di Luigi R. Maccagnani
Sette morti a Zanzur, quartiere bene di Tripoli, in uno scontro tra due milizie (per alcuni “bande criminali”) per il controllo del territorio.
La battaglia è avvenuta tra giovedì 2 e domenica 5 febbraio tra la Knigth Brigade, che reclama una sua associazione con il GNA (Governo di Unità Nazionale guidato da Fayez Serraj), e la Tribes Army, gruppo armato referente alla tribù Wirshefana, dell’hinterland tripolino. Nei giorni successivi, gli scontri si sono allargati ai quartieri di Abu Saleem, Salahedeen, Ain Zara e Tajura, coinvolgendo altre milizie. L’Herald Tribune riporta di movimento di carri armati e colpi di mortaio. Comandanti della Kigth Brigade hanno criticato aspramente il GNA e la Guardia Presidenziale, per l’evidente inadeguatezza nel mediare un armistizio tra le varie fazioni presenti in Tripoli, con una situazione che aggrava l’esasperazione della gente comune per il perdurare delle difficoltà. Tra l’altro continuano nella città i rapimenti, vuoi per riscatto o per ritorsioni, ultimo un giornalista di Al Watania TV: Libya Herald riporta peraltro che dal 15 dicembre 2016 ad oggi ci sono stati 293 rapimenti, e sono stati ritrovati 118 corpi non identificati.
La situazione sicurezza in Tripoli la dice lunga sulla credibilità del GNA di Serraj, i cui “impegni” con il consesso internazionale, ed in particolare l’accordo con l’Italia sull’immigrazione, vengono contestati addirittura dallo stesso PC – Consiglio Presidenziale del GNA, come da dichiarazioni di Ali Gatrani, membro del PC e vice-primo ministro, il quale ritiene che nessun accordo internazionale possa essere ratificato senza l’approvazione del parlamento di Tobruk, HoR (House of Representatives), a tutt’oggi ritenuto l’unico ad avere base legittima. Non per nulla l’ambasciatore Perrone si è precipitato a Tobruk per incontrare Ageela Saleh, presidente appunto dello HoR , ricevendo dal suo interlocutore la conferma che i trattati internazionali debbono essere ratificati da un parlamento eletto. In questi stessi giorni il rappresentante ONU per la Libia, Martin Kobler, è a Mosca per verificare la posizione della Russia che, dopo l’incontro del generale Haftar con il ministro degli esteri russo sulla portaerei Kuznetsov, al largo della Cirenaica, si teme possa prendere posizione a favore di Tobruk, piuttosto che sostenere il GNA.
Al di là del supporto morale, reiterato da ONU, Unione Europea ed da una pletora di capi di stato, poco sembra aver ottenuto Serraj nei suoi incontri peripatetici in giro per il mondo, unico forse l’accordo con l’Italia che, per controllare il flusso migratorio nel Mediterraneo Centrale, qualcosa di tangibile ha promesso – sebbene non siano pubblici i dettagli e le modalità del contributo italiano.
Di fatto, dopo i recenti accordi bilaterali, i giornali italiani hanno annunciato che nella prima settimana dalla firma dell’accordo Tripoli-Roma, il 3 febbraio u.s., 1131 migranti partiti da Sabratha (una settantina di chilometri a ovest di Tripoli) sono stati riportati in Libia (nello stesso periodo ne sono comunque arrivati in Italia 2500 – ansa 6/2/2017). Da sottolineare che il Governo di Unità Nazionale (GNA) poco controlla della Libia, tanto che perfino Serraj – quando non è in giro per il mondo – si rifugia nella base navale di Abu Sitta (la cosiddetta Busetta secondo l’adattamento che i vecchi coloni italiani fecero del nome arabo).
Partendo dal presupposto che i flussi migratori in essere, vuoi motivati da ragioni di sicurezza od economici, siano inarrestabili, sembra quantomeno cinico fermare questa gente in mare, quando hanno già affrontato ogni sorta di difficoltà, pericoli e soprusi, per rimandarli nell’inferno. Due considerazioni per la Libia: dal confine sud alla costa ci sono mille chilometri di deserto, più del doppio della distanza tra la costa libica e quella italiana, e non si conosce il numero di quelli che non ce la fanno a superarla, che sono stati abbandonati dai trafficanti a morire di sete e di fame, per non parlare delle condizioni nei centri di detenzione nella Libia.
Qualche anno fa era stata ventilata l’istituzione di campi UNHCR in Niger, oltre il confine sud della Libia, dove forse i migranti dai paesi sub-Sahara avrebbero potuto essere accolti in ambiente protetto, identificati, valutate le loro motivazioni e diritti, ed eventualmente smistati nei paesi di accoglienza o rimandati nei loro paesi di origine. Ma questo in un mondo utopico: preferiamo l’indifferenza, l’ipocrisia … ed i muri. (Mi sembra di ricordare che dal 1889 al 1915 siano emigrati, in condizioni non molto diverse, circa otto milioni di italiani: chi non ha in famiglia un bisnonno, nonno emigrato in Brasile, Argentina, Svizzera, USA, Germania…).
Eppure la situazione odierna della Libia era altamente prevedibile, basta rivedere due ricerche fatte a uno-due anni dalla rivoluzione del febbraio 2011: Committed to Democracy ed Unity, commissionato dal Ministero degli Esteri danese, e Illicit Traffic and Libya’s Transition, commissionato dal Ministero degli Esteri USA (di cui all’articolo pubblicato da Omeganews nel 2014 – http://www.omeganews.info/?p=2531 ). Forse sarebbe bastato che la comunità internazionale rispondesse fattivamente alle pressanti richieste di aiuto, reiterate dai governi libici in quel periodo legittimati da un eccezionale consenso elettorale, per avere una transizione libica pacifica, democratica e prodromica di stabilità.
Ma della gente normale, quella che non milita in una o nell’altra milizia, quella che cerca di tenere al sicuro la famiglia, che non ha elettricità o acqua in casa ma che aspira a scuole per i figli, gli stessi che, all’85% degli aventi diritto, sono andati a votare in elezioni democratiche, importa a qualcuno?
Luigi R. Maccagnani
Per approfondimenti:
http://www.ecfr.eu/mena/mapping_libya_conflict
http://www.italiaue.esteri.it/rapp_ue/it/
Passati articoli su Omeganews:
http://www.omeganews.info/?p=2818
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