battaglia, non una trattativa, una battaglia che ha combattuto con truppe sparute contro avversari indicibilmente più potenti.

Non so se il premier greco ha mai davvero pensato di poter contare su alleati, come Hollande o Renzi, probabilmente non si è mai illuso di poterli avere al suo fianco.

Aveva, credo, una sola arma, un ragionamento semplice, e magari in quanto Greco ha pensato che la ragione avesse ancora un peso in politica; il ragionamento era: le politiche imposte dalla troika alla Grecia negli ultimi anni hanno clamorosamente fallito (debito pubblico aumentato enormemente in assoluto e in rapporto al PIL, PIL precipitato, povertà cresciuta, et altera), dobbiamo quindi cambiarle, parliamone insieme.

Tsipras pensava, e con lui il Ministro delle Finanze Varoufakis (che sulla questione è anni che studia e propone) che bastasse mostrare i nudi e drammatici risultati del cosiddetto Memorandum per convincere i suoi colleghi europei che si, era ora di cambiare politiche.

Non sono stati ascoltati, come non sono stati ascoltati altri accademici, anche importanti come i Nobel Stiglitz e Krugman, o Fitoussi; gli accademici vanno bene nei convegni, quando possono parlare e pure proporre, ma non decidere, quando non possono far danni, cioè minacciare lo status quo; si veda ad esempio l’ampio dibattito suscitato dall’economista francese Pikkety sulla crescita delle diseguaglianze economiche, dibattito che ad oggi ha prodotto scarsissimi cambiamenti. Quando invece, come ha fatto Varoufakis, gli accademici critici con il neo liberismo propongono in sedi politiche e in veste di politici soluzioni alternative all’ideologia dominante, vengono immediatamente accusati di presunzione e cialtronaggine (l’accusa continuamente rivolta a Varoufakis e Tsipras di essere inaffidabili). Inaffidabili in che senso? Nel non voler fare tutto ciò che è richiesto dai creditori? Nel mettere i bisogni di poveri e malati rispetto a quelli degli hedge funds?), e fatti oggetto, come è capitato a Varoufakis, di una campagna denigratoria a livello internazionale pesantissima e purtroppo molto efficace (tantissimi miei amici di sinistra lo bollano come cialtrone: “non ha fatto nulla!”, cosa falsissima).

Non sono stati ascoltati; ma penso nessuno possa credere che i leader UE non abbiano capito il messaggio dei Greci; credo – anzi – che lo abbiano capito sin troppo bene, lo hanno giustamente interpretato come un tentativo di modificare lo status quo, e, come tale, lo hanno osteggiato con tutti i mezzi a disposizione, leali e meno leali.

Trovandosi di fronte al muro della troika, chiuso ad ogni minima modifica al memorandum del 2014, per cercare di aprire una trattativa mai avviata, Tsipras a luglio 2015 ha tentato un’arma disperata e democratica, il referendum.

Che la troika e gli enti in essa rappresentatisi si siano immediatamente detti “irritati” dal ricorso al voto popolare (già tentato pochi anni fa dal governo socialista di Papandreu, che, meno coraggioso di Tsipras di fronte alla faccia cattiva della troika, aveva immediatamente fatto marcia indietro) rende bene l’idea di quale sia la concezione della democrazia in seno a FMI, BCE et similia.

Oggi Tsipras, sconfitto, torna a dare voce al popolo (di qui l’accusa di populismo), che siano i cittadini a decidere se le durissime condizioni impostigli dalla troika siano o meno accettabili anche dal popolo greco; che potrà così giudicarlo e consentirgli, o meno, un altro mandato da premier.

Per questo suo rinnovato ricorrere al voto democratico nonostante la pesante sconfitta rimediata a Bruxelles, penso che Tsipras meriti l’onore della armi. Non so se a Bruxelles abbia avuto la possibilità di decidere diversamente, forse poteva abbandonare quella pseudo trattativa. Ma con le banche chiuse, gli euro agli sgoccioli e l’economia al collasso per mancanza di liquidità, con tutto il paese sull’orlo di un ben possibile crack, la pressione su di lui e il suo gruppo di assistenti doveva essere di una pesantezza difficilmente sopportabile. Penso sia ben evidente come non sia facile in simili condizioni, con sulle spalle la responsabilità del futuro immediato di milioni di persone, e con di fronte persone potenti come Merkel, Hollande, Tusk, che ti spingono in una direzione precisa, non deve essere facile decidere serenamente.

Lui ha deciso per quello che in quel difficilissimo momento gli è sembrato il male minore; se lo era davvero, lo dirà il tempo; intanto su questa scelta ha chiesto ai sui cittadini di giudicarlo.

Onore, quindi, al soldato Tsipras.

Ma la questione che lui e Varoufakis hanno inutilmente cercato di mettere all’ordine del giorno dell’Europa non è cancellata, questa battaglia contro l’ideologia neo liberista è persa, forse non ancora la guerra. Come anni fa disse Warren Buffet, il finanziere USA tra gli uomini più ricchi del pianeta, “in tutto il mondo è in corso una guerra tra ricchi e poveri, e la stiamo vincendo noi.”

Meritatamente, Repubblica del 23 agosto scorso ha pubblicato due distinte e contrastanti analisi sul caso Grecia. Questo quotidiano lo ha fatto spesso in questi mesi parlando di Grecia, di pubblicare commenti e analisi di segno opposto; è davvero lodevole, non si prende posizione, ma si permette al lettore di farsi una propria idea sulla vicenda.

Il 23 agosto è stata pubblicata un’intervista all ex ministro Varoufakis e un commento del giornalista Penati.

Quest’ultimo, fortemente critico con Tsipras, che accusa di cinismo e/o incapacità per aver trascinato tanto a lungo una trattativa ottenendo come solo risultato di portare a casa un memorandum contenente condizioni peggiori di quelle che gli erano state proposte nel febbraio 2015. L’errore è stato doppiamente grave perchè, oltre al peggioramento delle condizioni imposte alla Grecia per il prestito di salvataggio, la lunga fase di incertezza, insieme alla crisi bancaria e alla crisi di liquidità, hanno fermato e fatto retrocedere la piccola ripresa economica che sembrava avviata a fine 2014. L’errore e il cinismo di Tsipras e Varoufakis secondo Penati, è stato nell’aver posto la questione in termini politici e non puramente economici.

Mi pare che Penati sia nel giusto quando dice che da un punto di vista meramente economico, e neo liberista, Tsipras e Varoufakis hanno sbagliato, effettivamente a fine 2014 la Grecia stava pian pianino ripartendo; che poi questa ripresa difficilmente avrebbe alleviato la situazione delle classi più deboli, poco importa, gli effetti si sarebbero visti dopo, probabilmente nel medio periodo di cui parla Keynes.

In sostanza Penati sostiene che quando si parla di economia la politica si deve far da parte, o quanto meno la politica vista in un’ottica democratica; Penati infatti vede come il fumo negli occhi il referendum di giugno, lo stesso fumo che ha irritato Schauble & C.; in questo senso il fatto stesso che il memorandum di luglio sia peggiorativo rispetto a quello di febbraio si può leggere sia come dovuto al peggioramento dell’economia greca, che richiedeva misure più incisive, che come vendetta della troika.

È così che la legge Varoufakis nell’intervista pubblicata il 23 agosto; secondo l’ex ministro greco la Germania e i paesi suoi alleati hanno in corso un tentativo di colpire, attraverso la Grecia, la Francia e quello che questo Paese rappresenta, con le sue industrie pubbliche e un welfare ancora importante. Del resto la Francia, pur con dati economici piuttosto buoni (i cosiddetti “fondamentali”) da anni è oggetto di attacchi da parte della stampa neoliberista (ancora nettamente maggioritaria a livello internazionale) in quanto accusata di avere un’economia debole e di non fare al proposito le famose “riforme” (Dio, le riforme!); non dimentichiamoci che qualche anno fa il governo Jospin fu l’autore di una terrificante bestemmia (dal punto di vista neoliberista): la riduzione dell’orario di lavoro!

Ciò che di fondo Varoufakis afferma nell’intervista è l’esatto opposto di quanto sostiene Penati, e cioè che la questione greca, e non solo greca, è politica prima che economica, e che le scelte economiche imposte alla Grecia sono state politiche, e come tali vanno analizzate e, se non si è d’accordo, contrastate.

Credo sia difficile affermare il contrario: quando si chiede ad un Paese di ridurre il salario minimo, e di permettere i licenziamenti collettivi ma non la contrattazione collettiva, quando si vuole privatizzare tutto, dagli aeroporti alla sanità e all’istruzione, si chiede di fare scelte che sono eminentemente politiche. Varoufakis ne è convinto, e nell’intervista afferma di voler restare in politica, per combattere scelte che considera sbagliate. Non vedo come si possa condannarlo.

A proposito, pochi giorni fa sono stati privatizzati una dozzina di aeroporti greci, li ha acquistati una società di nome Fraport. La nazionalità? Ma tedesca, naturalmente. Ecco, forse questo aiuta a spiegare il perchè di tanta insistenza sulle “riforme”.

Alberto Osti Guerrazzi