Cosa bolle in pentola? Storie di cibo e malocchio accompagnate da cena tripolina con Hamos Guetta.

di Anna La Rosa

0902201701Ecco un’interessante e meritevole iniziativa alla scoperta della cultura mediterranea, della sua storia e delle identità – così eterogenee così profondamente simili – che la compongono.

Un viaggio di scoperta, quello delle cene tripoline, attraverso i sapori, gli odori, la musica, le immagini e i racconti.

Promotore dell’iniziativa Hamos Guetta, giornalista e scrittore, memoria italiana della comunità ebraica tripolina che, da qualche anno, ricostruisce, attraverso la cucina, un frammento di storia e di cultura e lo condivide con i tanti, ebrei e non, appassionati di cucina o semplici curiosi, che partecipano ad i suoi eventi. Lo scorso 6 febbraio, in un luogo simbolico come una scuola (gli asili infantili israelitici di Roma), dove i bambini muovono i loro primi passi nell’educazione, nella formazione, nella cultura, nell’incontro con il prossimo, si è svolta la cena: “cosa bolle in pentola? Storie di cibo e malocchio accompagnate da cena tripolina con Hamos Guetta”.

Prima del sapore, si viene accolti dal profumo e dalla musica tradizionale che, per chi ha attraversato un Paese del Nord Africa, suona familiare. Sulla parete, si susseguono foto di vita quotidiana, di pietanze, di luoghi che ricordano l’Algeria, la Tunisia, il Marocco, ma anche tanti paesi del sud Italia. Si prende posto vicino ad altri commensali, riuniti intorno ad un tavolo – per una sera – per condividere la cucina tripolina.

Il cibo, durante questi appuntamenti, diventa patria, ricordi, narrazione e i “tavoli sociali” luogo di incontro, di condivisione. Si spartisce lo stesso vino, la stessa acqua, lo stesso cibo, lo stesso spazio simbolico della tavola e si comprende, a fine serata, che si è stati non solo spettatori, ma anche, al pari degli ingredienti delle pietanze, piatti in cui sapori anche molto differenti tra loro si mescolano alla perfezione, conservando ognuno il proprio specifico gusto.

Il cibo come linguaggio: racconta di quando si inventavano pietanze con poco, di come un sapore servisse – simbolicamente – a svezzare i neonati introducendoli in una cultura, di una bieta stufata e concentrata dal colore verdissimo, a ricordare la primavera nei mesi più caldi e aridi. E, in fondo, il cibo si lega strettamente al linguaggio, perché Hamos Guetta interviene per pronunciare il nome di ciò che si è appena finito di mangiare, per legare ogni piatto ad un ricordo, ad una usanza sociale, religiosa, identitaria. Così impariamo che il pesce in salsa piccante, che ci ha appena stupiti, è l’haraimi e che il mafrum è una deliziosa polpetta e che, tra una portata e l’altra, con il mesaiier, pinzimonio tripolino, ci si rinfresca la bocca.

La tradizione di un popolo passa anche attraverso il saper tramandare e riprodurre il modo di cucinare, un patrimonio che viene trasmesso di generazione in generazione e che è intrinsecamente legato all’identità culturale.

Tra l’arrivo di un piatto e l’altro, intanto, anche ai tavoli ci si scambia pareri e ricordi e usanze, che solitamente sono simili, ma non uguali anche tra gli stessi ebrei, e la serata diventa un viaggio nel viaggio, o meglio, nei viaggi, tanti quanti i presenti nello spazio di un tavolo.

La signora al mio fianco mi racconta dell’infanzia in Congo, della fuga rocambolesca da quel Paese dove si trovavano bene e dove hanno lasciato tutto ciò che avevano, ma dice anche che era giusto che cercassero l’indipendenza. I suoi figli sono sparsi nel mondo e due di loro non hanno sposato ebrei e: “non importa, basta che siano felici”.

La serata termina con dei dolci fantastici, il the con arachidi tostate, il shai bel cacauia, e con un interessante e simpatico racconto sulla superstizione e il malocchio secondo gli ebrei tripolini. Impossibile impedire alla mente di non pensare alle pagine di “Sud e magia” del famoso antropologo Ernesto De Martino, alle pratiche magiche di un mondo popolare cattolico meridionale per risolvere gli identici affanni del mondo ebraico tripolino di cui parla Hamos Guetta: il matrimonio, la gravidanza, neonati (possibilmente maschi) sani e forti, la salute.

Alla fine, si va via sazi di molti sapori e colmi di storie.

Un’iniziativa da riprodurre raccontando, attraverso la cucina, le tradizioni, la religiosità, dei popoli del Mediterraneo: un luogo ricco di identità, ognuna ingrediente prezioso, speciale ed unico.

Anna La Rosa (*)

(*)

Laureata in Sociologia, indirizzo socio-antropologico e dello sviluppo presso “La Sapienza” Università di Roma, un corso di perfezionamento in Antropologia Sociale e Culturale, un Master in Intelligence & Security. Per dieci anni è stata ricercatrice del Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS), come project officer dell’Osservatorio per la Sicurezza Nazionale. Ha pubblicato alcuni saggi per la casa editrice LED, per la Critica Sociologica e Limes tutti incentrati sul terrorismo islamico in Algeria