di Nina Meloni
Quello che propone Yasmina Khadra non è un libro semplice. Una scelta ardita, vestire i panni del Rais Muammar Gheddafi nelle sue ultime ore, prima che venisse catturato e ucciso. Non ci sono riferimenti politici o geopolitici se non quelli che affiorano nei discorsi, nei ricordi, nelle immagini di una città distrutta, Sirte. Tuttavia, è solo uno sfondo, quello socio-storico geopolitico, si percepisce, si assapora, si deduce, stuzzicherà la curiosità intellettuale di chi, alla fine, proverà il bisogno di approfondire. Un accenno a Ben Ali, (vigliaccamente) in fuga dalla Tunisia, un altro al combattivo Iraq di Saddam e alla fine, miserabile, di quest’ultimo.
“L’ultima notte del Rais” dipinge il ritratto di un uomo carismatico e ambizioso, amato (se non venerato) come salvatore della Patria ed è anche il ritratto dell’assassino senza scrupoli, compiaciuto della propria cattiveria, inconsapevole della sua follia, di un uomo vendicativo convinto di avere una missione divina, pronto a giustiziare parenti e amici per un nonnulla.
Attraverso i ricordi del “fratello Guida”, e quelli di qualche altro personaggio, si sbircia nella Libia di un tempo. Povertà, dignità e saggezza antica illuminano un passato in cui la maggior parte dei cittadini libici aveva poco, eppure, come dice il tenete colonnello Brahim Trid a proposito del nonno pastore: “Ogni mattina si alzava all’alba per guardare il cielo tingersi di rosso. Diceva che non aveva bisogno di nient’altro… È la prodezza che avrei voluto compiere, signore. Essere come mio nonno: un uomo senza preoccupazioni, pago dei piccoli piaceri offerti da una esistenza frugale” (pag. 126). Questo tipo di povertà e di semplicità è in netto contrasto con una borghesia ricca, arrogante, privilegiata e corrotta e che il Colonnello, con il suo colpo di Stato del 1969, ridimensionerà.
La narrazione sa essere coinvolgente e proietta il lettore proprio lì, come uno spettatore davanti ad una pièce teatrale, inchiodato a guardare i personaggi che si incontrano, si scontrano tra loro, che vivono il tempo dell’attesa, imbevuto di riflessioni e di ricordi, di rimpianti e di rimorsi, un tempo pesante come un macigno e, allo stesso tempo, febbrile. Un turbinio di emozioni scandiscono queste ultime ore, in una lotta sfinente tra la speranza di farcela e la paura della fine che attende i protagonisti.
“Ogni minuto che passa porta via con sé una parte di noi” penserà il Rais, la voce narrante del libro che, con i suoi sbalzi di umore, con i suoi incubi e le sue manie, sembra far salire i fedelissimi che lo circondano, ed il lettore, sopra a montagne russe emotive: nel giro di poche righe Gheddafi passa dalla calma alla rabbia, per poi sprofondare nella disperazione, fino a vestire i panni del crudele dittatore che, in questo ultimo atto, sembrano quasi ridicoli, grotteschi. Lo si riesce ad immaginare perfettamente, quel Muammar Gheddafi che arrivò a Roma nel 2009 con le sue amazzoni, accolto con tutti gli onori, ricevuto dalle più alte cariche dello Stato Italiano con il quale, solo l’anno prima, aveva firmato un accordo di amicizia ed alleanza. In queste sue ultime ore il Rais di Yasmina Khadra è incredulo: non riesce a capacitarsi del tradimento del suo popolo e di come, adesso, lo stia braccando. Allo stesso modo, riflette sui “voltafaccia del tempo” e su come, appena pochi mesi prima, l’Occidente gli stendesse “tappeti rossi sotto i piedi”, ricevendolo con tutti gli onori. Dove sono finite le masse acclamanti? I cortigiani? Dove sono gli alleati e gli amici? “Paesi con cui non avevamo mai avuto problemi ci seppelliscono sotto le loro bombe. Persino il Qatar si è invitato alla festa”.
All’incredulità del Rais, si contrappongono le spiegazioni che, nel corso di queste ultime ore, alcuni personaggi osano confessare al “fratello Guida”. Seppure scateneranno l’ira di Gheddafi non sembrano, alla fine, del tutto inascoltate, ma confluiscono a tratteggiare la figura delle ultime pagine del libro. Si dimentica il personaggio storico e resta l’uomo. L’uomo che ricorda i nipotini e il figlio uccisi in un bombardamento delle forze coalizzate; l’uomo che aspetta il ritorno del primogenito, che è felice di vederlo anche se l’incontro avviene nel pieno di uno scontro armato. L’uomo che, istintivamente, si nasconde e che poi viene ucciso da una folla in delirio che sembra avere poco di ciò che contraddistingue l’umanità.
Sirte è distrutta. Gheddafi è morto. Appare chiara la crudele inutilità di una guerra, la violenza, il senso di ingiustizia e di terrore. Il trionfo di ciò che di orribile è capace di produrre l’uomo.
Ma è troppo tardi.
“L’ultima notte del Rais” non è un saggio socio-antropologico, non ha pretese geopolitiche o storiche, ma sa far riflettere.
Nina Meloni
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