di Ferruccio di Paolo e Giovanni Ferrari
Se ora, proprio ora, mi alzassi dalla scrivania, andassi in cucina a prendere quel bel coltellaccio affilato che uso un po’ per tutto, un bel coltello dalla bella aguzza punta, e con quello mi recassi nel più vicino centro commerciale, pieno, strapieno in questa calda mattinata di luglio, chi potrebbe fermarmi? Chi potrebbe evitare che urlando a pieni polmoni Totti è grande e Falcao lo annunciò, io colpisca uomini e donne, bambini, chiunque mi si parasse davanti?
Chi potrebbe evitare che io agisca? Nessuno, perché io sono nessuno, un non noto, un non segnalato, un non controllato. La lezione è semplice: un individuo, determinato a compiere un atto contro l’incolumità altrui, non è fermabile se non dopo che l’atto è stato compiuto.
Certo, nel caso di Monaco, possono non essere state organizzazioni ad agire, come invece in quelli di Parigi e Bruxelles (e di Madrid e di Londra e di New York e di Nizza) possono essere o non essere quindi cani sciolti o fuori di testa; ma una guida, un indirizzo mentale, una sollecitazione profonda dell’anima quelli che si fanno esplodere o uccidono in nome di Totti ce l’hanno. È anche vero, poi, che a Monaco il “cane sciolto” non è uscito per strada con un coltello, ha prima dovuto procurarsi un’arma, le munizioni. Ma questa parte della storia ci porterebbe ad una lunga disquisizione sulla circolazione libera o regolamentata delle armi.
E invece ci sono poche armi per combattere questo scontro. Se la prevenzione può fare molto (e fa molto), non può, però, fare tutto. Il rischio zero, in questo come in altri pericoli, è una impossibile utopia: sfido, come dicevo prima, il più capillare servizio segreto a intercettare i miei pensieri mentre prendo il coltello dal cassetto della cucina…
Oltre alla prevenzione l’altra forte arma è la preparazione. Preparazione intesa come capacità subitanea di risposta immediata, come riduzione massima del danno, come limitazione del potenziale offensivo che può essere messo in campo quando la nostra prevenzione è stata bucata.
Preparazione che si realizza attraverso addestramento costante, esercitazioni al fine di rendere delle procedure di risposta talmente automatiche da permettere a chi le sta attuando di conoscerle talmente bene da poterle adattare alla situazione che si trova davanti. Perché un attentato contiene in sé talmente tanti fattori imprevedibili e tante incognite da dover essere affrontato momento per momento.
La preparazione è anche studio capillare delle azioni precedenti. Analizzare i minimi dettagli. Tornando alla metafora calcistica possiamo dire che dovrebbe somigliare a quella quasi maniacale attenzione con cui si studiano le partite della squadra avversaria prima di un incontro, è un continuo chiedersi “e se loro si dispongono così durante un calcio di punizione, noi come mettiamo i nostri uomini”.
Questa preparazione a Monaco si è vista: sono stati messi in campo step by step i principi basilari della protezione collettiva, l’evacuazione ordinata e organizzata del “cratere”, la messa in sicurezza del territorio con la chiusura di tutti i punti sensibili per impedire eventuali attacchi successivi, l’invito alla popolazione a rimanere nei luoghi in cui si trovava, o di raggiungere il prima possibile un posto al chiuso. Il tutto guidato da una comunicazione snella, efficace, già sperimentata in precedenti esercitazioni gestita su tutti canali: media tradizionali e social network. I messaggi frequenti e a cadenza regolare, emessi dall’account twitter della Polizia di Monaco e gli hashtag di riferimento hanno permesso alla popolazione di reagire seguendo contemporaneamente le indicazioni su come comportarsi e gli aggiornamenti su quello che stava accadendo.
L’invito, tempestivo e più volte ripetuto, a non diffondere video amatoriali ma, anzi, a inviarli ad uno specifico indirizzo indicato dalla polizia per contribuire allo svolgimento delle indagini.
L’utilizzo dei nuovi media è stato affiancato da un coordinato utilizzo dei media tradizionali, sfociato nella conferenza stampa delle due di notte tenute dal Capo della Polizia di Monaco Hubertus Andrae. Una conferenza che ha lasciato trasparire la profonda commozione per quanto accaduto e la determinata volontà di risolvere ogni problema. Andrae ha parlato senza recitare, mettendo in ogni sua affermazione tutta la commozione, l’impegno, la competenza. Ha commemorato le vittime, ha descritto le attività svolte, ha presentato l’aggressore, ha ammesso le difficoltà, ha rimandato ad un incontro certo il giorno dopo (precisando anche l’orario della successiva conferenza stampa), rimandando a quell’occasione la possibilità di rispondere alle domande ancora senza risposta.
Sia sul fronte operativo, sia su quello delicatissimo della comunicazione sono tutte azioni che non si improvvisano, ma sono frutto di una attenta coordinata preparazione.
Concludendo, permetteteci di dissentire su alcune definizioni giornalistiche ascoltate in questi giorni che descrivevano nelle ore immediatamente successive all’attentato una “Monaco svuotata e in preda al panico”. In preda al panico? Panico è quando la gente assalta i supermercati per fare le scorte, quando si buttano alla rifusa le cose in macchina e si fugge scriteriatamente creando caos, incidenti, ingorghi, panico è una massa di persone che si riversa per strada senza sapere cosa fare. Quella Monaco “svuotata”, con la popolazione in casa o nei posti di lavoro, così come a Bruxelles due mesi fa, è la risposta corretta e ordinata di fronte a un pericolo. Una risposta dettata da una sana paura di fronte al pericolo, che non può assolutamente essere definita panico. È l’ancestrale paura che portava i nostri progenitori a rifugiarsi in una grotta alla vista di un predatore, lasciando guerrieri e cacciatori a difendere il territorio, è la paura che garantisce la sopravvivenza della specie.
Ferruccio di Paolo e Giovanni Ferrari