Nella splendida cornice del lungotevere Flaminio, sulla riva di un Tevere inondato dal sole tiepido del primo giorno di marzo, si è tenuto il convegno organizzato dall’Associazione culturale denominata “Osservatorio Mediterraneo di Geopolitica e Antropologia>, OMeGA, dal titolo «Le molte guerre della Siria – Alleanze inedite, emigrazione, comunicazione».
Moderati e pungolati con abilità e saggezza dall’Ambasciatore Giovan Battista Verderame, vice Presidente del Circolo di Studi Diplomatici, hanno sviluppato le tematiche connesse con il tema del convegno, affascinando un pubblico attentissimo ed ammutolito dall’interesse in esso suscitato, Germano DOTTORI, Docente, ricercatore ed esperto in Politica Internazionale e Sicurezza; Mario MAIOLINI, Ambasciatore, Socio del Circolo di Studi Diplomatici, incarichi a Damasco, D.G. Emigrazione, Riad (Amb), Capo Rappresentanza permanente disarmo a Ginevra; Maurizio MELANI, Ambasciatore, Socio del Circolo di Studi Diplomatici, già Direttore Generale al Ministero degli Esteri, Ambasciatore in Etiopia, in Iraq e al Comitato Politico e di Sicurezza dell’UE. Docente di relazioni internazionali.
Turchia, Siria, Irak, Stato islamico, Europa, Stati Uniti, Islam e tutte le sue anime, David Fromkin, trattato di Sèvres, T. E. Lawrence sono solo alcuni tra i numerosi argomenti trattati, dibattuti, approfonditi.
Il convegno ha pienamente soddisfatto la curiosità del pubblico, che, al termine, sorseggiando l’aperitivo, ha potuto intrattenersi con i relatori chiarendo eventuali residui dubbi.
Riportiamo, di seguito, l’intervento iniziale del moderatore, Amb. Verderame, l’incipit del Convegno
Presentazione del moderatore, Amb. Giovan Battista Verderame
Situazione in parte resa meno critica dall’intesa russo-americana per la cessazione delle ostilità, alla quale sembrano aver aderito sia il regime che l’opposizione moderata. I nostri panelisti ce ne diranno certamente qualcosa di più.
A titolo di introduzione al nostro dibattito, vorrei svolgere alcune considerazioni di carattere generale.
La prima: abbiamo spesso la tendenza a dimenticare che la crisi siriana affonda parte delle sue radici nella stagione delle c.d. “primavere arabe”. Insieme con quella libica, essa è la più lunga e complessa di quelle messe in moto dalla scintilla scoccata in Tunisia e rapidamente propagatasi in tanta parte del mondo arabo. A distanza di cinque anni da quegli avvenimenti, con tutto quello che è successo nel frattempo, ci sono ancora molte domande che attendono risposta. Ne indico alcune:
- Abbiamo avuto una percezione sufficiente del fatto che i rivolgimenti che si annunciavano in quella parte del mondo avrebbero potuto avere effetti profondamente destabilizzanti in un quadrante estremamente complesso, pieno di contraddizioni e comunque cruciale per gli equilibri complessivi?
- In che misura, nel valutare quello che stava accadendo, siamo stati condizionati dai nostri modelli culturali?
- Come possiamo mettere le nostre società al riparo dall’influenza che su una parte di esse possono esercitare i fenomeni di radicalizzazione nel mondo arabo? Come contrastare la capacità di proselitismo che l’estremismo islamico sta dimostrando di avere, e qual è, in questo quadro, l’influenza della strategia di comunicazione che esso ha saputo sviluppare?
- Con particolare riferimento alla crisi siriana, sarebbe stato possibile un atteggiamento maggiormente proattivo dell’occidente nelle sue fasi iniziali, quando essa era ancora controllabile?
- In quale misura nella crisi siriana, accanto a quello della divisione del mondo arabo fra sciiti e sunniti, hanno giocato anche le divisioni nel campo occidentale e le difficoltà di comprensione fra americani e russi?
La seconda: è evidente che la crisi siriana non è che un tassello del grande gioco in corso per la supremazia nell’area. Gioco nel quale l’occidente si è profondamente coinvolto, anche se non vedo come avrebbe potuto farne a meno, con l’accordo con l’Iran e con il conseguente sdoganamento di Teheran. Per controllarlo, e per evitare che deflagri in confrontazioni aperte, il ritorno ad una sorta di condominio russo – americano, ammesso che sia possibile, sarebbe sufficiente, oppure gli attori regionali hanno ormai acquistato autonomia sufficiente per sottrarvisi? Il problema non si pone solo con riferimento ai rapporti fra l’occidente e il mondo arabo, ma anche a quelli interni al mondo occidentale: e penso, in particolare, agli atteggiamenti a dir poco ambigui della Turchia. Ed ancora: come potrà giocare, in questo quadro, il risultato (se noto) delle elezioni in Iran?
La terza: esistono le condizioni politiche e culturali perché l’ISIS venga percepito non solo dall’occidente, ma anche dai principali attori del mondo arabo, come un pericolo in sé, e non come un paravento al riparo del quale scaricare altre tensioni e perseguire altri obiettivi,?
Su questi interrogativi lascio la parola ai componenti del panel, certo che dai loro interventi tutti potremo trarre validi elementi per orientarci su temi così complessi, ma anche così cruciali per i nostri tentativi di comprendere il mondo che ci circonda.
La redazione