di Luigi R. Maccagnani
Il presidente francese, Macron, ha invitato in Francia per un incontro Fayez Serraj, Primo Ministro del “Governo di Unità Nazionale”, voluto dalle Nazioni Unite, ed il generale (Field Marshal) Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito Nazionale Libico (National Libyan Army – LNA, riferito al parlamento con sede a Tobruk, HoR). L’incontro, programmato per martedi 25 luglio ha come presupposto quello di promuovere un accordo di unificazione.
Immediate le accuse a Macron, sui maggiori quotidiani italiani, di arroganza nell’aver scavalcato l’Italia nel suo supposto ruolo di “coordinatore” degli sforzi internazionali per una soluzione diplomatica per il paese Libia, e con un chiaro riferimento all’intervento militare della Francia, che nel 2011 facilitò la caduta di Gheddafi, facendo precipitare la Libia nel caos (sic).
[Ma a sei anni dalla fine del dittatore libico, il maggiore alleato dell’Italia nel Mediterraneo, la cui sconfitta con le sue conseguenze è stata la più devastante débâcle italiana dal dopoguerra – A. Negri, Il Sole 24 ore, 22-7]
La rivoluzione libica, scoppiata il 17 febbraio 2011 a meno di due mesi dalla scintilla tunisina, non è stata promossa dalla Francia, è stata spontanea, maturata negli ultimi anni dall’evoluzione demografica del paese, e che perfino il figlio di Gheddafi, Seif El Islam, aveva percepito reagendo con qualche timido tentativo di promuovere un processo di democratizzazione.
Non è, ora, dato sapere se l’intervento militare marzo-ottobre 2011 abbia evitato la carneficina che sarebbe risultata dalla reazione di Gheddafi, come era stato temuto al tempo, ma sembra corretto ricordare che se l’intervento è stato promosso dalla Francia, subito seguita dal Regno Unito poi NATO, l’Italia non è rimasta indietro: 1900 raid aerei, 456 bombardamenti (http://www.huffingtonpost.it/2012/11/28/missione-libia-2011_n_2206585.html ).
Vale forse la pena ricordare anche lo sforzo libico nell’immediato della caduta di Gheddafi (morto il 23 ottobre 2011): in poco più di otto mesi, il 7 luglio 2012, si sono tenute le prime elezioni politiche dal 1964, con oltre l’80% degli aventi diritto che si erano registrati, ed una effettiva partecipazione del 61,58%.
La posizione delle Nazioni Unite e dei paesi occidentali – incluso l’Italia- è esemplificata dalla dichiarazione di Ali Zeidan, primo ministro della Libia dal Novembre 2012 al Marzo 2014:
“Le Nazioni Unite ed i paesi occidentali per una ragione o per l’altra hanno mancato nell’assistere la Libia in alcun modo dopo la caduta di Gheddafi. Ho chiesto loro ripetutamente di esserci più vicino….averci lasciati soli è stato un errore”.
Già da fine 2012 l’USIP (United States Istitute for Peace) aveva identificato le maggiori criticità del processo di democratizzazione, sintetizzate nel rapporto “Illicit Traffic and Libya’s Transition”, pubblicato il 24 febbraio 2014 (https://www.usip.org/publications/2014/02/illicit-trafficking-and-libyas-transition-profits-and-losses ). Anche http://www.omeganews.info/?p=2531
Le difficoltà erano identificate ed annunciate.
Il parlamento eletto nel 2012, e confermato dalle elezioni del 2014 – HoR – sebbene con minore affluenza date le deteriorate condizioni di sicurezza e con scissioni , vedi GNC – viene “internazionalmente riconosciuto” fino al dicembre 2015, ma assoggettato alle stesse restrizioni, e embargo sugli armamenti, che vengono applicate a tutta la Libia – non diversamente dalle milizie che avevano saccheggiato i depositi di armi ex-Gheddafi – in attesa di una Pilatesca soluzione diplomatica (tra chi? Un parlamento eletto e milizie ribelli o war-lords?).
Diversi paesi hanno cercato nei mesi passati di mettere in contatto Serraj/Haftar, ma il solo incontro si è avuto lo scorso maggio ad Adu Dhabi, apparentemente con scarso successo e dichiarazioni post-meeting disgiunte.
Alla riunione di Parigi è previsto partecipi anche Ghassan Salamé (*), che rimpiazzerà dai primi di agosto Martin Kobler come Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per la Libia.
La situazione attuale in Libia è molto pesante, la popolazione comune scoraggiata con difficoltà di ogni tipo, dalla scarsezza di generi alimentari, lunghe interruzioni nell’erogazione di elettricità, problemi di mobilità ma soprattutto di sicurezza: compito difficile per chiunque a questo punto riuscire a trovare un compromesso, difficile soprattutto dare credibilità negoziale a Serraj, che non ha un consenso interno, ma viene visto piuttosto come “emissario” di entità straniere.
Perfino il suo programma di nuove elezioni politiche è messo in discussione, e non solo da Ageela Saleh, presidente del parlamento uscito dalle elezione del 2014.
Solo da augurarsi che la riunione di Parigi, indipendentemente da chi l’ha proposta, abbia qualche risvolto positivo, magari anche grazie al contributo del nuovo rappresentante UN, che pare Ghassan Salamé abbia le carte in regola.
Molto è stato anche scritto sul ruolo Eni e le ambizioni della francese Total: l’Eni è in Libia dal 1959, il maggior operatore nel paese, un ente petrolifero integrato che fa bene il suo lavoro – siamo andati a bombardare seguendo la Francia, perché non dare un contributo positivo anche in questa loro iniziativa di mediazione.
Luigi R. Maccagnani
(*) Ghassan Salamé, accademico libanese, già Ministro della Cultura del suo governo dal 2000 al 2003, poi trasferitosi a Parigi, dove attualmente vive essendo decano della Scuola di Affari Internazionali e professore di Relazioni Internazionali all’Istituto per gli Studi Politici (Sciences Po)