di Luigi R. Maccagnani
Nella tarda sera del 20 Gennaio un’automobile è esplosa nel quartiere centrale di Dahra, non lontano dalla sede dell’Ambasciata Italiana: nell’ipotesi di un attentato, l’eventuale obiettivo non è certo.
La macchina è esplosa in via Sidi Issa, davanti all’hotel Libia Palace, utilizzato da milizie, e di fronte alla sede del Ministero della Pianificazione del contestato Governo di Unità Nazionale guidato da Fayez Serraj.
Non ci sono ad oggi rivendicazioni, morti il guidatore ed un passeggero.
Nella zona, centralissima, hanno sede diverse ambasciate – la più vicina all’esplosione quella (chiusa) dell’Egitto. L’ambasciata italiana – riaperta recentemente- è a poco più di 400 metri dall’esplosione, in una traversa di via Sidi Issa. In ambiente libico prevale la tesi che il target fosse effettivamente l’edificio del Ministero della Pianificazione, visto che già nelle passate settimane miliziani del dimissionato “governo di salvazione”, guidato da Khalifa Ghwen, avevano tentato di occupare diversi dicasteri nella stessa zona, che fra l’altro non è distante dalla base navale utilizzata da Serraj.
Difficile comunque dare un connotato certo all’evento, l’automobile è scoppiata con le due persone dentro quando parcheggiata in un posto che non poteva colpire nessuno salvo qualche passante occasionale e la zona è stata immediatamente isolata, l’ accesso ai giornalisti impedito fino a quando l’area non fosse stata completamente ripulita dei detriti, e ad oggi non ci sono dichiarazioni ufficiali, sarebbe comunque interessante conoscere almeno chi fossero le due persone a bordo. La sorveglianza intorno all’Ambasciata italiana è stata comunque rinforzata.
Il destino della Libia non in mani libiche
La situazione in Libia è certamente caotica, ed il Governo di Unità Nazionale (GNA, Government of National Accord) non riesce a conquistare popolarità, anzi sembra via via perdere consenso, nonostante il supporto (?!) internazionale.
In una recente dichiarazione, Ibrahim Dabbashi, già Rappresentante Permanente della Libia presso le Nazioni Unite, da giugno 2013 (quando fu nominato dal parlamento Libico, al tempo “internazionalmente riconosciuto”) fino a maggio 2016, quando fu rimosso da Serraj, afferma con convinzione che il destino della Libia è ora deciso da Londra, Washington e New York (ONU), con il supporto di Parigi, Roma e Berlino. La Libia è vittima di ricatti ed umiliazioni, e versa in ristrettezze economiche con diffusa povertà, difficoltà sanitarie, mancanza di elettricità.
Difficile dissentire, quando la “soluzione diplomatica” promossa da ONU e dalla compagine internazionale sembra piuttosto una scusa per disimpegnarsi (vedi Siria o anche Israele-Palestina).
In Libia il Parlamento era stato eletto nel 2012 con la partecipazione dell’85% degli aventi diritto, poi confermato nel 2014, sebbene con una partecipazione inferiore (HoR, House of Representatives), e “riconosciuto” dalla comunità internazionale fino a dicembre del 2015. Ma il riconoscimento e la legittimità sono rimasti virtuali, tant’è vero che nessun aiuto concreto è stato dato al Paese, anzi il Governo Internazionalmente Riconosciuto dal 2012 al dicembre 2015, quando il riconoscimento è andato al GNA, è stato sottoposto alle stesse restrizioni applicate alle varie fazioni e milizie.
Con il nuovo presidente Americano, Donald Trump, e l’entrata in gioco della Russia – vedi l’incontro del gen. Haftar con il Ministro della Difesa Russo avvenuto a bordo dell’incrociatore Kuznetsov (mosso dal fronte Siriano al largo della Cirenaica) può darsi che la posizione “internazionale” prenda più consistenza, ma certo ha ragione Dabbashi nel dire che i Libici debbono prendere consapevolezza che spetta a loro risolvere i problemi del Paese, perché in fondo a nessun altro importa.
Poi è cambiata l’amministrazione Americana e, a quattro giorni dal giuramento di Trump, è stata organizzata una conferenza bilaterale a Washington DC per il 16 Febbraio: “Libya-US relations 2017: New Vision, Hope, and Opportunities”.
Per gli Stati Uniti coordineranno la conferenza il nuovo Advisor per la politica estera, Whalid Phares, e l’ex inviato speciale a Tripoli per l’amministrazione Obama, Jonathan Winer.
La parte libica sarà rappresentata, almeno questi sono i nomi al momento, da Fawzi Farkash – già presidente della Libya Investment Authority, Ali Hebri, governatore delle sede orientale della Banca Centrale libica (entrambi di nomina HoR -Tobruk, e non riconosciuti dal Governo di Unità Nazionale sostenuto dall’ONU), oltre il presidente della NOC (National Oil Corporation), i passati Primi Ministri dell’allora Governo di Transizione, Ali Zeidan e Mahmud Jebril, e Zahra Langhi, presidente della Libyan Woman’s Platform for Peace.
Nessuno della compagine referente a F. Serraj.
Luigi R. Maccagnani