22 gennaio, la Palestina al Farnese Persol

di Enrico La Rosa

 

Le domeniche ecologiche di Roma coincidono, ormai, una volta al mese, con i tuffi nel Mediterraneo che Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo) regala ai suoi amici.

Contrassegnata dal crescente interesse e gradimento del pubblico, queste domeniche all’ombra di un Giordano Bruno, che domenica scorsa, dopo il terzo evento, abbiamo visto un po’ corrucciato.

I contenuti antropologici e “sentimentali” di Alessandro Vanoli «Quando guidavano le stelle» e la panoramica storica su schiavi e corsari nel Mediterraneo, offerta dal prof. Salvatore Bono dell’Università di Perugia ci hanno intrattenuto nella tarda mattinata di una domenica di novembre e di una di dicembre rispettivamente.

Il 19 febbraio Ugo Tramballi ci intratterrà sulla guerra in Siria “tra dittatura e opposizioni”. Meglio sarebbe dire tra diversi schieramenti contrapposti e con rimestatori sinora nascosti. Sarà difficile che se ne possa parlare come di evento alle spalle: a nostro modesto avviso la guerra in Siria è destinata ad avere una lunga coda, quanto intensa dipenderà da tante concause. In marzo sarà la volta della Libia, in aprile del Jihadismo e, dulcis in fundo, in aprile la politica USA in Medio Oriente.

2901201701Il 22 gennaio è stata la volta della madre di tutte le crisi, della crisi mediterranea che ha pesanti ricadute sulla pace del mondo intero e sugli assetti mediorientali, il conflitto arabo-israeliano.

I due relatori in programma, una garanzia di obiettività. Stefano Citati del Fatto Quotidiano, fra i sostenitori dell’iniziativa insieme a Castelvecchi editore, lo stesso cinema Farnese Persol e la libreria Fahrenheit, e Claudia De Martino, ricercatrice storica di Unimed, esperta di Israele e delle tematiche mediorientali, che ha offerto un excursus storico fedele e circostanziato. Una ricostruzione meticolosa e obiettiva, che, tuttavia, ha manifestato alcune innocenti sbavature allorché, citando le “restituzioni” di territorio da parte dello stato d’Israele, le ha definite una volta “cessioni” ed una seconda volte “rilascio”. Si è trattato piuttosto della restituzione di parte dei territori che Israele ha occupato durante i conflitti armati, buona parte dei quali ancora oggi in suo possesso. E’ molto probabile l’errore del sottoscritto, ovviamente, ma si ha motivo di credere che la tendenza oggi prevalente nella trattazione degli aspetti giuridici dei conflitti escluda il vantaggio territoriale e l’occupazione di territorio. Se non erro, credo che nessuna sottrazione di territorio possa essere giustificata dall’esito dei conflitti armati. Questi ultimi possono essere legittimati, come estrema ratio, dalla necessità di ripristinare la legalità o la pace, di difendere gli interessi della comunità internazionale, di isolare focolai di crisi. Ma in nessun caso il loro esito può comportare la sottrazione di territorio, o giustificare la modifica dei confini degli stati. Se ciò fosse vero, non sarebbe possibile l’occupazione di territorio palestinese o siriano, o libanese da parte di Israele. E, se anche clamorosamente sbagliassi, esiste pur sempre un livello etico, al di sopra di quello giuridico, che comunque condanna queste pratiche “occupazioniste” secondo i nostri valori occidentali. L’ultimo aspetto della relazione della De Martino che ci ha lasciati perplessi, è stata l’affermazione circa la “prevalenza ebraica storica nel territorio palestinese”. E’ possibile che io abbia studiato su testi differenti da quelli della relatrice, ma i documenti ufficiali inglesi (se non gli unici, certamente i più autorevoli in materia) riferiscono che nel 1881 gli ebrei in Palestina erano 15.000, contro i 400.000 musulmani e i 42.000 cristiani: un 3,3% della popolazione totale, molto simile e talvolta inferiore ad analoghe presenze in molti altri Stati europei, o in molte regioni dell’Est degli Zar; al pari, se non inferiore, di altre minoranze etniche o religiose presenti un po’ dappertutto, come eredità della storia delle peregrinazioni del genere umano. I Palestinesi arabi alla fine del XIX secolo sono già residenti nella Regione da molti secoli, gli Ebrei vi arrivano in massa e frequenza crescente a partire dalla fine degli anni ’20 del XX secolo. Il censimento del 1922 indica in 752.048 unità la popolazione totale della Palestina; di questi, 589.177 sono musulmani, 83.790 ebrei (14,22%) e 71.464 cristiani. Nel 1931 gli abitanti sono 1.033.314, di cui 759.700 musulmani, 174.606 ebrei (16,9%) e 88.907 cristiani. Nel dicembre 1944 gli abitanti sono 1.739.624, di cui 1.061.277 musulmani, 553.600 ebrei (31,82%) e 135.547 cristiani; l’aumento demografico “naturale” fu, in percentuale, 96% per i musulmani, del 71% per i cristiani, del 26% per gli ebrei; l’aumento demografico attraverso l’immigrazione, in percentuale, 4 per musulmani, 29 per i cristiani, 7448 per gli ebrei. I dati ufficiali disponibili, britannici, indicano i seguenti quantitativi di immigrati ebrei nella prima metà del XX secolo: 1919/0 – 1920/5.514 – 1924/12.856 – 1925/33.801 – 1933/30.327 – 1934/42.359 – 1935/61.854 – 1936/29.727. Aridi numeri che, tuttavia, hanno l’indubbio pregio di dimostrare analiticamente, al di là dei facili, banali e scontati discorsi, ciò che è ormai noto, ossia che sul finire del XIX secolo, in concomitanza con la costituzione del movimento sionista ad opera di Max Nordau e Theodor Herzl nel congresso di Basilea del 1896, assertori del diritto degli ebrei di fondare uno stato ebraico, si verificarono i primi afflussi di ebrei nella “Siria meridionale”, come per secoli è stata definita la terra nella quale diverse famiglie palestinesi, come i Khalid, erano in grado di risalire con testimonianze sicure della propria genealogia sino alla conquista islamica del VII secolo. Gerusalemme era probabilmente il miglior esempio architettonico di città medioevale islamica in Medio Oriente: una città che portava i segni di tutte le dinastie musulmane che l’avevano governata. E non possiamo dimenticare che “Desert Shield”, ossia la prima guerra del Golfo, è stata formalmente combattuta contro le rivendicazioni di Saddam Hussein sul Kuwait risalenti ad appena 378 anni addietro. La terra di Palestina fu non ebraica a partire dalla conclusione delle due grandi rivolte ebraiche nel 70 dC e nel 135 dC, ossia per quasi 19 secoli, senza considerare che sembra ormai accertato che gli antichi ebrei non fossero neppure originari di quell’area, ma fpastori nomadi provenienti dal sud, verosimilmente dalla penisola arabica, e ciò – pertanto – escluderebbe ogni possibilità di identificare un legame tra ebrei e Palestina.

Errori, tuttavia, non solo possibili, ma anche comuni, che generalmente si commettono nel narrare “fatti della Palestina” nel mondo occidentale, anche colto ed informato, nel quale, in tema di ebrei, si procede con molta cautela, onde non incorrere nella puntuale accusa di antisemitismo, e si ricorre piuttosto a parole come “diaspora”, “esodo”, “olocausto”, “ghettizzazione”, “persecuzioni”, “discriminazioni”. La prudenza è tanta anche quando si parla di Israele, non di ebraismo, pur essendo due problematiche molto diverse. Non era in discussione la storia degli ebrei, né la dottrina ebraica, semplicemente la scomoda presenza di tanti palestinesi in un territorio rivendicato dallo stato di Israele. Ma la dottoressa, che ci è apparsa molto tesa, era rimasta forse turbata dall’ispezione di sicurezza eseguita in sala da uomini probabilmente dell’antiterrorismo prima dell’ingresso del pubblico. E ciò, probabilmente, a causa di qualche presenza “speciale”.

Sul palco, accanto al prof. Rizzi, impareggiabile regista dell’evento, e ai due bravi relatori, abbiamo registrato la presenza inattesa e non programmata dell’avvocatessa Barbara Pontecorvo.

Da questa inattesa presenza sono scaturite le più macroscopiche inesattezze della mattinata, quelle di carattere “ideologico”. Non abbiamo fatto in tempo a registrarle tutte, ma sarà sufficiente limitarsi alla citazione dell’“esodo dei palestinesi” in sostituzione dei più appropriati “espulsione”, “cacciata”, “epurazione”, “massacri”  compiuti al fine di realizzare quella che è stata, di fatto, una vera e propria pulizia etnica, che oggi viene condannata dalla Corte di Giustizia internazionale, con la reclusione degli artefici. Parlando dei suddetti profughi, ha lamentato il mancato assorbimento degli stessi da parte dei Paesi arabi ospitanti. La signora ignora, evidentemente, la condizione psicologica fondamentale del migrante, in ogni angolo della Terra, la speranza di poter un giorno rientrare in patria in condizioni economiche migliorate, nella casa che fu dei genitori, che spera di lasciare un giorno ai figli. Ecco perché, a parte una piccola percentuale, i migranti, se anche non riescono a ritornare, tuttavia non si integrano completamente e continuano a vivere in uno stato di precarietà generalizzata, in gruppi nazionali separati e appartati all’interno dei Paesi che li ospitano. D’altronde, non ammettono gli stessi Ebrei essere stata l’aspirazione del loro popolo per più di 2000 anni? E perché i Palestinesi scacciati dalle loro abitazioni e dalla loro terra, dovrebbero integrarsi in paesi non propri?

Abbiamo anche rilevato che la signora ha ripetutamente usato la definizione di “stato ebraico”. E, in presenza di questa ricorrente affermazione, pur fatto salvo il diritto di chiunque di chiamarsi come vuole, non riusciremo mai a capire i motivi per i quali l’Europa abbia potuto accettare, anzi assecondare, attraverso l’operato di Francia e Gran Bretagna, una simile aspirazione. Quella stessa Europa passata attraverso il lungo e travagliato processo di secolarizzazione compiuto solo alla fine delle guerre religiose, fra il 1618 ed il 1648 con la conclusione della Guerra dei Trent’anni e la successiva pace di Vestfalia; maturata nel suo pensiero nel XVIII secolo attraverso l’Illuminismo, nato in Inghilterra, sviluppatosi nella Francia della Rivoluzione e diffusosi in tutta Europa e successivamente in America. Quella stessa Europa che non esita a rimproverare al variegato mondo islamico il deficit di laicità e l’eccesso di ispirazione religiosa nella vita degli Stati e dei popoli.

 

Enrico La Rosa