“Algeria e Tunisia, due Paesi, due storie, due diversi tipi di stabilità Le prime mosse della nuova amministrazione americana in Mediterraneo e in Maghreb in particolare Il giornalista, raccontare il terrorismo”

Mercoledì 15 marzo 2017 – 1500/1900 – Circolo della Marina, sito in viale Tor di Quinto 111

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Signore e signori buonasera,

grazie per essere qui con noi oggi. Il mio nome è Enrico La Rosa, sono il presidente di Omega, che organizza questo ciclo di conferenze da ormai un paio di anni. Il titolo del ciclo è “Criticità Mediterranee” e oggi tratteremo dell’Algeria e della Tunisia, facendo un quadro politico di questi due Paesi. Oggi non sono propriamente due criticità, sicuramente no. Lo sono stati. La Tunisia, lo sapete tutti, ha dato il via al processo delle Primavere Arabe e poi ha dato l’avvio a un profondo processo di modernizzazione delle istituzioni e soprattutto della costituzione. Di questa costituente che ha riformato la costituzione tunisina fa parte anche l’Onorevole Fayed che però credo abbia delle difficoltà ad essere con noi questa sera, evidentemente.

Sono presenti molti giornalisti, conoscitori della cronaca la sanno benissimo, sono aggiornatissimi. Immagino che essendo qui sono anche giornalisti di cronaca internazionale piuttosto che interna, anche se un giornalista è sempre ecclettico, tratta tutto. E anche loro sapranno, quindi, che l’Algeria ha passato 10 anni terribili, dal ’91 al 2000 più o meno, poi ha imboccato una strada che oggi la fa apparire come uno dei Paesi più pacifici, più tranquilli e in forte sviluppo. E allora perché, trattando di Criticità Mediterranee, parliamo di questi due Paesi? Perché parlare dell’Algeria e della Tunisia che sembrano due luoghi tranquilli, di tranquillità? Perché OMeGA ha tra le sue attività anche quella di pubblicare articoli su <omeganews.info>, il nostro periodico, e un altro di organizzare questi convegni e ha deciso di avviare una stagione di incontri e di scambi. Cioè di portare questi momenti di riflessione collettiva a domicilio. E quindi andare ad organizzare cose del genere, coinvolgendo se possibile anche imprenditori, nei Paesi nostri amici. L’idea è nata in quel di Cagliari, Sardegna. Cominciamo dai Paesi di fronte a Cagliari. E Cagliari, è porta naturale dell’Europa per approdare in Maghreb con la navigazione più breve possibile. Era quindi era fatale che arrivassimo in questi porti. Anche considerato che le relazioni di questi due Paesi con l’Italia sono ottime, soprattutto dal punto di vista culturale, commerciale e fra i popoli. Abbiamo quindi deciso di organizzare questo incontro, questa estate. Abbiamo pensato anche ad una flottiglia che farà scalo ad Annaba in Algeria e a Biserta in Tunisia. Sono i porti più vicini alla verticale di Cagliari, e quindi stiamo cercando anche di svolgere presso i nostri lettori, presso i nostri amici e presso chi ci segue, un’opera di informazione su questi due Paesi. I conferenzieri e i relatori che abbiamo questa sera sono particolarmente informati in materia. Il dottor Tramballi, reduce da un viaggio in Algeria, l’ambasciatore Verderame, è stato ambasciatore italiano ad Algeri, la dottoressa Nacera Benali è una giornalista algerina attualmente residente in Italia e l’ambasciatore Boffo che sul Mediterraneo ha molte frecce al suo arco. Prima di lasciarvi all’ambasciatore Verderame, che condurrà questo convegno, vi leggo due note sui nostri relatori.

Nacera Benali, giornalista e scrittrice, laureata in medicina, nonostante l’esperienza del carcere impostole dalle autorità algerine in seguito al suo articolo sul terrorismo pubblicato nel ’93 e la condanna a morte del gruppo islamico armato nel ’94, ha scelto di proseguire la strada del giornalismo quando in Algeria è stata autorizzata la stampa indipendente. Caso unico nel mondo arabo. Da dieci anni vive a Roma e Algeri e collabora con diverse testate arabe e italiane. Membro della giuria del premio giornalistico multietnico Mustafa Souhir, ha recentemente pubblicato un libro sui pregiudizi degli italiani sull’Islam e sulla ricerca di un dialogo aperto, libro che vuole negare la tesi dello scontro di civiltà tra oriente e occidente, Scontro di inciviltà, Sperling & Kupfer, 2005. Questo è il titolo del libro.

L’ambasciatore Boffo è laureato in scienze politiche, entra nella carriera diplomatica nel ’78, specializzazione commerciale; all’estero viene impiegato a Kinshasa, dall’80 come segretario Commerciale, diventando primo Segretario Commerciale nel luglio ’81. A Madrid dal ’84 come Primo Segretario. Ufficio del Consigliere Diplomatico, nel dicembre 1990, Consigliere alla Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio Atlantico in Bruxelles, dal settembre 1994. Il primo luglio ’96 Consigliere di ambasciata a Bruxelles, 1° dicembre confermato con funzione di Primo Ministro. Primo consigliere ad Ottawa, 1° luglio 1998; dall’8 ottobre 2005 al 26 giugno 2007 ambasciatore a Sana’a con credenziali di ambasciatore anche a Gibuti. Ambasciatore a Riad dal 5 febbraio 2013. Tra gli incarichi metropolitani, nel dicembre del ’90 Segretario Generale alla Presidenza della Repubblica, ufficio del Consigliere diplomatico. Alle dirette dipendenze del Direttore Generale per i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, 1° febbraio 2010. Coordinatore della posizione italiana in seno al “Gruppo Amici dello Yemen” dal 10 marzo 2010. Alle dirette dipendenze del Direttore Generale per gli Affari Politici e di Sicurezza, nel dicembre 2010 e, dal marzo 2011, con funzioni vicarie del Vice Direttore Generale/Direttore Centrale per i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente. Ha lasciato il servizio attivo da qualche mese.

Il Dottor Ugo Tramballi è giornalista del Sole24ore, scrittore e ricercatore. Mi piace citare che considera l’obiettività del giornalista una finzione. I giornalisti non possono esserlo. Posso essere onesti, preparati ed esperti ma non obiettivi. L’obiettività non esiste in natura. Chi dice di praticarla mente ai lettori. È membro dell’Istituto affari internazionali di Roma, del Centro per la Pace in Medio Oriente, Milano, Media Leader of the World Economic Forum, consigliere scientifico dell’Istituto studi di politica internazionale.

L’ambasciatore Verderame, che presiede il tavolo, si è laureato in Giurisprudenza nel ’67 è entrato nella carriera diplomatica nel ’70, Istituto Diplomatico, corso di Formazione Professionale dal 13 aprile al 12 agosto 1970. alla Direzione Generale per gli affari economici dal agosto del ’70. Segretario di delegazione, agosto ‘70. Alla segreteria generale dal aprile’72. Prima sortita estera Madrid nell’aprile ’73. È primo Segretario di Delegazione dall’aprile ’74 con patente di Console a Vancouver, 20 giugno ’77. Confermato nella stessa sede con funzione di Console Generale fino al gennaio ’80. Consigliere delle Nazioni, primo maggio ’80. Al Gabinetto del Ministro dal maggio ’81. All’Istituto Diplomatico per frequenza Corso Superiore per Formazione professionale dal 30 giugno ’81 al 30 giugno ’82. Riassume al Gabinetto dell’Onorevole Ministro il primo luglio ’82. Consigliere di Ambasciata, primo gennaio ’86. Primo Consigliere alla Rappresentanza permanente d’Italia presso la CEE a Bruxelles nell’86. Inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe nel ’92. Capoufficio della Prima Direzione Generale degli Affari Politici, luglio ’92. In servizio presso la Commissione CEE di Bruxelles con l’incarico di Capo del Gabinetto del Commissario Italiano dal 4 gennaio ’93. Alle dirette dipendenze del Direttore Generale degli Affari Economici 28 luglio ’94. Gabinetto del Ministro con funzione vicaria del Capo del Gabinetto nel gennaio ’95, alle dirette dipendenze del Direttore Generale degli Affari Politici nel gennaio ’96. In servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Ufficio del Consigliere diplomatico della Presidenza del Consiglio dei Ministri dal novembre ’98. Ambasciatore a Budapest nel giugno ’99, Ministro plenipotenziario dal 24 marzo 2000. Dal 15 aprile 2004 è Ambasciatore ad Algeri. Direttore Generale per i Paesi delle Americhe dal primo ottobre 2007, ambasciatore 2 gennaio 2009, Direttore Generale per le Risorse e l’Innovazione dal 16 dicembre 2010. È membro del Circolo di Studi Diplomatici che presiede dall’inizio di quest’anno. E io gli lascio la parola.

AMBASCIATORE VERDERAME

Innanzitutto, buon pomeriggio a tutti, ringrazio l’ammiraglio La Rosa, che devo dire che con la lettura del mio curriculum mi ha fatto sentire ancora più vecchio di quanto io non lo sia, e mi ha caricato di responsabilità ulteriori rispetto a quelle che io penso di potermi assumere. Mi sento anche leggermente a disagio perché la mia esperienza algerina risale ormai al 2008 e dal 2008….(interruzione per sistemare microfono). Dicevo che la mia esperienza, come ricordava l’ammiraglio La Rosa, è finita nel 2008 e dal 2008 molto cose sono cambiate e io alla mia destra ho una persona che dell’Algeria conosce certamente più di me e alla mia sinistra un giornalista che è appena reduce da un viaggio in Algeria. Quindi capite le ragioni del mio disagio nell’affrontare, anche se come moderatore, il tema di questo incontro. Non parlo poi del collega Boffo che con le sue responsabilità ministeriali ha conosciuto l’aria meglio di quanto non possa averla conosciuta io. Per entrare nel vivo, direi che rispetto all’intitolazione del convegno, cioè “Algeria, una stabilità densa di incognite e Tunisia, l’incipit delle primavere arabe”, ci sarebbe qualche domanda che mi farebbe piacere porre ai relatori.

La prima domanda che immagino aleggia un po’ nell’auditorium è “Perché l’Algeria è rimasta fondamentalmente indenne dalle primavere arabe, nonostante qualche iniziale protesta e manifestazione di piazza?”. E “perché la Tunisia ha avuto un percorso di democratizzazione diverso da quello degli altri Paesi che sono stati toccati dalle primavere arabe?”. Io non penso alla Libia dove molte responsabilità le portiamo noi occidentali, ma penso all’Egitto, allo Yemen e a tanti altri Paesi che sono stati toccati da questo fenomeno epocale. Avrei qualche risposta sulla base della mia esperienza algerina, ma mi farebbe piacere soprattutto sentire le risposte da chi la realtà algerina la conosce bene. C’è poi un altro aspetto sul quale mi auguro che la discussione si concentri. Qui stiamo parlando di due Paesi importanti di un’area per noi ancora più importante, e cioè la sponda sud del Mediterraneo che si inquadra in una cornice di criticità complessive che sono le criticità del continente africano. Che cosa possiamo fare noi, come Occidente, e qui mi collego ad una delle provocazioni contenute nel titolo del convegno, cioè le prime mosse dell’amministrazione americana. Se qualcuno sa quali sono le prime mosse dell’amministrazione americana verso il Mediterraneo, mi farebbe piacere che me le dicesse. E se qualcuno sa quali sono le prime mosse in generale dell’amministrazione americana, sarei lietissimo di apprenderlo. Quindi che cosa possiamo fare noi, come paese? L’Italia è in prima linea in questo, e l’Unione Europea per accompagnare lo sviluppo socio-economico di Paesi che sono nostri partner ineludibili sulla sponda sud del Mediterraneo. E infine c’è un ultimo tema e questo credo di non poterlo non lasciare all’esperienza degli amici giornalisti, in particolare del Dottor Tramballi, sulla posizione e la responsabilità della stampa sul fenomeno terrorismo. Noi tutti abbiamo dinanzi agli occhi le immagini atroci di quello che l’ISIS ha combinato nella parte più alta della sua parabola estremista. E sappiamo che in quel periodo anche all’interno dei mezzi di informazione ci fu una riflessione su come i mezzi di informazione dovevano trattare questo fenomeno per denunciarlo da una parte, ma dall’altra non amplificarlo. E questo credo sia un tema di particolare interesse sul quale non solo a me ma a tutto l’auditorium farà piacere ascoltare le posizioni dei nostri amici giornalisti. Noi non ci siamo messi d’accordo sull’ordine degli interventi ma credo che non fosse altro se non per ragioni di competenza diretta, lascerei la parola alla dottoressa Benali.

NACERA BENALI

Grazie ambasciatore Verderame, buonasera a tutti. Prima di tutto vorrei ringraziare gli organizzatori di questo convegno, l’ammiraglio Enrico La Rosa per quest’iniziativa che comunque ci fa capire che sul Mediterraneo ci sono sempre questi spazi di confronto e di discussione che non fanno altro che arricchire il rapporto molto intenso che i Paesi dei Maghreb intrattengono con l’Italia da secoli e visto anche tutta la storia comune di questi Paesi. Per rispondere alle domande che l’ambasciatore Verderame ha posto nella sua premessa, mi piacerebbe fare un piccolo richiamo storico per dire che come giornalista, ma soprattutto come algerina, mi rammarico molto del fatto che quando si parla dell’attualità nell’Algeria o nel mondo arabo nel contesto delle cosiddette Primavere arabe si fa un’astrazione totale del passato dell’Algeria. E su questo punto vi racconto un aneddoto. Un mio collega, un inviato speciale di un grande giornale italiano, mi raccontò che quando è scoppiata la Primavera Tunisina la sua redazione lo mandò al Algeri, sicuri che subito dopo la Tunisia sarebbe scoppiata la cosiddetta primavera anche in Algeria. Lui si fermò lì, in un bel albergo, aspettando, aspettando e non succedeva nulla. Invece è scoppiata la rivolta in Egitto. E lui ha dovuto fare il viaggio di ritorno in Egitto. E quando mi ha raccontato questo aneddoto gli ho detto “bastava che tu mi chiamassi e ti avrei fatto risparmiare questo viaggio”. Perché? Perché spesso quando si parla dell’Algeria, a me sembra che i cosiddetti esperti dell’Algeria e del mondo arabo sono colpiti da un’amnesia strana, totale, incredibile. Perché va ricordato che il primo Paese arabo che ha conosciuto la primavera, che ha avuto la sua rivolta è stata l’Algeria nel 1988 quando noi siamo stati il primo Paese arabo a provocare le dimissioni del presidente, i giovani sono usciti per strada, per manifestare, per rivendicare dei diritti sociali. E il presidente sotto questa pressione popolare ha dovuto dimettersi. Una cosa inedita nel mondo arabo e ha lasciato il potere. Per la prima volta è stata autorizzata la stampa indipendente, fatto unico nel mondo arabo, parliamo del 1989. È stato autorizzato il multipartitismo mentre prima c’era un unico partito, FLN, Front de libération nationale, Fronte di Liberazione Nazionale. Non è un fatto banale, questo. Basta tornare alla storia. Durante questi scontri sono morti anche dei giovani. Durante gli scontri tra l’esercito e i giovani manifestanti. Da quel momento l’Algeria è passata da sola con una rivolta popolare, per fortuna non ci sono state tante vittime, non c’è stato un massacro della popolazione, il potere si è dovuto arrendere e c’è stata un’apertura democratica enorme nel contesto della regione e del mondo arabo. E così il giornale per il quale lavoro da più 20 anni, El Watan, quotidiano indipendente, è nato così e con il El Watan sono nati una decina di giornali indipendenti, privati, altri giornali ancora. E molti partiti laici, di sinistra, partito trotskista, il partito dei lavoratori, partiti islamisti, molti partiti si sono organizzati e sono stati autorizzati dal potere dell’epoca. Questa era un’apertura fenomenale all’epoca. E da quel momento l’Algeria ha intrapreso da sola, in modo pacifico, per fortuna senza alcun intervento occidentale, e dico per fortuna poi spiego perché, ha dunque intrapreso il suo percorso proprio. Per questo, quasi 20 anni dopo quando è scoppiata la primavera in Tunisia, in Egitto e in altri Paesi erano contesti diversi. L’Algeria avendo avuto questa rivolta prima, avendo già avuto degli acquisti di libertà e di democrazia non c’era più questa pressione per avere più libertà perché la libertà c’era già. Certo non è una democrazia perfetta, non è una libertà assoluta, e noi come giornalisti indipendenti rivendichiamo sempre più libertà perché comunque rimangono dei riflessi autoritari del governo, comunque qualche mese fa un giornalista ad Algeri è stato incarcerato e addirittura è morto in carcere. Un collega algerino. Questi sono fatti che non dovrebbero esistere in una democrazia, perché sono fatti contraddittori di una democrazia. Ma in confronto ad altri Paesi arabi, il tono di libertà, la critica al governo, si continuano a pubblicare scandali di corruzione tutti i giorni. E questi giornali pubblicano liberamente. Ci sono sempre dei tentativi di fare pressione su questi giornali, su questi intellettuali. Ci sono qualche volta degli arresti di blogger per le cose che scrivono sui loro blog e giudicati diffamatorie per qualche responsabile. E questo ovviamente non è segno di una democrazia perfetta perché questo percorso c’è stato qualche anno va. C’è un apprendimento, questo braccio di ferro tra l’opinione pubblica che vuole più libertà e un potere che pur avendo lasciato molta libertà continua comunque ad avere dei riflessi autoritari. Ovviamente non ci sono paragoni con quello che succede in altri Paesi. E qui torniamo al ruolo dell’Occidente, come diceva l’ambasciatore Verderame. Diciamo che tutti questi eventi in tutti questi Paesi arabi, soprattutto dopo il dramma siriano del quale dovremmo tutti noi vergognarci perché abbiamo lasciato un dittatore massacrare il suo popolo, spingerne la metà all’esilio in condizioni disumane, imbarcati in container in Romania, Bulgaria, madri e figli. Un popolo massacrato. E io vedo su giornali italiani che si rispettano l’intervista a questo dittatore sanguinario. È una vergona! Perché quello che ha fatto Bashar al-Assad al suo popolo non lo ha fatto Milošević. È una persona che dovrebbe essere processata, certamente non dargli spazio, intervistarlo. Io conosco bene la Siria, perché ho fatto delle interviste prima di questa insurrezione popolare che è comunicata in modo pacifico, laico; va ricordato in loro memoria tutti quelli che sono morti, che sono stati massacrati da questo potere e poi il regime l’ha deviata facendola sembrare una ribellione, un’insurrezione di fanatici, integralisti. Penso che la stampa occidentale, qui parliamo di quella italiana, deve recitare il mea culpa su molto fatti avvenuti nel mondo arabo e a cominciare dall’Algeria, il mio Paese. Qualche giorno fa ho intervistato un esperto italiano che conosce molto bene l’Algeria e lui mi ha detto questo verità, mi ha detto “L’Algeria, e spesso quando parliamo del terrorismo, dell’integralismo, non parliamo mai dell’Algeria, della sua esperienza, ma i primi che hanno lottato contro il terrorismo, contro l’integralismo, sono stati gli algerini.” 10 anni di terrorismo feroce. Feroce! E quando dico feroce lo dico perché ho perso parenti nelle stragi terroristiche. Mia nonna è stata uccisa in una strage terroristica. Ho perso colleghi, amici con cui oggi ho preso il caffè e domani sono venuti altri colleghi mentre noi eravamo in redazione, dicendo che a quello avevano sparato. Ogni giorni arrivavano notizie così. E allora dov’era questo Occidente? Dov’era questo difensore della democrazia. Non abbiamo visto nessuno. Anzi quando il terrorismo è cominciato in Algeria, le ambasciate hanno pensato bene di mandare via il loro personale, le compagnie aeree occidentali hanno pensato bene di chiudere, le imprese lo stesso. E hanno lasciato gli algerini morire a porte chiuse. Perché non interessava a nessuno. Quando io sono arrivata in Italia perché ero sulla lista dei giornalisti condannati a morte, che prima non prendevo sul serio, ma quando hanno iniziato ad uccidere il primo in lista, poi il secondo, il terzo la mia redazione e la mia famiglia mi hanno detto “vai fuori, fatti dimenticare poi torni, scrivi con uno pseudonimo, così almeno ti salvi”, io essendo qui i miei amici mi hanno detto chiedi, informati se puoi avere l’asilo politico. Non m’interessava perché la mia intenzione era di stare pochi mesi e tornare in Algeria. Ma quando spinta da questi amici ho parlato personalmente con il Rappresentante dell’Alto Commissariato dei Rifugiati in Italia, mi ha detto testualmente questo “Ma lei è perseguitata dai gruppi armati” non li chiamava neanche terroristi all’epoca, Amnesty International, con cui ho litigato spesso nelle loro conferenze a Roma, li chiamavano gruppi di opposizione armata, e noi li chiamavamo terroristi, terroristi perché ci uccidevano. Ma qui no, gruppi di opposizione armata. E io dicevo perché li chiamate così? Non è un’opposizione armata, questi sono terroristi, uccidono donne, bambini, bruciano i bambini. Di che opposizione parliamo? Quando io ho chiesto un parare così, per mia cultura generale, a questo Rappresentante dell’Alto Commissariato dei Rifugiati mi ha detto testuali parole “Lei è perseguitata dai gruppi armati. Noi quando si parla di asilo devono essere perseguitati dal governo”. Eppure io sono stata in carcere per il mio articolo, ero ancora sotto processo. Ma siccome non m’interessava più questo asilo, ho lasciato perdere. Ho fatto praticamente l’immigrata economica. Perché io non ho trovato nessun aiuto. Io ho dovuto lavorare mentre in Algeria avevo uno status, la posizione di giornalista professionista, qui ho dovuto fare delle piccole traduzioni, dare corsi di francese e arabo per campare per pochi mesi per vedere come la situazione si sarebbe evoluta. E io non ero nessuno perché ero perseguitata da gruppi armati dell’opposizione, che non erano ancora nel codice della definizione dell’asilo politico per queste organizzazioni dell’ONU e per le ONG. E questa è una vergogna. Anni dopo nessuno ha recitato il mea culpa. Mi diceva questo esperto che ho intervistato, mi ha detto che sull’Algeria è stata commessa una grave ingiustizia, un errore madornale, che è partito per dire il vero da certi intellettuali francesi che hanno creato l’ambiguità e hanno cominciato a divulgare la versione loro, tutta fantasiosa, che a uccidere bambini e donne non erano i terroristi armati, integralisti armati da fuori ma che era l’esercito algerino che usciva per strada e non sapeva cosa fare e sparava sulla gente. Mentre l’esercito algerino, è un esercito di giovani del popolo, un esercito di leva, non è un esercito di Pinochet o di generali, loro stessi erano trucidati, ogni giorno c’era un brigata che era uccisa dai terroristi. Nonostante ciò loro hanno continuato a fare il loro lavoro per proteggere il popolo, morendo anche loro sul campo. E noi oggi, a distanza di anni, ringraziamo il cielo che l’Occidente non ci ha aiutato allora, ringraziamo il cielo che siamo stati lasciati soli. Se a qualche Paese, qualche potenza fosse passato per la mente di aiutare noi in Algeria, come hanno aiutato la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan, il Pakistan, e ultimamente la Siria dalla Russia, non ci sarebbe più stata l’Algeria oggi, io non potrei più tornare nel mio Paese e vedere le mie sorelle che continuano a studiare, a lavorare, senza mettersi il velo, fare la loro vita come loro vogliono. Non ci sarebbe più stata. Quindi grazie che non sono intervenuti questi Occidentali. E su questo voglio dire che bisogna a un certo punto fermarsi, avere un po’ di integrità morale, di onestà intellettuale e dire le cose come stanno. Io lo dico anche a nome dei miei amici, intellettuali arabi, non solo algerini. Dopo quello che è successo in Siria, io vi assicuro che non ci sarà più nessuna ribellione in nessun Paese arabo. Può esserci qualsiasi regime, più autoritario, immaginario, nessuno si ribellerà più. Perché quando i siriani lo hanno fatto, li abbiamo lasciati soli, a farsi massacrare. Io leggo ogni giorno i blog dei miei amici intellettuali, artisti, siriani, laici, democratici che aspettano la morte. Altri sono già morti. Altri sono nelle carceri di Assad, che voi intervistate sulla vostra stampa. Loro sono completamente disperati, sfiduciati, perché hanno cercato di ribellarsi a un potere sanguinario, perché i due Assad, padre e figlio, sono degli assassini sanguinari. L’Occidente non solo non li ha aiutati, li ha presi in giro, ha fatto dei giochetti armando una fazione poi l’altra, alla fine è tutto finito in un putiferio: ah, ma tanto sono integralisti. No, non erano integralisti quelli che si sono ribellati. Erano laici, erano democratici e ci credevano veramente. Dico a un certo punto bisogna fermarsi, farsi un mea culpa, fare un’analisi se vogliamo capire le cose come stanno in modo sincero ed onesto, non solo facendo finta di capire le cose fino a un certo punto. Dopo quello che è successo in Siria, dopo tutti questi movimenti di insurrezione nel mondo arabo, l’Egitto, lì la rivolta è cominciata dai giovani, laici, democratici, poi tutto è stato fatto passare sotto i Fratelli Musulmani, oddio l’orco integralista. L’Occidente ha aiutato un dittatore a mettersi al potere, al-Sisi che continua a reprimere peggio di Mubarak. A che punto siamo? Adesso la morale della favola, come si dice, è che gli intellettuali arabi oggi, quelli laici, democratici, non hanno più fiducia nell’Occidente, non vogliono prendere lezioni dall’Occidente, perché veramente l’Occidente (non mi piace dire questa parola, ma per dire i Paesi democratici in Europa e America) hanno dato una pessima impressione a questi intellettuali, una pessima immagine di loro. E oggi sanno benissimo che chi si vuole liberare deve farlo da solo. È molto dura, terribile! Perché i Siriani hanno perso tutto. Ci hanno provato ma hanno perso tutto, nessuno li ha aiutati, sono rimasti soli. Per questo torno all’Algeria, non volevo essere così lunga.

L’Algeria ha fatto il suo percorso dal 1988, ricordiamo la storia, facciamo un po’ di cronologia storica. Il suo percorso è unico, non assomiglia agli altri Paesi. Oggi in Algeria, le donne, per fortuna, sono libere, perché da sole si sono opposte a un progetto integralista di società, senza l’aiuto di nessuno. Grazie dell’aiuto che non è arrivato. Oggi le donne non sono costrette velarsi, lavorano in tutti i campi, i giornalisti continuano a lottare per la libertà, perché non la consideriamo totale, anzi, c’è ancora molto da fare. I sindacati fanno il loro lavoro, ci sono partiti politici che lottano, e per le prossime elezioni legislative c’è già una campagna molto critica, effervescente, i partiti politici sono molto critici verso il voto, vogliono delle garanzie di trasparenza, giustamente. Però ha fatto il suo percorso, e l’Algeria continua a farlo. L’interventismo occidentale nei Paesi arabi ha fatto solo danni enormi. Saranno necessarie decine e decine di generazioni prima di riavere un minimo di stabilità. E questo ci porta a dire, che l’importazione del modello democratico, imposto, così paracadutato dall’Occidente, non funziona. Non può funzionare soprattutto perché non c’è la sincera intenzione di volere veramente aiutare queste società a democratizzarsi. Ci sono interessi economici, lo sappiamo. Paesi che sono stati distrutti con l’intervento militare, come la Libia e l’Iraq e i danni sono sempre lì. Per questo concludo dicendo che se vogliamo veramente capirci, tra riva sud e riva nord, io credo che un minimo di sincerità ci deve essere. Ovviamente non faccio di tutta l’erba un fascio, non dico che tutti i giornalisti sono superficiali, ci sono delle eccezioni per fortuna, degli esperti veri, come quello che ho intervistato che mi ha detto che ci vuole un mea culpa sull’Algeria, che non è arrivato e me ne rammarico. Penso che solo così, con sincerità e dialogo vero possiamo capirci e possiamo tutti insieme lavorare per un Mediterraneo di pace e di armonia. Ma nessuno è più in grado di dare lezioni a nessuno, ve lo garantisco. Grazie.

VERDERAME

Devo dire che forse nessuno più di me è in grado di cogliere l’importanza dell’appello finale della dottoressa Benali. Alla comprensione soprattutto delle realtà dei Paesi con i quali noi abbiamo a che fare. Io ricordo che quando arrivai in Algeria, trovai un sistema formalmente democratico e formalmente funzionante. Non me lo aspettavo, francamente. Forse perché anche io avevo le amnesie di cui la dottoressa Benali ci ha giustamente accusato. Trovai una stampa sostanzialmente libera. Trovai però ancora un regime nel quale, e la dottoressa Benali lo ha ricordato, gli elementi di stabilità si mescolano con quelli di fragilità soprattutto nella prospettiva di un ricambio politico che in Algeria tarda a verificarsi. Ma quello che mi premerebbe mettere in rilievo di quello che ha detto la dottoressa Benali, è che occorre anche, io credo, sfatare la leggenda secondo la quale, una cultura di derivazione islamica è incapace di esprimere una democrazia. Questo non è vero. Non è stato vero in Algeria, e la dottoressa Benali ce lo ha ricordato, e soprattutto non è stato vero in Tunisia quando il partito islamico al-Nahda che peraltro aveva vinto le elezioni, abbandonò il governo per facilitare una transizione democratica, dette una prova di grande maturità democratica e laica che noi spesso non accreditiamo alle personalità politiche, agli intellettuali di quei Paesi. Bisogna peraltro riconoscere che questo non è accaduto dappertutto. In Egitto c’è stato il percorso esattamente inverso. In Egitto, il regime, diciamo il sistema islamico che aveva giustamente vinto le elezioni, perché io credo che ci sia un sostrato nelle società di quei Paesi che va verso quel determinato orientamento politico culturale, non è stato in grado poi di esprimere la cultura democratica sufficiente, tanto è vero che poi è venuto il colpo di stato di al-Sisi. Quindi le realtà devono essere prese per quelle che sono, in ciascun contesto in cui queste realtà si svolgono. Ma il punto fondamentale che mi pare di poter ricavare dall’intervento della dottoressa Benali è che non è vero quello che molti dicono, quello che molti propagandando, che una cultura islamica è incapace di esprimere una democrazia. Una democrazia islamica, una democrazia probabilmente imperfetta, ma nemmeno la nostra è perfetta. E comunque sono sforzi che noi dobbiamo rispettare e in questo accolgo completamente l’appello finale della dottoressa Benali. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa il dottor Tramballi, appena reduce da un viaggio in Algeria e immagino che abbia sentito anche qualcosa sulla vicina Tunisia.

UGO TRAMBALLI

Scusate la mia mia voce, è una normalissima voce sulla quale però si sono accavallati molti viaggi dall’India, alla Sicilia, a Roma, all’Algeria e diverse conferenze e adesso credo che per i prossimi 35 anni mi resterà questa voce da cantante da piano bar.

Una piccola nozione d’ordine, permettetemi, a proposito dell’intervista a Bashar al-Assad. Io come giornalista intervisterei anche Hitler, il problema non è intervistare o non intervistare Bashar al-Assad, il problema è che domande gli si fanno. Se sono le domande di Monica Maggioni allora no, se sono le domande di Jeremy Bowen della BBC che ha fatto una faccia così a Bashar al-Assad allora sì. Ma in questo caso specifico credo che forse ti riferissi a queste che io non ho visto, ma so che erano interviste del TG1, del Fatto Quotidiano, che hanno fatto queste cosiddette interviste. Quello che è successo è questo, ed è successo già qualche mese fa, è successa la stessa porcheria giornalistica. Credo che il Consiglio d’Europa, dell’Unione Europea, organizzi dei viaggi per avere dei contatti con il regime siriano e si portano dietro i giornalisti. Alla fine Bashar al-Assad fa una dichiarazione in una che a fatica si può definire conferenza stampa, perché alla fine sono due le dichiarazioni, però La Stampa, il Fatto Quotidiano la scambiano, cioè volutamente la chiamano intervista. Io faccio giornalismo da un po’ di anni. Forse sono un giornalista del XX secolo, quindi un po’ superato, però queste non sono interviste, sono porcheriette misere, da giornalisti mediocri, chiunque l’abbia fatta la cosiddetta intervista.

Chiusa questa parentesi. A proposito della prima domanda, perché l’Algeria si è salvata. La risposta l’ha già data la signora Benali, la prima parte della risposta, la più importante, perché in Algeria era già successo tutto, sia la primavera, sia, poi, nel decennio delle violenze, quello che nel Medio Oriente abbiamo visto dopo il 2011. E quindi la gente ha capito. Questa è la ragione principale. La gente aveva già vissuto tutte quelle cose che gli altri Arabi hanno poi tragicamente vissuto. E la seconda è che come in Arabia Saudita nel 2010 e 2011 anche il governo algerino, avendo tanto petrolio, tanto gas, ha costruito case popolari, aumentato gli stipendi, assunto giovani. Cosa che allora poteva permettersi e oggi non può più. I due casi, algerino e tunisino sono molto interessanti, perché sono molto diversi l’uno dall’altro, però entrambi hanno la loro dignità, entrambi hanno la loro opportunità di avere successo ed entrambi hanno seri rischi di non avere successo. Il caso tunisino è il caso, il tentativo, l’unico forse vero rimasto in Medio Oriente della creazione di una democrazia a immagine e somiglianza dell’Occidente. Non so se sia giusto, se sia culturalmente corretto, ma è importante. È l’unico caso, la Tunisia, dove possiamo ancora usare la definizione di primavere arabe. Perché? Per 4 ragioni. E parlando delle qualità della Tunisia, automaticamente dico i difetti di tutti gli altri Paesi arabi che difatti sono crollati, sono caduti nella grande tragedia, nel grande disordine del Medio Oriente. La prima è che la Tunisia non ha materie prime. Non ha energia. Quindi non suscita le brame di potenze regionali. La seconda è che non è geo-politicamente in una posizione strategica. Non ha un canale di Suez, le colonne d’Ercole sono abbastanza lontane, lo stretto di Hormuz è lontanissimo, quindi anche in questo caso non suscita le bramosie dei vicini. La terza ragione è che c’è l’unico Islam politico che abbia cercato, anzi che è inclusivo, Ennhadha ha subito messo a disposizione dell’unita nazionale il consenso popolare che aveva e che ha. Fa parte del governo nazionale e questo è fondamentale perché mostra che la Tunisia è l’unico Paese nel quale si è effettivamente messo in pratica quell’elemento culturale e politico che il mondo arabo ancora non ha, cioè il concetto dell’inclusione e non quello dell’inclusione politica. Il concetto non del gioco a somma zero, io vinco e tu perdi, quindi io governo e tu finisci in galera, ma tutti insieme governiamo. E, da ultimo, la Tunisia ha avuto la fortuna di avere un Rais, un dittatore, ma illuminato, Combattant suprême. Bourguiba fu effettivamente un vero riformatore, un vero laico. Avviò la riforma delle scuole, diede un ruolo sin dagli anni 50 alle donne e in qualche modo il prezzo positivo oggi la Tunisia lo paga grazie al fatto che esiste un livello di scolarizzazione e di educazione superiore, il più alto del mondo arabo. Questo ha permesso alla Tunisia a provare, e continuare a provare la sua democrazia. Quello che dobbiamo fare noi che cos’è? Di provare ad aiutarli economicamente, di non lasciarli in mano solo agli Emirati Arabi che hanno una loro agenda politica molto precisa, o del Qatar, e anche loro hanno una loro agenda. Ma noi che sulla Tunisia non abbiamo nessuna agenda politica se non quella di, proprio per i pregi che la Tunisia ha, aiutarla a dimostrare che è possibile che nel mondo arabo esista un Paese democratico dove prevale l’idea dell’inclusione e non dell’esclusione. Scusate. So che faccio pena, sono copertissimo nonostante sia scoppiata la primavera.

L’Algeria ha un altro modello. Intanto, l’Algeria vive su due elementi fondamentali che sono già stati citati. Una è la grande rivoluzione, la liberazione nazionale dalla Francia, tra l’altro è complessissimo il rapporto tra algerini e francesi, un po’ mi ricorda molto quello che c’è fra indiani e inglesi, un rapporto di amore, di odio, estremamente complesso. Però l’Algeria vive quell’esempio. Un esempio grandioso, non esiste nel mondo arabo un modello di liberazione come quello algerino. E il secondo è stata la grande tragedia degli anni ’90. Questi sono i due elementi fondamentali che restano alla base della stabilità algerina. Noi in questi giorni, parlando con molta gente, andando a cena con il suo direttore, andando a visitare la sua redazione, divertentissima, divertentissima manco per niente. La redazione è un po’ antiquata diciamo così. Ieri, l’altro ieri abbiamo fatto una chiacchierata con Mourad, il capo della redazione. El Watan erano riuscito a mettere insieme i soldi per fare una nuova redazione. Fatta la nuova redazione, tutta di pacca, la mattino fanno le valigie, mettono via i computer, le rotative, e tutto quanto, partono per la nuova sede e nella nuova sede trovano la polizia. Uno schieramento di polizia come si ci fosse stato un attentato. E scoprono che non possono entrare nella loro redazione, a proposito della democrazia che c’è ma un po’ scalchigna. Allora hanno cercato di usare questa cosa. Poi le scale anti incendio. Insomma fatto sta che sono ancora lì. Siamo a marzo e sono ancora lì. Anzi sono dovuti tornare di corsa perché credo che avessero già impegnato la nuova redazione e sono dovuti tornare di corsa prima che altri la occupassero e si trovassero poi per strada a fare il giornale. Ecco questa un po’ la realtà. Realtà dovuta un po’ anche al fatto che quel modello un po’ socialista, io che ho vissuto e fatto il corrispondente anche da Mosca per 4 anni, negli anni della Perestrojka , cioè nell’Unione Sovietica, ho visto cose che voi umani… faccio fatica quando parlo con i giovani a spiegare loro come si viveva a Mosca nell’Unione Sovietica, quali follie quotidiane. Ecco ma il concetto di Repubblica Popolare Socialista c’è. Quando hanno dovuto cambiare il nome al Boulevard che si chiamava de la Répulique, le hanno dato il nome di Che Guevara. Chi oggi da più il nome a qualcosa Che Guevara. Ecco perché contano, e non voglio fare delle battute, ma si capisce che c’è un legame anche affettivo con la storia di questo Paese. Ma la domanda che vi pongo, e ho rafforzato dopo questa mia ultima visita, è quanto può durare questo come velo, come difesa da un altro scoppio di rivolte o sociale, o come successe nell’88, dove però due anni dopo sono tornati gli estremisti islamici? Perché l’Algeria ha effettivamente dei problemi seri. Nel senso che quel modello, che è un modello diverso da quello tunisino, ha la stessa abilità purché funzioni. Ha funzionato finché il petrolio e il gas avevano quel prezzo. Ora il gas ce lo vendono anche dietro l’angolo. E il prezzo del gas è talmente crollato che nel giro di un anno e mezzo le riserve valutarie algerine sono crollate. Il bilancio, il PIL è sceso di quasi il 50% e non c’è un piano B. Se non il fatto che il Paese tiene perché non si può prescindere dalle esperienze vissute negli anni ’60 e negli anni ’90. è vero che è molto importante, ma non può durare perché ci sono questi due grandi dubbi. Uno è la presidenza. Il presidente non sta bene. È in grado di indicare la linea? Forse sì. Forse no. Qualcuno dice che l’ictus che lo ha colpito è debilitante. In ogni caso, anche se stesse bene come Berlusconi, e non è Berlusconi, è molto più serio di Berlusconi, non ha mai fatto le cose che ha fatto Berlusconi intendiamoci, però ha 80 anni e le pouvoir si deve chiedere se non sia venuto il momento di pensare a una successione, a una successione pacata come è giusto che sia. Non posso credere che il sistema politico algerino non possa produrre un altro presidente, dello stesso valore del precedente. Non capisco questa impasse che evidentemente ha a che vedere con lotte molto forti con i militari che sostengono il presidente, perché il presidente ha fatto molto per i militari, la democrazia. Il Deep State, in sostanza, che governa effettivamente il Paese, sul quale era meritevole dare loro fiducia perché ha sempre risposto a volte con la forza, a volte con l’intelligenza, alle domande del Paese, adesso non riesce nemmeno a trovare un successore al presidente. Questo è il primo dubbio. Il secondo, conseguenziale, di fronte al crollo dell’energia, l’80/85% dell’economia algerina vive di energia, non c’è una risposta. Qualche tempo fa il governo ha detto che è stata approvata una nuova riforma economica, con tanto di nome, adesso mi sfugge, ma nessuno ha visto un documento (A,B.C si fa così), ma l’unica cosa certa è che si vuole indurre le importazioni e cercare di sviluppare la produzione interna. Ma un’economia, un’industria manifatturiera non la si costruisce da un giorno all’altro, lo sviluppo che sarebbe necessario in Algeria, della produzione agricola non lo fai da un raccolto all’altro, ci vogliono anni. E la sensazione è che dal governo algerino non ci siano mosse, non si siano programmi veri e propri. Occorre fare riforme, riforme di mercato. C’è una grande parte dell’economia del Paese che è un’economia in nero. La piccola e media industria fatica a svilupparsi proprio perché ci sono tutta una serie di regole e di limiti burocratici. Gli investimenti stranieri in Algeria sono estremamente difficili perché sono ancora legati al vecchio schema da Paese socialista, 49-51. Ma oggi nessuno viene ad investire in un Paese che ti dice intanto ti diciamo noi chi dev’essere il tuo partner, non te lo scegli tu. Secondo avrai sempre il 49%, terzo decidiamo noi dove devi andare a costruire la tua fabbrica. Nel 2017, con la concorrenza globale che c’è nel raccogliere investimenti, nessuno va ad investire in un Paese così. Ecco è questa la minaccia che corre oggi l’Algeria. L’apparente, finora confermata, incapacità di fare quelle riforme economiche necessarie per affrontare questa crisi del prezzo dell’energia che è destinata a durare. Sì risalirà, scenderà, ma c’è tanto petrolio e talmente tanto gas, che anche lì, il fatto che nel sud sia stato scoperto tanto gas, ma voi sapete che per produrre il gas occorre tanta acqua e il gas è stato scoperto in una regione dove non c’è l’acqua e dove le popolazioni locali hanno già manifestato contro l’idea di rimanere senza acqua per la produzione del gas. Ecco, queste sono, diciamo, le differenze e i problemi dei due Paesi di cui parliamo. Per quanto riguarda, velocemente, Trump e il Mediterraneo. Trump non credo che nemmeno sappia cosa sia il Mediterraneo. Gli Stati Uniti, sul Mediterraneo, questi Stati Uniti, non hanno nessun interesse. Se a Trump parliamo di Ucraina, Corea del Nord, si un’idea ce l’ha, ma sul Mediterraneo credo che si gli dicono che cos’è, tranne per venire in vacanza, ma non ne ha bisogno, ma tranne per quello non credo proprio che gli interessi. E qui vengo di nuovo a quello che diceva la signora Benali, a proposito delle nostre responsabilità occidentali su quello che è avvenuto in Siria soprattutto, in tutto il Medio Oriente, dopo l’invasione dell’Iraq, e sottolineo la mia definizione, invasione, non fu affatto una liberazione, a dispetto del fatto che Porta a Porta tutte le sere ce lo vendesse come “ecco arriva la democrazia!”. Vero, Generale (Arpino, in sala tra il pubblico, ndr), si ricorda come il presentatore Magdi Allam ci vendeva ”Ci aspettano tutti con le bandiere, non vedono l’ora che arriviamo”. Eccoli lì. A parte questo, credo che mai, come con l’amministrazione Obama e la vicenda siriana, credo che mai, non solo quelli di sinistra, non solo gli anti Nato, tutti anche i moderati, mai si sono sognati di sentire, cioè per anni e anni hanno sognato di sentire un presidente americano dire che noi ci disimpegniamo. In Siria, Barak Obama ha addirittura deciso di non bombardare, nonostante fosse stata superata la cosiddetta linea rossa della scoperta delle armi chimiche. E mi chiedo cosa le stesse persone, che dicono che l’Occidente non ha fatto niente per la Siria, avrebbero detto se Barak Obama avesse bombardato. I soliti americani, e queste robe qua. In realtà la colpa è stata quella di disimpegnarsi, perché il vuoto lasciato dall’Occidente, in particolare dagli americani, perché inglesi e francesi fanno ridere, l’Unione Europea non c’entra, è solo nel nostro passaporto; il vuoto lasciato dagli americani è stato riempito, ed è questo il fatto di tutto ciò che è avvenuto dopo le primavere arabe. I protagonisti dello sfracello sono le potenze regionali, la Turchia, l’Iran, l’Arabia Saudita, il piccolo Qatar, persino l’Egitto che ha una mano dietro e l’altra davanti pretende di giocare la carta della Libia. Ma nemmeno i Russi. I Russi l’hanno già capito da tempo, anche perché hanno già avuto l’esperienza dell’Afghanistan negli anni ’80: “non siamo in grado di dettare noi la linea a questi qua”. Il caos siriano, se gli Stati Uniti non hanno armato le milizie, è perché prima i Sauditi, i Qatarini, i Turchi. I Turchi… credo che dopo Al Qaida nessuno abbia fatto più male, nessuno sia più responsabile di questo caos di Erdogan. Erdogan avrebbe dovuto essere un elemento positivo, invece la sua negatività è stata spaventosa. Questi sono i protagonisti del caos, non noi. Questi armavano gli estremisti in modo da impedire agli americani di armare come avevano già fatto con i mujahidin negli anni ’80 in Afghanistan. E se andate sul mio profilo Facebook, ci sono delle mie belle foto, io vestito da mujahidin, ai tempi quando ero giovane, ero un ragazzo e non avevo questa voce. Questi sono i responsabili, cioè le potenze regionali con un’agenda enorme, ambizioni smodate, presunzioni senza limiti che hanno riportato il Medio Oriente persino a uno scontro tra Sciiti e Sunniti, a uno scontro in realtà di interesse geopolitico sul golfo, in uno scontro medioevale tra sciiti e sunniti. Certo, l’Occidente ha sempre colpe a partire da Sykes-Picot. Però, se guardate anche le frontiere di Sykes-Picot, che fu una porcheria coloniale, un Inglese e un Francese che decidono, c’era anche lo spazio per la Russia. Solo che nel frattempo la Russia perse la guerra quindi venne cancellato. Ma in realtà se guardiamo oggi quella porcheria coloniale occidentale, cioè i confini del Medio Oriente di oggi sono il punto di partenza sul quale i nazionalismi arabi hanno potuto cominciare a giocare la loro partita. Prima cosa avevano? Avevano gli Eyalet turchi, e non dimentichiamo che la Turchia con delle velleità, a parte i poveri Curdi che sono le vittime di questa storia a causa del loro frazionismo (per sapere di più chiedere ai palestinesi che su questo sono dei maestri). Nessuno, a parte l’ISIS naturalmente, ha mai cercato di cambiare le frontiere di Sykes-Picot. In Siria tutte le fazioni vogliono conquistare la Siria, vogliono controllare una fetta di Siria, del potere centrale, che sarà unitaria e Hezbollah quando vuole affermare il suo potere sciita non crea il piccolo stato sciita del Libano nella porzione a sud di Beirut, nel sud del Libano. No. Conquista il potere centrale a Beirut. Determina chi sarà il presidente cristiano del Libano. Nessuno vuole modificare quelle frontiere che sono l’unico elemento di stabilità del Medio Oriente oggi. Il problema non sono le frontiere ma è ciò che accade al loro interno, e di questo sono principalmente responsabili le potenze regionali e quei governi arabi che dal colonialismo in poi hanno avuto tutto il tempo per creare società civili valide, vere, come è successo per esempio nell’Algeria di oggi, nonostante i suoi limiti, e come è successo e sta succedendo nella piccola Tunisia. Gli unici due Paesi per i quali possiamo parlare di una società civile. Dove la stampa, pur con le sue difficoltà, esiste. El Watan è un giornale che fa ogni giorno una faccia così al governo e tutti i giorni gli bussa alla porta. Perché non è colpa degli occidentali, cioè hanno una responsabilità, il colonialismo occidentale, ma sono i leader che hanno portato al disastro. I capi delle nuove potenze sono i responsabili del grande disastro Medio Orientale. Grazie.

VERDERAME

Credo che il dottor Tramballi abbia posto due temi che potremmo forse approfondire nel secondo giro e soprattutto la signora Benali potrà darci la sua visione su due problemi grandi che il dottor Tramballi ha posto. Cioè, gli elementi di fragilità della stabilità algerina e la responsabilità occidentale, sono i due temi che probabilmente nel secondo giro chiederei alla signora Benali di approfondire. C’è un punto di quello che ha detto la signora Benali prima al quale io mi rifiuto di rassegnarmi. E cioè che noi non possiamo fare niente per un rapporto equilibrato con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Sono certo che il collega Boffo, che tra l’altro è stato Direttore Generale per i Paesi del Mediterraneo, ci saprà anche rispondere. Possiamo ancora continuare a sperare di migliorare la nostra immagine verso quei Paesi in termini di comprensione, in termini di iniziative concrete per realizzare una partnership che evidentemente è quanto mai necessaria.

AMBASCIATORE BOFFO

Grazie mille. Ti ringrazio per avermi dato la responsabilità di risolvere i problemi di cui abbiamo parlato. Ti ringrazio molto.

Scherzo, naturalmente non parlerò diciamo nello specifico di Algeria, innanzitutto perché non ho nell’esperienza la specifica conoscenza degli altri oratori, i quali hanno dato comunque un quadro completo. Vorrei arrivare alla domanda dell’ambasciatore Verderame, arrivandoci però un po’ da battitore libero. Vorrei sottolineare alcune cose che il dibattito che mi ha preceduto e che sappiamo degli anni passati mi ha colpito.

Naturalmente è ovvio che quando si parla Mediterraneo e Medio Oriente nelle attuali circostanze, ovviamente si deve anche parlare di Occidente, se si fa bene o male a intervenire o non intervenire. Dei Paesi della regione, anche: certamente! Comincio con questo.

Quando scoppiò il terrorismo in Algeria, giusto? E il governo naturalmente lo fronteggiò e lo represse, avvenne in un modo che già secondo me era in grado di sovvertire tutta una serie di certezze, o presunte tali, dell’Europa e dell’Occidente. Non faccio valutazioni di merito ma noto che i fondamentalisti avevano vinto le elezioni (giusto?), e il governo per evitare l’integralismo del Paese li ha combattuti. Ora, sia ben chiaro ha fatto benissimo a combatterli, perché erano terroristi. Quel fattore politico era arrivato lì. Dal punto di vista dell’Occidente io non lo so se qualcuno si è mai posto seriamente il problema, perché naturalmente l’Occidente parteggiava per il governo algerino, perché nessuno in Occidente vorrebbe che l’integralismo islamico si propagasse nella regione. è una prima provocazione che l’Algeria ci ha proposto. Non entro nel merito del giusto e dello sbagliato, non entro nel merito delle valutazioni di dettaglio che possiamo fare. È un fatto che comunque ha detto qualcosa all’Occidente, e quanto l’Occidente l’abbia capito non lo so. Secondo punto. Giustamente la dottoressa Benali ha criticato i vari interventi occidentali nel Medio Oriente allargato, perché abbiamo parlato anche dell’Afghanistan ecc. Il fatto che la critica sia giusta, checché ne pensiamo, è dimostrato dai risultati che sono pessimi dappertutto. Allora l’Algeria è stato un Paese che ha reagito a quel fattore di destabilizzazione da sola, con successo, anche se è un successo che è costato diciamo grandi dolori e grandi sofferenze, senza giustamente l’intervento dell’Occidente. Mi viene da pensare che sia giusto che ciascun Paese trovi la sua via, che ciascun Paese trovi la sua via per la democrazia a modo suo, oppure per la propria stabilità, la propria giustizia. E io sono fermamente convinto di questo. E credo che alla base di tanti interventi sballati nella Regione e al netto degli interessi che vi sottendono e che non vengono dichiarati, c’è un discorso di fondo che va finalmente fatto. Nessuno deve dire agli altri cosa essi devono fare. L’idea della cosiddetta esportazione della democrazia, che in molti casi è una finzione, ma alla quale tanta parte delle nostre opinioni pubbliche crede, va finalmente smantellata. Perché ogni popolo, come ogni persona, ha il diritto di tracciare il proprio destino. Facendo degli errori, facendo delle cose giuste, come tutti e come sempre. La terza considerazione è questa. Intervenendo malamente dalla Siria alla Libia, dall’Afghanistan all’Iraq, e così via, adesso parlo dal punto di vista soprattutto dell’Occidente e soprattutto dell’Europa, che cosa abbiamo fatto? Abbiamo creato un sacco di problemi ma ci siamo anche un po’ giocati come Occidente e come Europa il nostro futuro presso questi popoli. Cosa ha fatto l’Europa più che gli Stati Uniti? Perché Europa e Stati Uniti sono alleati ma le logiche sono e devono essere differenti. In momenti in cui tutto sembrava che andasse più o meno bene, ha fatto finta di non accorgersi che al di sotto di certi regimi, non parlo dell’Algeria parlo un po’ in generale, al di sotto di certi regimi la gente soffriva. Soffriva in un modo che responsabilizzava un po’ l’Europa. Perché l’Europa era vista un po’ come quell’insieme di complessi e di governi che sosteneva o comunque forgiava, o comunque era amica di certi governi oppressori. E qui si va ancora un po’ più a fondo. E che cosa avrebbe dovuto fare l’Europa? Certamente l’Europa, i governi interloquiscono con altri governi, quindi sul piano formale non c’è nulla da dire. Ma ricordiamoci che quando è finita la Seconda Guerra Mondiale sono nate tra Europa e Mediterraneo una serie di idee, di desideri e così via, fondamentalmente una cosa che sarebbe potuta succedere e che non è successa, è stata l’integrazione dei mercati. È stata la libertà di circolazione. Tutte cose che avrebbero giovato a quei popoli e che avrebbero, come dire, sicuramente creato meno tensioni. Non è stato fatto, sarebbe troppo lungo dire il perché e il per come, ma nel momento in cui questi popoli si sono visti impediti nell’approfittare del progresso economico e del risanamento e della crescita del dopo guerra, e non parlo solo di economia ma anche di crescita, diritti civili e così via, quindi quando hanno visto invece emergere governi autoritari che l’Europa non ha fatto nulla per mettere in discussione, ha fatto le varie primavere. E queste primavere poi si sono ritorte non dico in una maggiore inimicizia vero l’Europa, ma certamente in una maggiore distanza. E lo vediamo esaminando le cronache dei vari Paesi. E qui che arrivo. Allora Verderame mi chiede, si rifiuta di credere che l’Europa non possa più fare qualcosa. Secondo me l’Europa non solo può fare qualcosa, ma deve fare qualcosa. Certo, per fare un esempio, se lo avesse fatto prima di inventare una serie di processi politici, il processo di Barcellona, la politica di vicinanza, l’UPM, che funzionano e non funzionano, diciamo che soprattutto non funzionano perché non hanno innescato alcun vero sviluppo dei rapporti, ripeto non solo economici ma libertari, di buona vicinanza e così via. Se, invece di fare questo, avesse fatto cose concrete, forse non saremmo arrivati alla situazione attuale. Ciononostante, non bisogna tirarsi indietro. Bisogna che l’Occidente e l’Europa si occupino di questi Paesi in un quadro di reciproco scambio, certamente non nel modo che è stato fatto, andando a bombardare in Libia, andando a invadere l’Iraq, andando a fare questo e quest’altro. Bisogna finalmente capire, che quella cosa che noi diciamo sempre, con tanta retorica e poca intenzione, che il Mediterraneo è una piattaforma comune per l’Europa, per i Paesi nord africani e anche per quelli del Medio Oriente, che piaccia o meno è vero. Perché o questa nave, non è una nave è un mare, o questa nave va in qualche modo e ci stiamo tutti dentro, ma se affonda, affondiamo tutti. Per il terrorismo, per l’immigrazione, per l’economia, per tutto. E l’Europa può fare. Può fare cosa, però? Fare una specie di auto coscienza circa l’egoismo con cui ha trattato questa parte così importante per noi. Certo non puoi parteggiare per i popoli e contrastare i governi. Ma la chiave per poter avere relazioni con un governo e con un popolo, con i governi e i popoli, più sane, più alla pari, anche rinunciando a qualcosa. L’Europa si è chiusa anche per proteggere le proprie economie, la propria agricoltura. certo. Ma alla fine, questo non solo danneggia i popoli confinanti, ma danneggia anche la stessa Europa, perché ne paghiamo tutti le conseguenze. Su queste cose bisogna riflettere. Possiamo noi, Europa, che poi apro una parentesi, noi Europa non lo so, perché qui tra elezioni problematiche in Olanda e prossimamente in Francia, il Brexit, voglio dire dovremmo un attimo capire che il senso d’Europa significa qualcosa anche per gli altri. Noi europei dobbiamo esserlo per noi ma anche vis-a vis dei nostri vicini. Quindi creare una serie di rapporti che rilevino i veri bisogni di questi popoli che vogliono partecipare in maggior misura a, non uso la parola democrazia perché un modello specifico, ma un senso di libertà, di partecipazione e di migliore speranza di futuro per tutti. Come farlo non si può dire in due parole, perché bisogna ristrutturare tutti quelli che sono i rapporti tra Stato e Stato, tra società e società, tra società civile, Stati e governi e così via. Qualche tentativo c’è stato ma bisogna finalmente mettere a fattor comune la comune cultura, che non è uno slogan. Comune cultura significa che quella sintesi generale tra sapienze e conoscenze, tra sapere, intenzioni e attività, sogni, desideri, economia, sviluppo della libertà dei popoli è qualcosa di sensato e che anche se è vero che in qualche modo non la condividiamo del tutto perché veniamo da storie diverse, ma comunque ne condividiamo gli effetti e i risultati. Capire questo, e da qui elaborare politiche diverse che uniscano l’Europa anche verso questi Paesi. E, quindi, direi che questo dovremmo fare. E invece che abbiamo fatto? Anche a detrimento nostro. Quello che era, o poteva essere, diciamo gestito in maniera paritaria e assolutamente da buoni vicini e da buoni partner, come un’area abbastanza integrata pur nelle varie differenze tra Paese e Paese, l’abbiamo ridotta in uno stato di enorme frammentazione. Libia, Algeria, Tunisia, Egitto, Siria, Palestina. Ormai sono tutti microcosmi diversi che rendono più difficile non solo la loro coesione, la realizzazione dei propri obiettivi, ma rendono anche agli Europei più difficile interloquire. Che fare è problematico dirlo in una conferenza come questa. Ma credo che siano questi i temi sui cui bisogna riflettere. E riflettere in maniera positiva, non in maniera accademica, proprio per cercare di cambiare certe tendenze che hanno prodotto i risultati che hanno prodotto, in un’area in cui abbiamo tutti bisogno l’uno dell’altro. Grazie.

VERDERAME

Abbiamo concluso la prima parte, il primo giro di interventi, e devo dire con più domande, con più interrogativi di quanti non ne avessimo quando abbiamo cominciato. Pensavo, se siete d’accordo, di fare un ulteriore giro di interventi su alcuni punti specifici rimasti per la nostra amica Benali, il tema del rapporto tra fragilità e stabilità algerina, se vorrà potrà argomentare. Ma dall’intervento di Mario Boffo, io vorrei trarre due elementi principali. Nella prima parte del suo intervento, mi pare che lui abbia posto un problema filosofico di non minore importanza. Scusate se faccio ancora dei riferimenti personali. Ricordo che quando ero in Algeria, non ho trovato alcun interlocutore, a nessun livello, che mi abbia detto che quando il FIS aveva vinto le elezioni poteva evolvere verso un regime democratico. Erano tutti convinti che il FIS avrebbe creato quello che è poi successo con il terrorismo. Ed erano tutti, a tutti i livelli, convinti, che bene aveva fatto il governo, a interrompere il processo democratico. Tutti. Ricordiamoci l’episodio di Sant’Egidio, quando Sant’Egidio ha cercato la mediazione in Algeria e non ci era riuscita nonostante fosse riuscita con grande successo a farlo in Mozambico, si è scontrata di fronte all’incomprensione del problema di fondo. Non c’era nessun algerino che credesse nella democraticità o nella possibilità che il FIS potesse evolvere verso strutture compatibili con la vita civile. Questo è successo molte volte nella storia, è successo in Turchia, è successo recentissimamente in Turchia. E questo pone il problema di quali strumenti la democrazia abbia per salvare se stessa rispetto al rischio dell’involuzione anti democratica. La democrazia può usare dei mezzi anti democratici per salvare se stessa? E questo è un grosso tema sul quale mi piacerebbe avere il parere di entrambi i miei interlocutori a destra e a sinistra. L’altro punto che ricavo dall’intervento di Mario Boffo è l’egoismo dell’Europa. Effettivamente, io sono ancora scioccato quando penso al tentativo che si fece di aumentare il contingente di importazione di olio dalla Tunisia per pochi milioni di tonnellate, ci fu una rivolta popolare. Anche in Italia ci fu una rivolta popolare contro chi attentava alla produzioni locali. Allora quei Paesi se non li aiutiamo così come li aiutiamo? C’è una schizofrenia di fondo nell’atteggiamento delle democrazie occidentali rispetto a questi Paesi. Dobbiamo fare molta autocritica io credo. Sulla frammentazione degli interlocutori, anche lì il problema è molto grosso, perché tutti i tentativi che sono stati fatti di avere un dialogo con i Paesi del Mediterraneo omnicomprensivo si sono scontrati di fronte al fantasma che aleggia su tutto questo e che nessuno ha citato, il problema israelo-palestinese, ma lì amplieremmo troppo il raggio delle nostre considerazioni. Chiedo alla signora Benali se vuole intervenire sui punti che ho sollevato e poi dare la parola al Dottor Tramballi.

BENALI

Grazie Ambasciatore Verderame. Volevo dire solo una parola su quello che diceva prima sul FIS e sul fatto che gli Algerini sono unanimi nel dire che il governo allora ha fatto bene a sospendere il processo elettorale, durante il quale il FIS, il partito integralista, aveva vinto il primo turno. Va ricordato anche che, quando vinse il primo turno, il suo presidente è stato intervistato dalla televisione pubblica algerina e fece queste dichiarazioni chiare e nette, che non chiamano ambiguità. Ha detto “Da domani tutti gli Algerini dovranno cambiare le loro abitudini alimentari, di vestimento e di vita”. Non ha lasciato nessun margine di dubbio su quello che voleva dire, di vestimento voleva dire che le donne dovevano indossare il velo e se il FIS avesse governato avremmo avuto in Algeria delle piazze dove chi non prega il venerdì in moschea sarebbe stato flagellato come in certi stati integralisti, dove alle donne che non vogliono portare il velo sarebbe stato impedito di uscire di casa. Hanno anche detto che le donne rubavano il posto di lavoro degli uomini, andavano licenziate, questi erano i leader ufficiali di questo partito. Devo dire che o gli Algerini dovevano essere dei masochisti e accettare di essere governati da questo branco di fanatici o dovevano reagire. Perché il potere ha reagito? Perché è stato creato un Comitato di intellettuali algerini, laici e democratici, che hanno creato il Comitato per la Salvaguardia della Repubblica., e Di esso facevano parte molte associazioni femminili, e hanno chiesto ufficialmente al governo di reagire. Il governo ha dovuto reagire. E ha fatto bene. Io da democratica laica lo dico, ha fatto bene. Perché si gli europei, gli occidentali vogliono la libertà per sé, perché noi algerini dovremmo rinunciarvi? Per quale motivo? Il FIS era un movimento nuovissimo, improvvisato, assolutamente fanatico, i suoi leader avevano detto cosa volevano fare dell’Algeria, molto influenzati dall’Iran all’epoca del governo dei mollah e sappiamo come si governa in Iran. Non c’entra nulla con il movimento tradizionale di intellettuali che hanno una tradizione come al-Nahda in Tunisia, persino Hamas in Palestina. Io sono stata in Palestina, ho intervistato i leader di Hamas che non sono quei fanatici che ci vengono descritti da una certa stampa. Ci sono leader intellettuali, molto aperti e assolutamente illuminanti. Non c’entrano nulla con questi movimenti. O il movimento islamista che governa in Turchia. Non ha niente in comune con questi movimenti. Parlando di Sant’Egidio, brevemente, a Roma ho coperto quest’incontro di Sant’Egidio. Va anche detto, per amore della verità e integrità intellettuale, che Sant’Egidio ha invitato dei leader di questo partito che rivendicavano l’assassinio dei giornalisti da Ginevra, da Washington e da Milano. E io dico oggi se c’era un politico italiano che va in un altro Paese e ordina di ammazzare quattro giornalisti e poi viene invitato da un altro Stato a parlare come un grande leader politico e vogliono farlo sedere con un ministro di un governo legittimo, allora ci si scandalizza. Le cose scritte rimangono. Quando ero in Algeria e arrivavano in redazione questi comunicati stampa di questi partiti, di questi leader, uno di loro Anwar Haddam, che diceva, nero su bianco, hanno fatto bene ad uccidere quel tale giornalista, amico mio, collega mio, e devono continuare ad uccidere questi traditori che non vogliono lo Stato Islamico. Sant’Egidio li ha invitati, li ha fatti sedere in pubblico e io ho ancora nei miei archivi gli articoli pubblicati dai giornalisti, dai giornali italiani con la foto di questo signore presentato come un grande leader algerino. E scusate. O sono tutti terroristi per voi e per noi, o abbiamo tutti un valore della nostra vita, oppure noi siamo dei sotto esseri e dobbiamo accettare di essere governati dagli integralisti e uccisi dai giornalisti e che questi vadano poi a rivendicare la nostra morte nelle vostre capitali. C’è qualcosa che non va, credo. Questa la parentesi del FIS. Per tornare su quello che diceva il collega Tramballi prima, sull’alternanza in Algeria. È vero, c’è una grande preoccupazione, abbiamo un presidente anziano che ha appena festeggiato 80 anni, non sta bene di salute, è in uno stato di salute molto precario e chiaramente siamo tutti molto preoccupati perché non è stata preparata questa alternanza. Magari si sta preparando nelle coulisse e noi non sappiamo niente perché non è che ci dicono cosa sta tramando il potere. È una serie e vera preoccupazione. Ovviamente crea preoccupazione. Ci sono le elezioni legislative tra due mesi, la cosa che volevo aggiungere. Ci sono partiti islamici, l’Algeria non è che ha bandito tutti i partiti di ispirazione islamista, solo quelli che rivendicano la violenza, perché sono fuori legge. Perché la Costituzione non permette di fare politica con la violenza costringendo la gente. Ci sono partiti attivi pubblicamente, autorizzati, infatti per il voto di maggio hanno fatto una coalizione fra loro e hanno deciso di presentarsi uniti per avere più seggi. Sono nel governo come ministri, sono al Parlamento purché bandiscano la violenza come dice la costituzione. Esattamente come in Tunisia. Non sono mai stati banditi del tutto. Perché nelle nostre società purtroppo, io lo dico da laica, purtroppo gli islamisti hanno ancora un potere, mi piacerebbe svegliarmi domani e vedere il 100% degli Algerini dire che non vogliono islamisti al potere, mi piacerebbe. Perché per me il movimento islamista, per quanto illuminato, limita il potere individuale, limita la libertà della donna. Chiaro, perché hanno riferimenti di dogma. La religione è un dogma. Tutte le religioni, non solo l’Islam, hanno dei dogmi intoccabili. Mi piacerebbe, ma è una realtà della nostra società. Ci vorrà un percorso. Prima il collega Tramballi diceva che questi Paesi hanno avuto tutto il tempo di fare un potere democratico. Tutto il tempo? L’Algeria è indipendente da solo mezzo secolo, 50 anni. Cosa sono 50 nella storia di un Paese? L’Italia non è diventata democratica in 50, 40 anni. Molti di più! Lasciamo che questi Paesi compiano il loro percorso. Perché il colonialismo non è stato un party finito, andati via i francesi, ciao andiamo, facciamo a modo nostro. Hanno lasciato traumi, una situazione terribile, generazioni di genitori traumatizzati per la tortura, per la guerra, per tutto il resto. Un’economia devastata, hanno lasciato un Paese che era ricchissimo quando lo hanno occupato, perché l’Algeria era il granaio del grano per l’Europa, per questo che i francesi ci hanno messo un occhio e due sopra e ci sono rimasti un secolo e trent’anni, 130 di colonialismo. Gli Algerini erano considerati cittadini di seconda serie, non era permesso studiare l’arabo, va anche detto, durante il colonialismo, gli Algerini hanno dovuto ricominciare tutto l’insegnamento introducendo di nuovo l’arabo. I miei genitori non hanno imparato l’arabo, era vietato. C’era solo il francese. Mia madre ha imparato l’arabo dopo, facendo dei corsi di alfabetizzazione, perché i Francesi non facevano studiare l’arabo. Era vietato. Hanno voluto cancellare questa identità. Non è stata una passeggiata il colonialismo. Per questo 50 anni nella vita di una Nazione, non è facile. Certo che ci sono clan conservatori, tradizionalisti che si contendono il potere e i democratici laici fanno fatica a trovarsi uno spazio. Ci provano. Ci provano. Non è facile, perché nessuno dice: prego accomodatevi. Chiaro che vengono strumentalizzati anche questi movimenti perché il governo per rimanere deve accontentare questi. Un po’ come succede anche in Italia e in altri Paesi. Anche in Italia, per esempio, ci sono partiti di estrema destra, xenofobi, razzisti ma sono in parlamento, sono anche ministri, perché bisogna dare una fetta a tutti. Non sono banditi, che io sappia. La cosa è molto più complessa di questo. Per tornare sull’economia, è vero che c’è una legge sull’investimento che rimane ancora un po’ obsoleta, anche se è stata riformata tante volte. Il governo algerino ha dato tanti incentivi ai Paesi per investire, incentivi fiscali, ma rimane ancora imperfetta. Ma non è vero che nessuno investe in Algeria. I Paesi del Golfo stanno investendo. I Cinesi, i Cinesi non credo siano scemi per andare ad investire in Algeria. Mentre gli Europei tentennano. Gli italiani soprattutto. I Francesi stanno investendo. Ci sono molte fabbriche di automobili che stanno facendo progetti in Algeria, Renault, Peugeot. Fiat ha avuto un progetto 20 anni fa che ha fatto la fine che ha fatto, perché l’Algeria ha investito tanto, ha fatto trovare un mega fabbrica pronta che Fiat non ha mai aperto. L’Algeria ha costruito un secondo gasdotto in Italia che doveva passare dalla Sardegna a portare il gas e nel frattempo l’Italia ha cambiato idea. L’Algeria aveva investito milioni su questo progetto, inaugurato da Prodi a suo tempo. E c’ero anche io. C’era il presidente Bouteflika e Prodi, è stato inaugurato con tutti, tagliato il nastro rosso, ma non è mai partito, è stato abbandonato. Perciò, ritorno al mea culpa. Allora, da un lato dico il governo italiano perché siamo in Italia, non è che ce l’ho con il governo italiano in particolare; il governo italiano fa pressione su questi Paesi del Maghreb per fermare in fretta e furia i contratti, gli accordi per rimpatriare i clandestini, gli emigrati, lo fa in 24 ore. I ministri sono andati dappertutto per concludere questi accordi, con la Libia, la Tunisia, vogliono farlo con l’Algeria, ma non vuole investire. Ok, non volete l’immigrazione verso il vostro Paese, però uno sforzo lo dovete fare. Perché se tu investi in un Paese ricco hai chiaramente un tornaconto, altrimenti i Cinesi non lo farebbero, i Paesi del Golfo non lo farebbero. Ma non vogliono investire, preferiscono investire in Sud America, in Polonia, in Romania, non vogliono gli immigrati, ma non ne usciamo. Non ne usciamo perché chiaramente in questi Paesi la povertà c’è. In Algeria no, perché la povertà è minima, perché lo stato sociale continua ancora a funzionare anche se come diceva il collega Tramballi, la crisi, la caduta del prezzo del barile del petrolio ovviamente ha fatto sì che questa super prosperità che si è vista negli ultimi anni fosse ridotta. Il governo ha dovuto ridurre il budget, la sua riforma finanziaria, ha dovuto annullare qualche progetto. Ma l’Algeria per anni, e ancora oggi, lo studio, l’insegnamento è gratuito. In Algeria non si laurea solo chi non vuole, chi è troppo pigro. Tutti noi, le mie sorelle e i miei fratelli, ci siamo laureati spendendo zero. Gratis. Perché lo Stato ti permette di studiare fino ai massimi livelli universitari. Gratis. Ti paga il pullman, ti paga la mensa e studi e basta. La sanità ancora è gratis al 100%. Ci sono degli altri acquisti. L’Algeria, cosa che io criticherò sempre, ha istituito un prestito per i giovani, senza l’obbligo di rimborsarlo. Prendi un prestito, apri una fabbrica, per combattere la disoccupazione, fai quello che vuoi, li giustifichi ovviamente con un progetto, ma se il progetto fallisce non sei tenuto a rimborsare. Per dire. Ovviamente perché c’erano i soldi. Ha costruito le case popolari, ha fatto delle mega città dove chiunque non avesse la casa poteva averla. Ovviamente non ha risolto tutto per niente, perché ci sono 40 milioni di Algerini e ci sono molti problemi soprattutto per gli abitanti del sud che vedono le prosperità, le ricchezze del petrolio e del gas ma loro rimangono emarginati. Mancano ancora strutture. Però lo sforzo è stato fatto su questa economia. E questo fa sì che, come diceva Tramballi, un giorno o un altro potrebbe esserci un’esplosione, io da osservatrice credo di no. Perché la classe media algerina è molto forte, negli ultimi anni con la prosperità ha potuto conquistare una prosperità, un certo stipendio. Ovviamente sì, se da un momento all’altro il petrolio dovesse calare a zero dollari, ovviamente sarebbe un’apocalisse in Algeria. Però il petrolio non arriverà mai a zero, c’è bisogno di gas e c’è bisogno di petrolio. Anche il potenziale dal punto di vista turistico è enorme. Ha un’agricoltura che comunque è stata sviluppata negli ultimi anni, a molti livelli. Le energie rinnovabili. L’Algeria ha firmato un grande contratto con la Germania per l’energia solare, l’energia del sud, per l’elettricità. Però ripeto, l’Europa tentenna perché guarda altrove. Allora, a un certo punto bisogna chiedersi, come in una coppia, cosa vuoi. Se tu non investi nella coppia, questa si sfascia prima o poi. Tu non vuoi gli immigrati, non vuoi flussi di rifugiati ma non vuoi investire. Non si può. Perché la riva nord e sud sono troppo vicine. Qualcuno diceva prima, se si va da Annaba, questa città all’est dell’Algeria, remando dritto, dritto mi raccontava qualche immigrato algerino qualche anno fa, basta remare con questa barca senza motore e arrivi dritto a Cagliari. Perciò non è neanche troppo lontano. Lo stesso per le sponde della Libia, della Tunisia. Per questo l’Italia ha interesse ad investire in Algeria. Non fa solo il suo interesse: partecipiamo, contribuiamo, come diceva l’ambasciatore Boffo, a creare questa stabilità. La stabilità non è solo una parola, e tanto meno può essere fatta solo da poteri democratici come noi. Non è la stessa storia. Non è la stessa età come vissuto di una Nazione, non è lo stesso contesto, non sono gli stessi mezzi. Se non dai una mano in nessun modo, stai lì ad osservare, alla fine non puoi prendertela semplicemente solo con le persone che vivono nel posto più disagiato perché non state capaci di cavarsela. Penso che bisogna anche sentirsi un po’ responsabili. La politica dell’Unione Europea, il partenariato, la politica di accordi firmati con questi Paesi: questi Stati del sud non sono scemi, si rendono conto del “ma cosa vuoi da me”. Mi firmi un accordo, mi parli di partenariato ma mi tratti sempre come uno inferiore, non ci sono gli stessi tornaconti. Come diceva qualcuno prima, la proposta di aumentare di una piccola quota dell’olio tunisino ha creato il finimondo. Alla fine c’è troppo egoismo, c’è troppa indifferenza e allo stesso tempo siamo preoccupati e vogliamo che il Maghreb rimanga stabile. Però cominciamo dal fare qualcosa, ma in modo onesto ripeto, e serio. Grazie.

VERDERAME

Avevo aperto dicendo che la mia esperienza algerina risale al 2008 e mi fa piacere apprendere che molte cose sono cambiate perché anch’io nella mia esperienza ho avuto la prova di una certa difficoltà e vischiosità dell’amministrazione. Non siamo noi Italiani i più adatti a parlare di amministrazione efficiente, ma certamente quella algerina, all’epoca in cui c’ero io era al livello di quella italiana e forse leggermente più in basso.

Dottor Tramballi.

TRAMBALLI

All’inizio degli anni ’90, quando cadde Berlino, gli americani iniziarono il processo di pace in Medio Oriente principalmente quello arabo-israeliano, con la conferenza di Madrid che poi venne superata da un tentativo norvegese perché se aspettavamo che la lobby americana risolvesse la questione israelo-palestinese, eravamo ancora lì ad aspettare. Per l’altro siamo ancora lì ad aspettare. Ma ci fu una specie di revisione dei compiti. Gli americani si occupavano della parte politica, cioè del processo di pace politico, e infatti non ci fu solo quello con gli israeliani, israeliani e palestinesi ma anche israeliani e giordani, israeliani e giordani, gli israeliani arrivarono anche molto vicini ad un accordo. Gli europei invece avevano un altro compito in questa divisione del lavoro, e cioè quello di occuparsi della parte economica, perché l’Europa nel suo insieme dal punto di vista politico non conta nulla, ma dal punto di vista economico ha un peso. Siamo sempre la regione con il più alto livello di qualità di vita, e la regione più ricca con il più alto numero di commerci e interscambio. E quindi nacque Barcellona, poi arrivò Sarkosy che si prese il processo di Barcellona. Ma tutto fu sempre sbagliato, nel senso che questo modello fu sempre tutto euro-centrico. E cioè noi cercavamo di aprire i mercati, i loro mercati ai nostri prodotti. Quando però poi l’Algeria appunto iniziò a dire “noi abbiamo anche un po’ di acciaio”, allora, aspetta, perché poi i Tedeschi?. Quindi, in realtà, fu fallimentare sin dall’inizio perché noi non facemmo il nostro lavoro, cioè quello di mettere anche questo Medio Oriente, che sia privo dei conflitti statici della guerra fredda, non aiutammo per niente la regione a svilupparsi economicamente. Noi continuavamo ad andare ad investire lì, ma a loro non aprivamo i nostri mercati. Detto questo, però, io non parlavo di democrazia. Non sono così utopistico da pensare a modelli democratici europei in qualsiasi Paese del mondo. Ognuno poi si sceglie la sua strada, quello che conta è la stabilità e il consenso popolare, qualsiasi sia il regime che governa quel Paese o quelle Regioni. Quindi non mi riferivo a 50 anni, sono pochi per la democrazia. 50 anni sono più che abbastanza per creare il sistema che si vuole, ma che sia un sistema che abbia una società civile, che garantisca una ricchezza, un equilibrio all’interno del loro Paese e anche all’esterno delle frontiere di questi Paesi. Ricordo che alla fine degli anni ’90, l’Agenzia per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, fece una lunga ricerca sul Medio Oriente a livello di crescita e alla fine degli anni ’90 l’intero Medio Oriente stampava meno libri, titoli di libri della sola Spagna. Nell’intero Medio Oriente, al suo interno, non all’esterno, il suo interscambio interregionale era solo il 9%. Per darvi un’idea il nostro era del 65%, lo scambio dei prodotti all’interno dell’Unione Europea era il 65%, i Paesi dell’Estremo Oriente arrivano quasi al 70% perché la ricchezza di partenza dell’interscambio è all’interno dei tuoi confini, confini allargati anche all’insieme di gruppo geopolitico e soprattutto economico. È rimasta bassa, e continua a essere bassa. Vi faccio un esempio. Quando i libanesi comprano patate, non le comprano in Siria. E quando il Marocco ha bisogno di acciaio non lo compra in Algeria. Algeria e Marocco sono due gioielli, insieme alla Tunisia, come il Maghreb, due gioielli di stabilità in questo momento in un Medio Oriente estremamente complicato. Non aiuta le relazioni tra i due Paesi il problema del Sahara Occidentale, che non permette che ci sia una stabilizzazione, un ordine, perché si continua a litigare sulle ambizioni marocchine nel West Africa e sulle questioni di frontiera fra i due Paesi. E questo è importante. È vero che non bastano, 50 sono pochi. Però in 50 l’Egitto è divenuto un Paese moderatamente ricco. E la Corea del Sud era un Paese mostruosamente povero, profondamente destabilizzato dalla guerra. 30 anni dopo, la Corea del Sud, al di là delle ultime vicende di corruzione del presidente, resta comunque un Paese per di più democratico, ma quella è un’altra cultura ma soprattutto profondamente ricco, stabile dal punto di vista economico. Se la mettiamo sul piano religioso, beh ma sai lì non sono musulmani, l’Indonesia è un fenomeno di crescita pazzesca, ed è un fenomeno che avviene all’interno di un quadro democratico. Non credo che l’Indonesia abbia avuto molto più tempo. Quando ho chiesto al mio amico Amr Musa, ex segretario della Lega Araba, Ministro degli esteri egiziano, candidato presidenziale, per quale motivo l’Egitto, rispetto, per esempio, alla Corea del Sud, fosse diventato un Paese poverissimo mentre la Corea del Sud diventava stabile e ricco, lui mi disse “Beh, perché loro non hanno avuto Israele che è un elemento di stabilizzazione”. Questo è vero. È anche vero che Israele è anche un potenza nucleare. Però quando tu parli dell’altro modello che ha di fronte a sé la Corea del Nord, con quella famiglia di pazzi, non credo che questa presenza di Israele sia una giustificazione, qualcosa che giustifichi il fallimento clamoroso dell’Egitto. Questo voglio dire. L’85% degli occupati nel Medio Oriente, Nord Africa viene garantito dalle piccole industrie, cioè dall’economia nera, dall’economia informale. Eppure l’economia informale, le imprese private hanno accesso a meno del 8% del credito delle banche. Quindi, sì, danno lavoro, ma danno un lavoro povero e non sono in grado di svilupparsi queste piccole e medie imprese. Le piccole restano piccole, le micro restano micro, le medie restano medie. Non che in Italia le piccole siano diventate grandi intendiamoci, però ecco questo è un dato di fatto. Quando tu hai l’8% del PIL totale del Medio Oriente che è consumato in sussidi solo all’energia non vai da nessuna parte, perché poi questi sussidi non vengono dati ai poveri. Per esempio, in questi ultimi mesi Narendra Modi, che ha stravinto le elezioni, ha cominciato ad abbattere tutte le spese sui sussidi e funziona. Perché ha cominciato a dire ai ricchi, voi i sussidi non potete più averli, e i ricchi ci stanno, accettano questa cosa. In Medio Oriente no, la grande parte dei sussidi non va ai poveri, la gran parte dei sussidi va alle imprese che già esistono così non pagano la bolletta della luce e del gas. Questo intendevo dire, in tutti questi anni, se escludiamo i tre Paesi del Maghreb e se escludiamo forse la Giordania, stiamo parlando di monarchie, la monarchia ha più stabilità, è più legittimata delle repubbliche del Medio Oriente, beh modelli di non voglio dire democrazia anche se la Tunisia poverina ci prova e credo che l’Algeria sia lì lì, c’è un forte sentimento di democrazia. L’Algerino lo capisci al volo, lo capisci che crede nel luogo nel quale vive, crede nella sua rappresentanza, anche di un governo che fa fatica a stabilire la successione. Ma il Medio Oriente è sostanzialmente una Regione molto fallimentare, non solo dal punto di vista economico. Tutti questi sono dati della Banca Mondiale, del Fondo Monetario e prima ancora delle Nazioni Unite. Prima ancora del 2011. E questi dati aiutano molto di più, molto di più della geopolitica e della religione a spiegare la ragione dell’esplosione delle primavere arabe e poi del caos. L’Islam politico. Sì io credo che il FIS avesse fatto delle cose pazzesche. Gli intellettuali francesi, lei ha detto una cosa giustissima, tutti gli intellettuali, anche i nostri Italiani, ma sono più periferici, ma i danni che sanno fare gli intellettuali francesi… gli intellettuali francesi sono peggio di un’arma di distruzione di massa. Dicono di quelle fesserie, ma delle cose, con la loro arroganza di intellettuali francesi, soprattutto quelli di Parigi; credo che i Parigini siano ancora più detestati dai Francesi stessi che dagli altri. I danni che hanno provocato! Parlavo prima del rapporto strettissimo tra Francesi e Algerini. Un po’ tutti negli anni ’90 prendevano la linea dagli intellettuali francesi, ed era sempre una linea di una profonda ostilità verso un regime che gli aveva fatto una faccia così. Quindi, saranno anche stati intellettuali francesi di sinistra, ma prima di tutto Francesi; loro hanno un nazionalismo che per fortuna noi non abbiamo, perché poi i Francesi sono degli Italiani che hanno avuto successo nella vita, niente di più, che hanno un’organizzazione migliore, che hanno una selezione nelle scuole, ma in realtà sono come noi. Però, poi, tornando invece alla nostra epoca, perché la prima esperienza di estremismo religioso che si è trasformato in terrorismo, noi tutti quanti eravamo impreparati, del resto siamo stati impreparati anche quando i giovani di seconda e terza generazione d’Europa partivano per andare a combattere con l’ISIS, con il cosiddetto Stato Islamico e noi li abbiamo lasciati andare, perché pensavamo al regime siriano e la nostra naïveté rispetto alla cultura dell’Islam, credevamo che erano come i ragazzi che negli anni ’30 andavano a combattere in Spagna nelle Brigate internazionaliste contro il regime fascista di Franco. Invece non era esattamente lo stesso esempio. Però io credo che la grande possibilità dell’Islam politico sia stata data dall’Egitto, e concludo con questo. Il processo dell’Egitto è stato come tutti sapete piazza Tahrir. Ricordo i giovani, momento di grande eccitazione, non mi sembrava vero, era un luogo di grande passaggio, di traffico di macchine, era un non luogo piazza Tahrir fino a quando non cominciò la rivolta. Poi ci sono stati i militari, le prime elezioni democratiche della storia dell’Egitto. Faraoni compresi evidentemente. Vinsero chiaramente i Fratelli Musulmani, e i Fratelli Musulmani furono una grande opportunità persa. Intanto i Fratelli Musulmani non erano preparati, ma tanto ci fu il Deep State che improvvisamente incominciò a far sparire la benzina dai distributori del Cairo, poi improvvisamente dopo il colpo di stato i distributori ricominciarono ad avere benzina. Poi ci fu il golpe, fu un golpe militare in tutto e per tutto, se non che però in fondo non si può non ammettere che un golpe militare sostenuto da più della maggioranza della popolazione è un golpe militare anomalo. Perché comunque il Paese era profondamente spaccato. I Fratelli Musulmani commisero il gravissimo errore di mentire. Forse la dissimulazione che c’è come una delle regole dell’Islam. Promisero che non avrebbero richiesto la presidenza per non spaventare i laici, perché poi in Egitto c’è… scusate uso la definizione laica per intenderci, nel mondo arabo, forse tranne Tunisia e Algeria, quando parliamo di laico è un’altra cosa, è una parolaccia dire laico, si dice civile, non si dice laico. La laicità nei Paesi profondamente religiosi non esiste. Però lo dico solo per intenderci. Avevano promesso che non avrebbero vendicato la presidenza e invece hanno candidato il loro uomo, avevano promesso che avrebbero fatto un governo con più partiti, anche con i socialisti e con i laici, e invece hanno governato da soli. Avevano promesso che avrebbero dato Ministeri alle donne, e non hanno dato nulla alle donne. Quindi hanno mentito continuamente, tra l’altro governando male perché erano totalmente impreparati a farlo. Questo è stato un momento molto triste, perché se avesse funzionato quell’Islam politico, la questione dell’Islam politico a questo punto avrebbe guadagnato 20 anni, forse il Medio Oriente avrebbe guadagnato 20 anni di stabilità. Poi ovviamente vedo quello che fa Erdogan, un giorno sì un giorno no, e allora penso che forse il generale al-Sisi non aveva completamente torto.

VERDERAME

Ancora più problemi di quanti non ne abbiamo posti all’inizio. Io vorrei ringraziare il dottor Tramballi per una definizione che trovo perfetta, se permette la utilizzerò in futuro. Quando ha detto, un regime si giudica dalla stabilità e dal consenso popolare. Se Bush e gli altri americani lo avessero capito, molti dei disastri ai quali abbiamo assistito non si sarebbero verificati.

Mario Boffo.

MARIO BOFFO

Due cosette molto puntuali. Naturalmente quando si parla di Medio Oriente, emerge sempre il Processo di Pace in Medio Oriente. Secondo me, c’è molto di funzionale nel mondo moderno, credo che il Processo di Pace sia funzionale a un certo nostro modo di intendere il mondo. Penso che se qualcuno avesse voluto veramente risolverla questa questione, in 75 anni ci saremmo riusciti. In realtà, il processo di pace che ha le suo logiche, che ha le sue regioni, storiche e politiche attuali, è anche un po’, non dico una scusa, ma un pretesto a cui tanti si attaccano per giustificare il fare, il non fare, per giustificare i propri errori e le proprie vedute. E questo vale non solo da parte Occidentale, ma anche da parte dei Paesi e dei popoli arabi. Una cosa che mi ha colpito, è questa particolarità attuale dell’Algeria, che poi è condivisa da un altro Paese che conoscono meglio, l’Arabia Saudita, cioè hanno garantito la stabilità e anche un certo benessere perché vendevano il petrolio, il gas a prezzi alti, adesso non lo possono fare più, e quindi addio stabilità, addio benessere. Questo avvalora ancora di più quello che ho detto prima. E sarebbe molto assennato da parte di tutti soffermarci su questo punto. Cioè la necessità di creare in questi Paesi una struttura economica e industriale che non sia strettamente dipendente da una sola produzione. Che poi è un po’ il problema storico di quello che una volta si chiamava Terzo Mondo. Io non lo so, non ci sono le condizioni attuali, certamente è difficile e così via. Ma credo che l’Europa e l’Occidente farebbero bene a pensare a una sorta di intervento collettivo, condiviso con i Paesi medio-orientali certamente, nessuno regala niente. Ma condiviso per cercare di creare delle vere economie. Perché fino ad ora questi Paesi, molti di questi Paesi, hanno vissuto con economie falsate da un’unica ricchezza, che andava bene in un trend economico favorevole e che può andare molto male in un trend economico opposto. Non voglio parlare di creare una sorta di piano Marshall collettivo perché non ci sono le condizioni né economiche, né finanziarie né politiche. Ma un qualcosa a cui dovremmo poter tendere per superare questo maledetto momento in cui tutti hanno sbagliato tutto, dovrebbe essere un qualcosa del genere. Una sorta di Piano Marshall mirato a una maggiore e più onesta attitudine al dialogo tra i popoli. Molto spesso qui si parla di somiglianze con la famosa conferenze CSCE che in qualche modo ha avviato sul piano economico ma anche delle libertà sul piano culturale e democratico, nel senso buono, voglio dire ha sbloccato una situazione che sembrava paralizzata. A queste due cose bisognerebbe pensare con una prospettiva di medio termine. Un piano tipo Marshall per innescare economie vere in tutti i Paesi, e un piano di dialogo vero, sincero ed onesto che non consista nel bombardare qua ed invadere là, ma di mettersi in gioco, noi e loro. Grazie.

VERDERAME

La seconda parte è quella più difficile.

TRAMBALLI

La definizione da usare. Lo sapete sono milanese, vivo a Roma, e a parte l’immondizia, i trasporti e un’altra quindicina di cose sono felice di stare in questa bellissima città. Però sono milanese, continuo a votare a Milano, e soprattutto sono milanista dal volto umano, e dico dal volto umano per distinguermi da Salvini che secondo me ha la faccia da interista ma dice di essere milanista. Se vuole usare anche questa definizione.

VERDERAME

Apriamo il dibattito. Se ci sono domande, i relatori sono certamente più che disponibili a rispondere.

AMBASCIATORE D’ALGERIA, S.E. Abdelhamid SINOUCI BEREKSI

Ho un problema con l’italiano. Vorrei ringraziare OMeGA per questa iniziativa che è molto importante, e soprattutto come Algerino mi congratulo con tutti voi per il modo in cui avete presentato il mio Paese. Vorrei solo aggiungere qualcosa su un aspetto forse non toccato, ovvero la Guerra di Liberazione, sono d’accordo sul fatto che sia una tappa estremamente importante che ha marcato l’identità algerina. Essere Algerino è il risultato della lotto di liberazione, di tutta l’Algeria. Per gli Algerini la libertà rappresenta una conquista fondamentale. Poi siamo stati vittime del terrorismo. Io ho un grande rimpianto. Sono stato ambasciatore dell’Algeria in Pakistan negli anni ’80. L’invasione sovietica dell’Afghanistan fu nel 1979 e abbiamo visto negli anni ’80 un movimento di crociata, ma non pensiamo alla croce. Una piccola domanda: i Musulmani sono preoccupati per quanto riguarda il comunismo? Abbiamo visto all’epoca che non c’era musulmano indottrinato per andare a combattere contro le truppe sovietiche in Afghanistan. E lo schema è stato chiaramente stabilito. C’è stata un’ideologia, soldi, una volontà politica ed è per questo che centinaia di Algerini sono stati reclutati attraverso uno schema tracciato dagli americani, basato su un’ideologia e finanziamenti sauditi, e utilizzando passaggi territoriali pakistani. Le centinaia di Algerini reclutati sono stati indottrinate da scuole religiose e poi successivamente dopo vari passaggi si sono uniti ai Signori della Guerra. All’epoca vi posso assicurare che l’Algeria non aveva accesso per poter allertare gli amici europei. Io in qualità di ambasciatore algerino in Pakistan ho parlato con i miei amici ambasciatori europei per spiegare loro il pericolo, per spiegare loro che questo schema che stava per essere tracciato avrebbe destabilizzato alcuni Paesi e l’Algeria fu il primo Paese, utilizzando degli Algerini. L’Algeria ha formato una Guardia di Liberazione, l’Algeria ha una politica indipendente di matrice anti colonialista, l’Algeria preoccupava, era anche il Paese che ha nazionalizzato gli idrocarburi. Da lì a dire che c’era uno schema o un piano per destabilizzare alcuni Paesi non ne sarei così sicuro, ma posso dire forse. Volevo dare questo chiarimento perché raramente si da alla storia l’uso dei giovani a scopo di difesa politica, utilizzando la violenza ma che la fonte di tutto ciò fu l’Afghanistan. Vi ringrazio per questo chiarimento. E per quanto riguarda le vostre domande sull’Algeria posso dirvi che l’Algeria ha delle istituzioni, una costituzione che funzionano ancora. Anche se, a volte, non lo comunichiamo abbastanza. Ma le istituzioni sono ancora rispettate. E la costituzione è tutt’ora rispettata. Dall’indipendenza l’Algeria ha varato il suo programma di sviluppo nazionale e ha intrapreso una politica regionale e europea molto forte. Il primo gasdotto fu costruito dall’Algeria all’indomani dell’indipendenza. Negli anni ’60. Il gasdotto che va attraverso la Tunisia, il Mediterraneo, la Sicilia. L’altro attraverso il Marocco, lo stretto di Gibilterra e questo politica mediterranea e magrebina è ugualmente sostenuta da una politica africana. La route de l’unité africaine, un progetto enorme che è assecondato dalle comunicazioni di tutta la parte africane, poi un altro progetto grande di trasporto del gas dalla Nigeria verso il nord dell’Algeria per poi essere immesso nel gasdotto verso l’Europa. Un progetto enorme, che permette di sviluppare tutta la zona del Sahel che è una zona che ha bisogno della nostra attenzione e del nostro sforzo. E mi congratulo con l’Italia per aver aperto le sue porte, per aver compreso che tanti dei problemi che il Mediterraneo e l’Europa vivono, spesso arrivano da zone di grande povertà e di instabilità dell’area sub-sahariana, la regione del Sahel. Vi ringrazio molto dell’occasione che mi avete dato e di tutto ciò che avete detto sul mio Paese. Grazie mille.

PUBBLICO

Buongiorno. Mi chiamo Vincenzo Pezzolet. Una domanda che forse potrà sembrare anche sciocca e superficiale ma vorrei la vostra opinione, in particolare del dottor Tramballi. Ma la laicizzazione tra virgolette, civilizzazione come la vogliamo chiamare, poi però vincono i partiti religiosi. Perché? Cioè se in Algeria vince il partito religioso, poi succede quello che succede, poi in Tunisia vince un partito religioso, poi in Egitto vince un partito religioso, poi in Turchia vince un partito religioso, ma allora? Questa laicizzazione, questo processo di, adesso non vorrei straparlare, ma questo processo di democratizzazione… per me se un partito religioso vince, ma è il mio pensiero che vale quello che può valere, ma di tutta questa democratizzazione c’è poco. Anche da noi, c’era la democrazia cristiana, ma perché c’era il più forte partito comunista all’epoca del mondo occidentale, quindi aveva una sua ragion d’essere. Ma un partito politico integralista o comunque di stampo religioso, perché vince in un momento di espansione di questa , sempre tra virgolette, laicità? Sono curioso. Forse la domanda è sciocca, chiedo scusa, ma mi interessa. Grazie.

TRAMBALLI

Questo è esattamente quello che dicevo prima. Intanto non ho mai messo da parte la democratizzazione, ho parlato di sistemi che funzionino e che abbiano consenso, che poi sia qualcosa di simile al nostro concetto di consenso e funzionalità è un altro discorso. Ma è proprio quello che dicevo prima quello che lei ha sottolineato. Infatti i partiti religiosi crescono, c’è l’Islam politico che cresce con la crisi o con l’incapacità di far nascere quello che dicevo prima, cioè una società civile, non uso la parola laica appunto perché prima ho fatto la spiegazione che il laicismo, se togliamo Tunisia e Algeria, è una definizione sbagliata per tutti gli altri Paesi. Però parliamo di società molto religiose, molto più religiose di quelle occidentali. Quindi i paragoni con democrazie occidentali, italiane o tedesche sono difficili. Però sono il prodotto del fallimento della nascita di queste società. Per esempio, l’Egitto è il caso classico, abbiamo visto il simbolo della rivoluzione anti colonialista, dopo l’esempio algerino forse il colpo di stato del ’54 che avvenne per l’altro prima della rivoluzione algerina. Nasser diventa il simbolo dell’anti colonialismo. Poi è arrivato il socialismo, poi è arrivato Assad, poi dopo l’apertura all’occidente e poi comunque società molto compresse, e alla fine fallimentari sono i dati, le cifre economiche che davo prima. Incapace di produrre lavoro, ricchezza, incapace se togliamo il Maghreb. Soprattutto quello che manca al mondo arabo, soprattutto ai Paesi e alle monarchie del Levante, sono le riforme scolastiche, le riforme dell’istruzione. È il grande punto di queste società. Quindi in questo grande vuoto, e in questi fallimenti di esperimenti economici sempre falliti, sempre magari sollecitati ora da Sovietici e poi dopo la Guerra Fredda da tutti i capitalisti, compresi i Russi. In questo vuoto, però, è sempre entrato il fondamentalismo religioso che poi ha usato… ecco distinguiamo, fondamentalismo religioso secondo me è anche quello di Comunione e Liberazione, ma ovviamente non è terrorismo anche se mi sento umiliato di aver avuto come presidente della regione quello là per due mandati, ma questi sono giudizi personali. Però ecco entrano in quel vuoto. E come dicevo prima, la grande occasione perduta dei Fratelli Musulmani egiziani, perché se avesse potuto funzionare, se avessero potuto governare per qualche anno, forse l’Islam politico si sarebbe edulcorato dell’elemento della violenza, sarebbe stato possibile dimostrare che i musulmani possono governare, bene o male, ma decentemente. Invece no, con poi il contributo principale dell’integralismo religioso che ha sempre guardato a una trasformazione spesso anche militare o comunque anti democratica. Fermo restando che, diversamente da quasi tutti i Rais, e adesso mi riferisco principalmente al Levante, all’Egitto, i Fratelli Musulmani sono sempre stati dei grandi sostenitori del mercato, diversamente dai Rais, dai presidenti delle varie repubbliche arabe, popolari o no. Ricordo che quando andai ad intervistare il vero leader dei Fratelli Musulmani, al Cairo, che doveva essere lui in realtà il presidente, il candidato presidente, ma poi dal punto di vista costituzionale non era eleggibile ma era in realtà il vero leader. Parlammo di economia, e come è successo tra l’altro anche in Turchia, la prima cosa che i Fratelli Musulmani fanno è creare una Confindustria loro. Non una Confindustria come la mia che è capace di rovinare una perla di giornale come il Sole24ore, ma fanno la loro Confindustria. Una delle prime cose. Occupano l’economia in maniera molto più simile a come noi intendiamo l’economia di mercato di quanto non avessero mai fatto i regimi arabi. E infatti andando a intervistarlo gli chiesi “ma qual è la sua posizione economica?”. E lui mi disse “les affairs” che nemmeno George Bush con tutta la banda di neo imperialisti, nemmeno Trump sono sostenitori della scuola di Chicago come erano i Fratelli Musulmani. Quindi dal punto di vista economico non è mai stata data loro l’opportunità di provare. Però si certo, l’elemento islamico ha successo dove falliscono i modelli politici. Sono falliti quasi ovunque, e quasi ovunque abbiamo visto l’elemento fondamentalista, scusi radicale, terroristico.

AMBASCIATORE VERDERAME

La signora Benali ci potrà dire ancora qualcosa su questo punto, sul punto dell’islamismo politico.

BENALI

Sì, io ringrazio il signor Vincenzo che ha fatto una domanda molto pertinente. Ovviamente è un’osservazione che salta quando si tratta di fare l’analisi di queste società ma voglio anche precisare che non è vero che vincono sempre. In Algeria ha vinto il FIS nel 1991. Adesso nelle ultime elezioni stanno prendendo sempre meno voti, sono i partiti che prendono i voti minori in assoluto che permette loro di entrare nel Parlamento con una certa quota di deputati però sono assolutamente meno popolari. Il fatto che molti di questi movimenti integralisti siano degenerati verso la violenza, non solo in Algeria, il fatto che la gente abbia avuto la reazione contraria, di repulsione verso questi movimenti, in Egitto, in molte società, anche in Tunisia, questo ha aiutato il passaggio in modo dolce verso un potere di unità. Perché gli islamisti governano comunque in Tunisia ma hanno fatto una coalizione con gli altri partiti. Nelle società vi garantisco che questi movimenti sono in perdita di popolarità, dovuto molto al terrorismo. E su questo punto non sono molto d’accordo con il collega Tramballi quando parla di laicità in questi nostri Paesi e dice che è un termine non corretto. Non è vero. Perché stranamente non si vede da fuori, ma vi assicuro che per aver vissuto in queste società, per conoscere le altre società arabe, posso dirvi che l’Algerino è laico in assoluto. Io ho studiato nella scuola pubblica algerina, avevo un’ora di religione a settimana, e in quell’ora mi hanno insegnato il cattolicesimo e il giudaismo. Mentre in Italia, nell’ora di religione sull’Islam fanno vedere la donna velata e il cammello e la palma. No, non è così. Ho mia figlia a scuola, infatti l’ho fatta esentare dalla religione perché ho sfogliato il manuale e quello che c’è è così ridotto, così schematico e grottesco che ho detto “no le insegno io la religione”. Per il momento. Poi, se ci dovesse essere una riforma più convincente, ben venga! Per dire. L’Algerino è laico nel suo modo di vivere. Altrimenti con quale forza tutta una società, donne, si sono opposte a mani nude contro questi uomini che facevano dei massacri orrendi? Con quale forza? Ricordo, perché l’ho vissuto, quando trovavamo questi comunicati ogni mattina, uscendo da casa, per strada che dicevano “da domani qualsiasi donna uscirà per strada senza velo sarà uccisa”, e le donne e le madri, come sfida, pensate di mandare a scuole le proprie figlie senza velo, come sfida. Come dire, io esisto, un atto di esistenza suprema. Lo facevano, e mandavano le figlie a scuola, qualcuna è stata anche uccisa. E non sapevi se avrebbero fatto ritorno a casa. Nessuna società avrebbe resistito così, a mani nude, armi assolutamente no. Perché era intrinsecamente laica. L’Algerino è laico. È vero che rimangono certi tabù, ci sono ancora persone che vivono con una cultura più modesta che confonda tra ateo e laico, è vero. Ci sono anche dei circoli conservatori. Ma questi tabù si banalizzano molto negli ultimi anni. E posso dire, in modo ironico, grazie anche al terrorismo. Ultimamente un grande scrittore algerino, Boudjedra, ha detto in pubblico, ha fatto il suo coming out in pubblico, ha detto io sono ateo, non credo in Dio. Questa cosa, 10 anni fa avrebbe avuto una condanna a morte, invece no, c’è stato un dibattito intellettuale, sulla stampa, l’opinione pubblica per dire è vero, adesso è arrivato il momento di dirlo in pubblico. Non ha detto laico, che è una banalità, ma ha detto ateo. Che per un musulmano è difficile da concepire. E non è successo niente. Continua a girare per le strade, è veramente normale. Questo tabù è caduto. La stessa cosa con dei miei amici siriani, egiziani, l’arabo… non dimentichiamo che queste società arabe, diceva prima il mio collega Tramballi, il movimento del pan-arabismo, erano tutti di sinistra, erano tutti comunisti, socialisti, in Algeria nel ’70 le studentesse andavano con la mini gonna con i loro colleghi uomini nei campi, per la rivoluzione agraria, andavano a lavorare la terra con i contadini come si faceva a Cuba e in altri Paesi. C’era un grande movimento di socialismo, di emancipazione delle donne, tutto questo era laico ovviamente. In Algeria il velo è apparso alla fine degli anni ’80 perché c’è stata la rivoluzione iraniana che ha contaminato tutta la regione. Non c’era il velo prima. C’era il vecchio velo dei nostri nonni, che è tutt’altra cosa. Non è il velo che vediamo ora, che si è generalizzato tra certe ragazze. Ma per fortuna non tutte. Perciò il paradosso in Algeria, per dire come la società è veramente per certi versi è molto più laica di molti Paesi europei, che rimangono conservatori, come la Polonia, che rimangono molto cattolici, molto chiusi… il fatto che io conosco delle cugine che vanno vestite all’ultima moda, normale, in gonna corta, quando vanno alle feste anche scollate, ma si vestono assolutamente come qualsiasi ragazza a Roma, e fanno la preghiera. Qualcuna fa la preghiera, si mette il foulard e fanno la preghiera poi lo tolgono. E sono vestite poi normali, alla moda. Questo a me fa ridere, però è un pensiero laico, vivono la vita normale. Poi arriva la preghiera, pregano. Poi dopo sei mesi passa. Poi ci sono ovviamente quelle praticanti. Però, per esempio, ultimamente c’è stata questa polemica in Algeria che vi da’ l’idea di come la laicità sia radicata. Nel corpo della dogana, le donne possono entrare, in qualsiasi corpo, anche dell’arma, sono nella polizia, nella gendarmeria. E nella dogana c’è stata questa polemica. Le donne velate non c’erano prima, le donne che lavorano nella dogana sono senza velo, perché fanno combattimenti militari al confine, usano le armi, sono armate. Ad esempio stanno arrivando queste nuove generazioni, e qualcuna è velata perché influenzata dall’importazione di questa rivoluzione iraniana. E si è posto il problema. L’arma non vuole le donne velate. Pensate, è un Paese musulmano. Se vuoi entrare nella dogana, ti togli il velo. È stato detto così. Questo ha creato un dibattito. Come in Francia, del resto. Esattamente la stessa cosa. Ma hanno il difetto di vietare alle velate di entrare nella dogana, se vogliono e hanno i requisiti? E c’è chi cha detto di no, se vogliono entrare nell’arma devono essere operative, non devono avere ostacoli, devono toglierselo. E c’è stato un dibattito molto civile. Chi era contro, chi era per il sì. Poi hanno trovato un accordo, che solo quelle che lavorano nell’amministrazione potevano tenerlo, ma chi deve andare al confine, deve combattere, deve usare le armi, deve fare una scelta. Un dibattito di laicità, civile. In Algeria ci sono molti lati, dove io mi rendo conto che c’è una laicità nello spirito proprio dell’Algerino e non puoi imporgli una religiosità esterna. Adesso torniamo alla sua domanda, perché vincono? In Algeria, sono sempre in perdita di voti, ma perché in altri Paesi hanno vinto, in Egitto pochi anni fa? Bisogna dire che dopo il pan-arabismo, la caduta del comunismo, hanno lasciato un vuoto enorme in queste società. Al posto di questa sinistra molto illuminata, molto libera, molto laica, c’è un vuoto totale, non ci sono stati partiti che hanno preso la leva come in Italia dopo la Democrazia Cristiana ci sono stati altri partiti. C’è stata anche una concomitanza cronologica. È caduto esattamente con la rivoluzione khomeinista in Iran, e questo dileguarsi di questo pensiero integralista. Questi hanno trovato il vuoto lasciato dalla caduta del socialismo e del comunismo, e lo hanno riempito subito. E così sono riusciti anche ad infiltrarsi nel tessuto sociale. Perché bisogna dire che non fanno solo politica, poi spariscono. Sono molto, molto subdoli. Creano associazioni caritatevoli, è così che il FIS ha vinto all’epoca. Perché poi noi ci siamo chiesti, allora non conoscevamo così bene questa società, abbiamo fatto analisi, noi giornalisti abbiamo fatto inchieste. Si sono infiltrati in modo molto subdolo nella società come hanno fatto i Fratelli Musulmani in Egitto, hanno creato associazioni caritatevoli presenti in tutti i quartieri. C’era il supermercato del FIS dove si potevano comprare gli stessi prodotti a prezzo dimezzato. E tutta la gente andava dal FIS. E poi ovviamente quando si va al voto, per chi voti? Ovviamente per chi ti da prodotti a prezzo dimezzato. È populismo. Demagogia. Hanno creato associazioni di sostegno scolastico. Mi ricordo, i bambini che erano in difficoltà scolastica nel quartiere.. ah mandali da questa associazione, hanno dei volontari che sono molto bravi e vedrai che tuo figlio dopo recupera. E così, piano piano. La clinica con medici e volontari benevoli, dove non si pagava il minimo ticket come nei privati. In quelli pubblici non si paga. Così sono entrati nel tessuto. Si sono imposti come una forza sociale, che aiuta, che sostiene gli strati più deboli. E così, quando si va a votare, per chi si vota? Era un partito popolare. La stessa cosa hanno fatto i Fratelli Musulmani in Egitto. E questo non è così semplice. Non è così lineare. Chi vota per il partito religioso, allora la laicità non esiste. No. Bisogna vedere anche lo storico di questi partiti, come agiscono nella società, come riescono ad avere un consenso nel vuoto lasciato, bisogna dirlo, dallo Stato. Hanno occupato questo vuoto. E il contesto storico, la caduta del comunismo, del socialismo. Il vuoto lasciato, e c’erano loro pronti perché c’era appena stata la rivoluzione Khomeinista e io mi ricordo, ero al liceo all’epoca, quando ho visto la prima ragazza velata, noi la guardavamo come una mosca bianca. Come per dire, ma da dove esce, ma chi è, coma cos’è questo vestito? Mi ricordo come fosse oggi, perché non c’era nessuna ragazza velata nel nostro liceo. Una, poi dieci, poi cento. Perché fuori per strada circolavano libri di religione, tutti mandati dall’Iran, dai Fratelli Musulmani, e questi si sono contagiati nel vuoto spirituale che c’era. È stata una demagogia. Non tutti, perché le mie amiche, come me, sono rimaste senza velo, non sono state contagiate. Ma ha fatto comunque il suo percorso nella società. La stessa realtà vale per gli altri Paesi. Anche in Giordania. Per questo è una cosa storica, sociale, che fa sì che questi partiti hanno attirato consenso. Ma vi assicuro che dopo il terrorismo in Algeria, dopo l’ISIS, questi sono in totale perdita di consenso, di popolarità. Anzi, io ho anche litigato con amici egiziani intellettuali e giornalisti, che secondo me sono passati da un estremo all’altro. E io li capisco. Io ho detto, ero come voi, quando il terrorismo è cominciato in Algeria, avevamo un tale rigetto verso la religione, perché davamo la colpa alla religione per il terrorismo, invece non era vero. La cosa è molto più complessa, ma avevamo un tale rigetto che siamo diventati estremisti noi, perché anti-religiosi. Non volevamo più saperne della religione. Io, dopo, ho fatto il mio percorso. A me hanno illuminato gli intellettuali siriani a cui devo tanto, perché loro capivano l’islamismo in un altro modo. Dicevano, no non sono tutti per la violenza, non sono tutti radicali, e mi hanno spiegato, dopo di che io ho tratto questa conclusione, anche con i miei amici intellettuali siriani ed egiziani, anche litigando. Prendiamo atto, questo pensiero è presente nelle nostre società, non possiamo farci niente. Mi piacerebbe che ci potessimo svegliare domani e ritrovarci tutti laici, o atei, o agnostici, quello che vogliamo. C’è questo pensiero, molto complesso. C’è chi è praticante, chi non è praticante, se loro vogliono votare per questi partiti che rifiutano la violenza, legalizzati, chi sono io, come direbbe il Papa per dire loro di votare? Io devo solo prendere atto, aspettiamo 5 anni e forse saremo noi la maggioranza. Per il momento, se vincono dobbiamo accettare la libertà anche quando non ci conviene. Per questo dico che la laicità c’è. Perché noi durante il terrorismo siamo davvero diventati due campi, ci hanno anche battezzati gli Sradicatori. Perché è stata quasi una deriva. E oggi lo dico ai miei colleghi amici, anti religiosi, non volevamo saperne nulla, volevamo addirittura che a scuola l’ora di religione saltasse, la riforma della scuola. In Algeria stanno facendo la riforma della scuola, quel poco di religione che c’è nella scuola è sotto controllo, c’è un progetto per bandire le scuole coraniche, ché l’Algeria non è il Pakistan! Sono scuole dove si insegna un po’ di Corano, un po’ di matematica. Il Ministro attuale dell’Educazione è una donna e vuole chiuderle. Ha detto che se non riusciamo a controllarle al 100% meglio chiuderle. Che per me è una cosa estrema. Per dire, c’è tutto un dibattito sulla riforma della scuola. Certo che la laicità esiste, questi partiti hanno riempito un vuoto ma adesso con gli ultimi fatti terribili del terrorismo, dell’ISIS e di tutto il resto, anche se sull’ISIS ci sarebbe molto da dire, non è così semplice come sempre, c’è un percorso che si sta compiendo e un giorno diventerà la maggioranza, si spera. Grazie.

VERDERAME

Il dottor Tramballi voleva aggiungere qualcosa.

TRAMBALLI

Sì, volevo solo fare una precisazione. Probabilmente a causa della mia voce, la collega non ha sentito che per ben due volte io ho precisato che in Tunisia e in Algeria c’è il laicismo. Per tutto il resto non so, probabilmente in questi 35 anni sono andato in giro per tutto un altro mondo arabo. Però cito un episodio. Parliamo della Siria, un Paese il cui regime è sicuramente laico, ma laico sempre fino a un certo punto, non come lo intendiamo noi. Tant’è vero che c’è un famoso scritto, in questo momento ho la testa che mi pesa un po’, non ricordo il nome, che ha scritto un bellissimo libro, un siriano che vive in esilio in Francia, un bellissimo libro che è stato tradotto anche in Italia e io ho avuto l’onore di fare la prefazione per Castelvecchi, che si chiama La Conchiglia (ndr: Mustafa Khalifa, La conchiglia, i miei anni nelle prigioni siriane, Castelvecchi editore, Roma, 2014, recensito da omeganews.info in data 8/5/2017, http://www.omeganews.info/?p=3172, ndr). Lui racconta che andò dopo 20 anni che era in esilio a Parigi, tornò in Siria per un matrimonio, parlo di 15,20 anni fa, venne subito arrestato in aeroporto, portato nella famigerate carceri siriane del laicissimo regime siriano, e cominciarono a torturalo e a picchiarlo e lui continuò a chiedere “perché lo fate?”, e loro finalmente un giorno gli dissero “perché tu sei un Fratello Musulmano”. E disse: “Io? Io sono ateo, laico”. Il risultato finale fu che non solo venne isolato dai Fratelli Musulmani che lo credevano uno di loro, quindi in carcere venne isolato, quasi morì di fame, ma perfino persino i suoi aguzzini “laici”, perché lui aveva detto di essere ateo e laico. Rimase in carcere per altri 15 anni. Quindi quando parliamo di laicismo nel mondo arabo, ad eccezione dei due Paesi che ho citato per ben due volte, io credo che la versione, la visione del laicismo sia diverso. Un’altra cultura. Il laicismo che abbiamo in Europa, ci abbiamo fatto una guerra, 4,5 guerre di religione compresa una guerra durata 100 anni per uscire dal concetto, per imporre il concetto di laicismo, per arrivare alla Pace di Vestfalia stabilendo che ogni stato era libero di fare quello che vuole. Lo capisco. Ma parlare di laicismo nel resto del mondo arabo, ad eccezione dei Paesi che ho detto, mi sembra un po’ esagerato.

VERDERAME

Altre domande? Sì, certo, poi volevo aggiungere qualcosa anch’io su questo tema. Prego.

PUBBLICO

Buonasera, sono Claudio D’Agostino. Volevo intervenire sul rapporto tra democrazia, laicità e laicismo. Se n’è molto parlato durante questo dibattito e mi sembra che esca fuori un quadro in cui quanto meno democrazia e laicità possano essere sovrapposti come sinonimi. Il che non è. Specialmente nel mondo arabo. Specialmente nel mondo nord africano, la laicità ha voluto dire quasi sempre regime. Non ce lo dimentichiamo questo. Era regime quello di Nasser, era regime quello di Bourghiba, era regime quello di Boumediene, e tutti i loro successori, fino alle primavere arabe. Solo le primavere arabe hanno consentito uno spiraglio di cambiare i regimi. Quindi la garanzia di laicità non è assolutamente garanzia di democrazia. La democrazia, così come il dottor Tramballi giustamente dice, quando parliamo di laicità la mettiamo giustamente tra virgolette. Perché la laicità nel mondo arabo e islamico è un fenomeno sui generis. Lo stesso dobbiamo fare quando parliamo di democrazia. È chiaro che la democrazia non è esattamente lo stesso modello di democrazia che nasce susseguente alla rivoluzione francese, all’Illuminismo ecc. Il tentativo di introduzione del modello di democrazia nei Paesi arabi si è concentrato soprattutto sulla creazione di prassi, cioè sulla possibilità di poter andare al voto, sulla possibilità che si potesse andare al voto, sulla possibilità che questo processo fosse supportato da una società civile di cui ancora una volta parlava il dottor Tramballi. Ma nel momento in cui loro hanno tentato questo approccio al modello democratico, cosa è successo? Quasi sempre il processo è stato interrotto. Nella stessa Algeria. Il processo democratico, che era cominciato nel 1988 si è concluso con la rescissione di questo processo che ha portato a un colpo di stato. Lo stesso è stato fatto nell’Egitto di Morsi. Il tentativo di costruire un processo e delle istituzioni democratiche si è infranto contro un colpo di stato. Mi pare che nessuno a questo tavolo, abbia condannato questi colpi di stato. Anzi sono stati ampiamente giustificati. E allora, qui c’è la mia domanda, sul rapporto tra democrazia, laicità e anche il concetto di stabilità, che si connette direttamente al concetto di sovranità, di capacità di interpretare le istituzioni. Non a caso è stato fatto riferimento al Marocco e alla Giordania, due monarchie, i cui capi di stato sono dei capi religiosi, riconosciuti in tutto il Paese, quindi il concetto di legalità, di capacità di rappresentare le istituzioni. Nel momento in cui il colpo di stato diventa il modello con cui contrapporsi all’avanzata democratica dell’islamismo, io non so che tipo di discorso stiamo facendo e se questo corrisponde ai canoni delle rivoluzione francese e dell’Illuminismo. Grazie.

VERDERAME

Credo che la signora Benali possa rispondere a questa domanda, a questi argomenti. Io però vorrei ricordarle un paio di cose. A me pare difficile parlare di colpo di stato in Algeria rispetto all’integralismo montante che certamente democratico non era e non lo sarebbe stato.

PUBBLICO

È stato un colpo di stato, tecnicamente. Tra l’altro, non nei confronti degli islamisti ma nei confronti del presidente. Durante le elezioni, il primo e il secondo turno parliamo del 65%. Ci ritroviamo di fronte a un processo democratico interrotto con un colpo di stato anche nei confronti dei presidente, che è stato esautorato. Anche qui c’è il problema della democrazia.

VERDERAME

Io penso che non si possa non entrare nel merito. Poi la dottoressa Benali risponderà. Io volevo solo ricordare in particolare con riferimento all’Egitto che c’è stata una forte manifestazione popolare contro il governo Morsi. Non è stato un colpo. Il colpo di stato è stato contro la manifestazione popolare che voleva abbattere Morsi. Quindi le situazioni sono estremamente complesse.

BENALI

Grazie. Si, ha fatto bene l’ambasciatore Verderame. Non c’entra niente l’Egitto con l’Algeria. Perché in Egitto, un presidente votato poi è stato deposto e un generale è stato messo al suo posto, anche con un grande appoggio occidentale, americano. L’Algeria è molto diversa. Nel ’91 il FIS aveva vinto il primo turno delle elezioni, del resto con molti imbrogli, perché prima avevano vinto le comunali e siccome erano i comuni che organizzavano il voto, ci sono stati molti imbrogli su scala madornale. Hanno fatto votare 800.000 morti. Per dire, il risultato era da prendere con le pinze. Comunque, il secondo è stato sospeso. Ma non vuol dire che dal ’91 la democrazia, il voto in Algeria siano stati aboliti. C’è stata questa fase alternativa, è stato creato un Collegio transitorio di gestione del Paese, non c’è stato alcun presidente imposto, erano 5 leader storici della guerra di liberazione nazionale, molto rispettati, scelti per questo comitato che ha gestito il Paese in modo transitorio per 3 anni. Hanno preparato le nuove elezioni legislative e così i partiti sono dovuti tornare al voto, compresi quelli islamisti. Ma il FIS è stato sciolto perché i suoi capi rivendicavano la violenza. Rivendicavano il GIA, che era il braccio armato. Non potevamo lasciare degli assassini andare a presentarsi al voto. Credo che nessun Paese che si rispetti l’avrebbe fatto. Ora torniamo a fare questi ragionamenti scorbutici sul mondo degli intellettuali francesi e di sinistra. Mitterrand e il suo governo avevano appoggiato gli integralisti, all’epoca. E mi sembra, scusate, che fu solo tempo perso. Perché se un partito autoritario che ti dice da domani strappo la costituzione, e l’ambasciatore prima diceva, e sono d’accordo con lui, la Costituzione in Algeria nessuno l’ha mai violata. È una costituzione laica, democratica, e nessuno l’ha mai violata. Lui ha detto da domani la strappiamo questa costituzione e al posto suo prendiamo il Corano interpretato secondo noi. Perché magari applicassero il Corano nella sua spiritualità è un’altra cosa rispetto a quello che vogliono fare i fanatici. E sarà questa la costituzione del Paese. Ma secondo lei dovevano accettare questo? Se viene un partito in Italia e dice domani strappo la costituzione e governo come pare a me, con un partito che è una setta fanatica, completamente fuori di testa, gli Italiani dovrebbero accettarlo in nome della democrazia sacra? Mi sembra blasfemo, un’assurdità. Se la democrazia è buona per voi, dovrebbe esserlo anche per gli Algerini che volevano conservare la loro libertà, il loro modo di vivere. Sul fatto della laicità. Non è vero che laicità nei Paesi arabi è sempre stato sinonimo di regime. Non è vero. Per me lo Stato algerino, che dichiara nella sua costituzione che l’Islam è la religione di stato già non è laico. Questo articolo abbiamo sempre chiesto che venga abolito. In Algeria ci sono cristiani, ci sono ebrei, ci sono altre religioni. Perché dovrebbe esserci scritto sulla costituzione che c’è una religione di stato? Lo Stato non deve avere religione. Infatti noi, intellettuali laici, chiediamo sempre che questo articolo venga abolito. Perciò non è vero. Mi dispiace quello che diceva prima il collega Tramballi, Assad non rappresenta assolutamente il mondo arabo, ancor meno il mondo laico. È un assassino in libertà grazie all’appoggio russo. Va anche detta la parte enorme giocata dalla Russia per sostenere un assassino al potere, perché la Russia ha bloccato tutte le risoluzioni dell’ONU sulla Siria, che voleva creare corridoi umanitari, la tregua. Le ha bloccate tutte. Le ha fatte fallire tutte. Mentre noi stiamo parlando belli tranquilli in questa sede, la Russia sta continuando a bombardare i civili in Siria, ogni giorno ci sono vittime. Non se ne parla sulla stampa occidentale. Non importa a nessuno. Continuano a bombardare zone dove non c’è nessuno dell’ISIS. Civili. Donne e bambini. E vi posso assicurare che le vittime che l’esercito russo di Putin ha ucciso in Siria sono molto, ma molto più numerose di quelle che l’ISIS ha mai ucciso in quella regione del mondo. Per questo, riportiamo anche le cose nel loro contesto. È solo un assetato di sangue, è un vergogna per tutto il mondo che sia ancora al potere, che continui a governare un Paese che lui ha devastato semplicemente per rimanere al potere, spingendo 12 milioni di siriani all’esilio, in condizioni disumane, che ci fa vergognare tutti come essere umani. Perché io ho visto i bambini come sono stati ridotti, tranne quelli che sono stati massacrati con le armi chimiche di Assad. E questo non lo dico io, finalmente l’ONU ha fatto le sue inchieste e ha stabilito che ha effettivamente usato armi chimiche e continua a usarle, a bombardare. Che la Russia sta usando delle armi di distruzione, armi bandite, le usa su questi civili. Perché bisogna pur provare le armi per poterle vendere, perché l’industria delle armi è quella che fa durare questi conflitti. Non solo i fanatici. Diciamo le cose come stanno. Perciò per me sentire nominare Assad come sinonimo di laicità è una cosa demenziale. Assad è un criminale che deve pagare per quello che ha fatto al suo popolo e che continua a fare perché è ancora al potere. Non solo i Paesi arabi hanno giocato il loro gioco in Siria, la Russia ha la prima parte. Gli americani hanno lasciato fare. Potevano bloccare Putin, ma pur di non entrare in polemica con la Russia hanno lasciato fare. Hanno lasciato ammazzare i siriani, e continuano ad ammazzarli, pur di non entrare in conflitto. E’ questo che rimprovero ad Obama, che non ha avuto il coraggio. Non chiediamo l’intervento militare americano, bastava deporre questo criminale. Sono riusciti a deporre altri presidenti arabi, hanno ucciso Gheddafi quasi nel suo letto, Saddam lo hanno impiccato il giorno della festa musulmana, ci hanno fatto un bel regalo, ci siamo svegliati il giorno della festa e abbiamo visto Saddam impiccato, che penzolava da una corda. Un trauma per tutto il mondo arabo. E non sono riusciti a deporre un criminale? Tutti gli amici siriani, intellettuali, democratici, laici, nessuno si può permettere di negare loro questa qualità. Li leggo ogni giorno io la sera, e piango perché non potete immaginare la loro disperazione, che sono stati sacrificati dagli americani e non potete immaginare quanto maledicano al Russia e Putin e anche la Cina per una piccola parte, perché anche loro hanno bloccato le risoluzioni Onu. Li maledicono per quello che hanno fatto loro. Per tutti i bambini uccisi, per tutte le madri uccise, per tutti quelli che sono stati spinti all’esilio, sono imbarcati come bestie ai confini dell’Europa. Non esiste più asilo in l’Europa. Sono tutti dei delinquenti e devono rimanere lì al confine. Per questo credo che bisogna, l’ho detto all’inizio e mi dispiace ripeterlo, ma credo che ci sia bisogno di un po’ di rispetto per tutti questi arabi, laici, democratici, che lottano, soli, senza niente, senza nessun appoggio, che spesso finiscono in galera, spesso sono uccisi. Ma perché credono. Io leggo i loro commenti ogni sera. C’è un pittore, un regista geniale, uno scrittore che ha scritto un libro geniale. Non ci sono più coltelli in questa città, che è stato tradotto anche in Italia e Francia. Io leggo i suoi blog ogni sera. E lui dice, aspettiamo solo la morte, tutti ci hanno abbandonati. E non c’è persona più laica di lui, più democratica. Fino all’ultimo sono rimasti pacifici. E dicono aspettiamo solo la morte, perché abbiamo creduto in questa rivoluzione. E, certo, non sono complici di questi integralisti. Non c’entrano niente con l’ISIS e gli integralisti. Abbiamo creduto in questa rivoluzione pacifica, democratica e laica, abbiamo creduto, hanno iniziato a lottare da soli, hanno iniziato con delle rose, quando sono iniziate le manifestazioni a Damasco. Ma il mondo non ha memoria. Hanno cominciato così. Che uno è stato ucciso dall’esercito russo e siriano e dall’Iran. Perché anche l’Iran sta facendo un gioco molto sporco in Siria. Perché ricordiamoci che Assad ha l’Iran con lui, ha la Russia con lui. Sono stati tutti abbandonati. È terribile quello che è successo in Siria, per questo dico nel mondo arabo difficilmente ci sarà un’altra insurrezione. Dopo l’esempio siriano, perciò va bene fare questo discorso, tu sei più laico di me, io sono meno laico di te, però la verità cruda è che nel mondo arabo, chi si vuole ribellare si trova solo. E quando non viene massacrato o messo in galera aspetta la morte, come dicono questi amici a Damasco e ad Aleppo dove io sono stata. Ho amici che non esistono più. Erano laici, democratici. In memoria loro, non possiamo dire che non esistono laici nel mondo arabo. Vi prego, in loro memoria.

VEDERAME

Io credo che tutti rispettiamo il Suo dolore e di fronte a quello che è avvenuto in Siria e a quello che è avvenuto in Medio Oriente. Su questo punto credo che siamo tutti d’accordo.

BOFFO

Una rapidissima considerazione generale. La democrazia non è una serie di modalità, oppure un dogma vuoto di contenuto. E questo vale soprattutto per noi europei di questi tempi, attenzione per gli Stati Uniti. Ma è una cosa sostanziale. Secondo me, in quanto complesso di valori sostanziali, ancora ci crediamo, la democrazia deve battersi contro coloro che la negano. Pensiamo se le elezioni democratiche del 1933 in Germania fossero state annullate. Questo un piccolo paradosso. Grazie.

TRAMBALLI

Una brevissima precisazione rispetto alla Sua riflessione, che non è una domanda. Si è complicato rispetto alla democrazia, rispetto ai colpi di stato democratici. Faccio solo una riflessione. Se nel 1933 ci fosse stato un colpo di stato per fermare la vittoria democratica di Hitler, probabilmente l’Europa avrebbe vissuto un ventennio migliore di quello che ha poi vissuto. Non so cosa voglia dire questo. Ma è solo una costatazione.

PUBBLICO

Qualcuno dei relatori è in grado di farci una situazione di possibili sviluppi delle tendenze politiche in questi due Paesi. In Tunisia c’è già un processo avviato, in Algeria c’è qualcosa, come diceva il dottor Tramballi è un peccato che non ci sia ancora un’alternativa. Ma si può intravedere? Alternative come gruppi politici, singoli, persone?

BENALI

Sulla Tunisia peccato che non abbiamo nessun interlocutore però posso dire solo una cosa breve. Questo processo continuerà e sarà sostenuto a una sola condizione. La Tunisia è in una grave crisi economica, gravissima anche se non si dice, e può uscirne solo con l’aiuto che deve continuare da parte dei Paesi europei, anche di quelli vicini. L’Algeria sta facendo quello che può per aiutare la Tunisia. Ci vuole un aiuto economico esterno molto forte per poter continuare. Se questo aiuto dovesse venire a mancare si tornerebbe al punto di partenza. Questa stabilità è condizionata da questa cosa. L’Algeria, ovviamente siamo a un bivio, come dicevo prima per l’anzianità del presidente attuale, siamo arrivati al punto di poter permettere un’alternanza, un cambio generazionale. Quando Bouteflika è stato eletto, nel ’99, aveva promesso, la prima cosa che ha detto è stata “io passerò il testimone alle generazioni giovani e così dev’essere fatto in tutti i campi”. L’aveva promesso. Purtroppo ci sono state resistenze nel potere. Si può dire che l’età dei dirigenti non riflette quella della popolazione algerina, dove i 3/4 hanno meno di 30 anni, sono giovanissimi. Ma è anche vero, come diceva il presidente prima, che l’Algeria ha attraversato periodo terribili. E parlo del terrorismo, che non è durato 6 mesi, ma 10 anni. E 10 anni potevano polverizzare un Paese non solo renderlo più fragile. Ma le istituzioni hanno sempre tenuto, la costituzione, il parlamento. L’esercito non ha mai preso il potere, non è mai uscito per le strade. Sono sempre state delle linee rosse, perché c’è una società civile molto forte, una grande consapevolezza della gente, degli intellettuali. Ci sono dei limiti da mettere. Sicuro. Perché con l’inizio di questo cambiamento dovuto anche al calo del prezzo del barile del petrolio, c’è meno prosperità, il governo ha dovuto rinunciare ad alcuni progetti. Non è così drammatico come poteva essere. Ci sono ancora riserve di valuta, si può ancora ammortizzare il colpo per tanti anni. Ma parlando con la gente, si sente che non c’è questa fragilità che può far cadere il potere o il Paese. C’è una predisposizione a un cambio, dolce, però il potere deve reagire subito. Le prossime elezioni legislative si vedrà tra i partiti come sarà costituito il parlamento. E bisogna pensare alla figura del presidente, i candidati da presentare al popolo, sono giovani, di quale categoria. Ovviamente c’è una paura, si teme un’instabilità soprattutto contagiosa dalla Libia. Non ne abbiamo parlato molto questa sera, ma la Libia è un Paese in grande crisi. I confini con l’Algeria sono enormi, sono 900 km, l’esercito algerino è agguerrito, hanno tanta esperienza, hanno già preso disposizioni per controllare questi confini. Questi Foreign Fighters che tornato dalla Siria in Libia e vogliono tornare in Tunisia, passano dall’Algeria. Basta un gruppo di questi per far tornare il terrorismo, non dico come prima, ma a fare qualche strage che comunque destabilizza questa serenità che abbiamo conquistato. Per questo siamo a un bivio. Il potere deve dare un segnale subito. Già con queste elezioni di maggio vedremo quale vento, questo processo a che punto è arrivato. Però, ripeto, c’è una base in Algeria, c’è una società molto forte che non è manipolabile. Ha funzionato il vaccino del terrorismo, stranamente, paradossalmente ha funzionato il vaccino della Siria, perché quello che è successo in Siria è un esempio per tutte le società arabe. Per questo dico peccato. Peccato che questa rivoluzione, che era iniziata in modo bellissimo, democratico e laico, sia finita così, perché adesso la gente… Io sento parlare i miei amici algerini, quando ad esempio c’è stato questo giornalista che è stato incarcerato, dicevano basta adesso bisogna fare manifestazioni. Va bene che adesso siamo liberi ma si vede che ci sono ancora dei limiti, dei paletti da superare. Bisogna manifestare, fare qualcosa e tutti dicono “ah volete finire come la Siria, un Paese distrutto, con l’intervento di tutte le potenze regionali e non?”. Questo purtroppo, il terrorismo e il caso siriano sono due elementi che entreranno nella storia dei movimenti insurrezionalisti del mondo arabo. Hanno rallentato questo processo democratico. In Algeria potevamo forzare di più, potevamo veramente accorciare i tempi e chiedere ancora più democrazia, perché noi ci consideriamo il Paese più libero in assoluto nel mondo arabo. E laico. Perché non è vero che in Giordania sono più laici. In Giordania non se ne parla, non escono le informazioni. C’è una forte religiosità, il potere riesce a controllare la società, l’opinione pubblica. Non escono le notizie. C’è anche un problema di tribù, di clan. Ma in Algeria, l’individuo, per la sua storia, per la guerra di liberazione, è in maniera intrinseca laico e democratico. Non vuole che la sua libertà individuale venga toccata. Vuoi pregare? Prega. Ma lasciamo in pace. Ci sono ristoranti dove si consuma il vino normalmente. D’estate le donne vanno in spiaggia anche in bikini. Nonostante il terrorismo e l’integralismo, queste cose hanno resistito. Il modo di vivere è stato mantenuto. Perché la personalità delle persone è fatta così. Per questo non lasceranno assolutamente che ci sia una deriva autoritaria, gli integralisti non torneranno mai al potere e sicuramente non avranno mai i voti che hanno avuto nel ’91, parliamo di 16 anni fa. Ma il potere deve fare la sua. Purtroppo il terrorismo, il caso siriano, hanno rallentato questi processi. E rallenteranno. E anche l’Egitto. Perché anche l’Egitto è un esempio. Quello che è successo con Morsi non scherziamo, Morsi non è un democratico. Continua a mettere in carcere i suoi oppositori. I giornalisti messi a tacere, c’è una repressione feroce. Non se ne parla. In Egitto, le donne vengono arrestate. Chiunque vogliano arrestare attribuiscono loro la fama dei Fratelli Musulmani. Vuoi arrestare un intellettuale che è un oppositore troppo critico? Sei dei Fratelli Musulmani. E lo buttano in galera e buttano la chiave. C’è una forte repressione. Non è mica una democrazia. Per questo dico peccato. Perché c’era davvero un grande fermento in queste società arabe che poteva andare in modo pacifico, come in Tunisia, ma il caso siriano ha sradicato questa esperienza, qualsiasi speranza di attivare questo processo, come in Algeria, è svanito. Perciò tutti sono attenti, sono traumatizzati e vogliamo che il percorso continui, ma a passi prudenti e sicuri, niente interventi da fuori, ma soprattutto dobbiamo assolutamente seguire il ritmo attuale. Per questo il potere attuale ha una grande responsabilità, perché deve dare un segnale, assolutamente. E ripeto, il test decisivo saranno le prossime legislative per vedere la corrente che vincerà.

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Buonasera, Costanza Stocci. Io volevo fare una breve riflessione e poi una domanda. La riflessione sull’Egitto. Quando si parlava del ’33 e sulla democrazia. Quindi se la democrazia per auto preservarsi deve fare un golpe dobbiamo però chiederci chi era Hitler, nel caso egiziano? Come stava sottolineando Benali, Morsi metteva in prigione i suoi oppositori, sguinzagliò la polizia ma mai tanto quanto al-Sisi, e su questo siamo d’accordo. La legge anti protesta del novembre 2014 l’ha fatta al-Sisi. Tutte gli esuli egiziani che stavano scappando, in Libano, in Germania in Francia stanno scappando da al-Sisi, non stanno scappando da Morsi. E tantissimi di questi esuli sono sia Fratelli Musulmani, una comunità grandissima, ma anche i ragazzi giovani, potevano essere laici, rivoluzionari non importa. Semplicemente rappresentavano, e tutt’ora rappresentano quella via di mezzo che non ha trovato uno sbocco politico e nemmeno un appoggi. Questo era quello che volevo sottolineare. Invece, collegandomi al discorso dei Fratelli Musulmani, siccome in questi giorni si è vista la reazione di Erdogan in Olanda, in Germania, perché sta facendo campagna elettorale anche per poter far passare finalmente questa costituzione per avere pieni poteri. Sono anni che ci sta provando e ha fatto di tutto, disastri immensi per arrivarci. Dall’altra parte mi è capitato per esempio di vedere, durante le elezioni austriache, quando il presidente dei Verdi, Alexander Van der Bellen si è confrontato con Hofer, il ruolo che ha avuto la comunità musulmana e in parte anche i Fratelli Musulmani, che hanno chiesto alla comunità musulmana che è molto forte a Vienna, ma in generale anche a Graz di mobilitarsi per Van der Bellen. Quindi trovo che sia molto interessante questo scambio. Da una parte con Erdogan che fa campagna elettorale in Europa, e in modo così pesante, e noi qui in Europa che ci appoggiamo ai leader di queste comunità con un Islam politico, che non è radicale, ultra schierato, che è in esilio, ma che continua ad avere il suo peso anche nelle nostre comunità. Quindi volevo capire un po’ anche come vedevate questa cosa, se avevate fatto dei lavori anche su questo.

TRAMBALLI

Io ero pronto a far rispondere alla domanda dell’ammiraglio pensando di concludere la nostra lunga chiacchierata. Ma comunque una cosa veloce su questo. Per quanto riguarda il futuro dell’Algeria, se le pouvoir non si farà prendere dalla sua autoreferenzialità, se non crederà che le riforme non siano necessarie perché basta ancora lo spauracchio della Libia e della Siria per saltare le riforme, beh l’Algeria ha tutte le possibilità per andare avanti nella sua stabilità. Se appunto le pouvoir non commetterà di questi errori molto grandi. Per quanto riguarda la Tunisia, forse è ancora un po’ più complesso, sebbene la democrazia sia più avanzata. Il problema è un pochettino più complesso data anche la debolezza intrinseca del Paese, economica, un Paese più piccolo. Perché la costituzione del 2014, c’è la legge quella per gli investimenti, la legge sull’occupazione, la legge contro la corruzione, la legge sul check and balance del potere. Però nessuno di questi capitoli, di queste parti della costituzione è stata ancora applicata. Perché comunque soprattutto quando fai una Rivoluzione dei Gelsomini, una rivoluzione che è stata tutto sommato pacifica, abbatti il leader non la corruzione che rappresenta, non abbatti il sistema di potere che rappresenta. Non è che se i 5 Stelle domani andassero al potere, speriamo di no, non è che cambia tutto. Perché abbiamo visto il vostro sindaco che appartiene tutto sommato a quella cultura politica, quindi.. in Tunisia non è che abbattuto Ben Ali è finito tutto, ed è cominciato tutto il bello. C’è un sistema, un modo di fare, un modo di essere che non cambia. E io pensavo di finire qui. Per quanto riguarda l’Egitto, l’anno dei Fratelli Musulmani, l’anno di Morsi, è stato l’anno di massima, non solo per l’elezione democratica, ma è stato il momento di massima libertà della stampa. Non solo della stampa. Io ricordo e non dimenticherò mai quando andavo ai vertici della Lega Araba ai tempi di Moubarak che usciamo titoli tipo Le Monde entier attend le discourse de président Moubarak. Ma dove? Ricordo anche un mio carissimo amico, uno scritto egiziano, Ala al Aswani, uno che prima o poi si prenderà il Nobel per la pace, che ha scritto “Palazzo Yacoubian”, “Cairo Automobile Club”, un grande scrittore, sì veramente laico a dispetto di una Paese che non era laico nemmeno fra i laici. Ricordo che quando scrisse Palazzo Yacoubian, un successo mondiale, non uscì una sola recensione sulla stampa egiziana. La stampa egiziana è una delle più orribili in quanto a servilismo. E non è mai uscita una recensione sul suo libro che fu un successo mondiale. Quando è uscito invece Cairo Automobile Club, che governava al-Sisi, lui ebbe recensioni su tutta la stampa egiziana. E glielo dissi, scusa tu che sei sempre stato un lottatore della libertà, della democrazia, cioè il regime non l’aveva messo in galera solo perché lui era troppo famoso, e scriveva editoriali sulla stampa di tutto il mondo. E lui insisteva, diceva “si, ma i Fratelli Musulmani ci avrebbero fregati prima o poi”. Quindi non viene meno da questi suoi principi. Io credo che noi, come Europa, fatti saldi i nostri principi di base, i nostri valori che sono la nostra essenza, noi esistiamo perché abbiamo i nostri valori, valori suoi quali sto finendo di leggere una trilogia di un famoso scrittore storico americano sulla liberazione dell’Europa. Adesso sto andando a ritroso, sto leggendo il secondo libro che è sulla liberazione dell’Italia. Beh noi veniamo da lì, non possiamo rinunciare ai nostri valori. Certamente accettare queste provocazioni di Erdogan, il peggio del Fratelmusulmanesimo che si possa pensare, soprattutto pensando da dove è partito. Però noi non dobbiamo sostenere i Fratelli Musulmani, sostenere i laici né certamente Assad. Anche se lei ha chiesto quale è l’Hitler arabo. Anche se sommiamo Saddam, Gheddafi, e Bashar, forse me ne dimentico qualcuno, tutti messi insieme non arriveranno mai ad essere degli Hitler. Quello che ha fatto Hitler credo che nella storia umana non sia mai stato compiuto. Fatto da un europeo che ascoltava Wagner, che ascoltava Mozart, che forse leggeva Goethe, che poi aveva deciso che forse 6 milioni di europei, solamente in quanto ebrei, di un’altra religione dovessero essere sterminati. Ma non sterminati come… anche Saddam Hussein ha sterminato, ma no loro hanno sterminato europei su base scientifica, teneva il conto di tutti i numeri, come li avevano fatti fuori. No nessun arabo, nessun dittatore arabo arriverà mai alle mostruosità commesse da un dittatore mostruoso europeo. E questo anche per ricordare che per quanto noi guardiamo con distacco, rispetto alla loro brutalità, gli arabi non arriveranno mai alla nostra brutalità. Quindi io credo che noi europei non dobbiamo sostenere l’uno o l’altro. Dobbiamo sostenere i nostri valori, che a volte sono mobili, a volte elastici, non possono essere applicati così rigidamente perché parliamo di altre culture, se no rischiamo di cadere di nuovo nel colonialismo. Però io credo che noi non dobbiamo mai prescindere dai nostri valori. E credo che sia questa la ragione per cui ci siamo comportati male, per esempio, in Libia. Siamo partiti in quarta, poi ci siamo fermati. È sintomatico il fatto che in Egitto, sia i Fratelli Musulmani sia al-Sisi ce l’abbiano con gli americani. I Fratelli Musulmani sono convinti che gli americani hanno portato al potere al-Sisi, e al-Sisi è convinto che sono stati gli americani a portare al potere i Fratelli Musulmani. E credo che in questa doppia opposizione ci sia un fondo di giustizia. Che in realtà gli americani sull’Egitto, dopo aver spinto Moubarak a fare un passo indietro, non hanno più interferito, come invece una volta, durante la guerra fredda, americani e sovietici facevano. Questo dev’essere il nostro atteggiamento. A costo di lasciare quello spazio vuoto, che alla fine Barack Obama ha lasciato vuoto. Perché alla fine avesse riempito saremmo qui a parlare dell’imperialismo europeo, dell’imperialismo centrale. Limitiamoci ai piccoli imperialismi di un tempo, che non contano più nulla, come quelli che hanno i francesi, da qui le ragioni della loro presunzione e della loro arroganza. Questo credo. I nostri valori contano. Con tutto il rispetto per il fatto che non sempre possono essere applicati dall’altra parte del Mediterraneo.

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Buonasera. Cercherò di essere brevissima. Dunque la dottoressa ha toccato un tema molto delicato. Dunque lei diceva che laddove c’è stata una presa sul sociale è dove si infiltravano per promettere qualcosa in più dal punto di vista dell’assistenza. Questo pone un problema molto serio, perché da un parte vuol dire che trova un terreno già molto necessitante. Perché se tanto la risposta è diffusa vuol dire che la situazione sociale è molto difficile. Intendo dire della giornata quotidiana. Dall’altra parte dobbiamo anche pensare che la coscienza sociale sia facilmente, come dire, tenta di diventare facilmente preda. Non capisco, sento un ritorno che non riesco a capire. Comunque dicevo, che le cose sono due. O c’era veramente una situazione sociale diffusa di grande necessità e quindi in parte tra virgolette di abbandono da parte di altre, dove si sono infiltrati quelli che hanno promesso, poi vediamo se mantenuto. Mentre dall’altra parte dovremmo pensare che la coscienza delle prime e basilari aspettative del popolo siano soltanto su piccole cose concrete e che non ci sia una coscienza su temi importanti. Perché altrimenti c’è una discrepanza, se la diffusione e il ritorno c’è stato. Grazie.

VERDERAME

Il primo aspetto della sua domanda implica l’assenza dello stato nel quale altri si inseriscono, il secondo quello dell’assenza della cultura. Voglio dire se ci sono degli interstizi attraverso i quali si entra per rispondere alle esigenze della gente, certamente significa che lo stato ha fallito nel rispondere a quelle esigenze. È dall’altra parte se queste esigenze ci sono e possono essere comprabili con un piatto di lenticchie, significa che non c’è un cultura sociale all’interno di quel Paese. Ci sono altre domande?

PUBBLICO

Sarei curiosa di sapere, visto che si è parlato anche di Siria. In un ottica geopolitica, siccome molti studiosi hanno iniziato a divulgare certe opinioni su come vedere la situazione globale internazionale, allora sarei curiosa di sapere se tutti i relatori condividono l’opinione estrema anti Assad che è stata espressa.

BOFFO

Il tema è estremamente delicato perché effettivamente Assad, come altri dittatori, è stato feroce nel mantenimento del suo potere. E qui si pone un confronto non facile, forse impossibile, tra difesa, sostegno, tutela dei valori, dei deboli laddove sia possibile, diritti umani ecc. Sia ben chiaro, tutti importanti da sostenere. Ma, dall’altro lato, c’è un discorso più pragmatico di stabilità. Ora, non voglio dire che tifare per la stabilità debba giustificare chissà quali mali. E non voglio dire neanche il contrario. Abbiamo parlato degli accordi Sykes-Picot, delle frontiere, ma immaginiamoci se una serie di concatenazioni facessero saltare ancora di più di quanto non sia successo adesso, tutta una serie di equilibri che non sono tutti nefasti, ma alcuni hanno anche, benché non ci sembri adesso perché siamo nel momento negativo, ma alcuni hanno anche delle tutele per le situazioni positive. Ora con questo non voglio dire che bisogna sostenere Assad, perché come dicono alcuni assicura la stabilità, ma bisogno anche non essere neanche estremisti dall’altro lato. Sì, Assad certamente, i criminali di guerra vanno condannati e così via, ma dire come è stato detto i mesi scorsi, gli anni scorsi, abbattiamo Assad e abbiamo risolto tutti i problemi, è anche un falso messaggio. È stato detto anche qui. Ma non è stato detto qui come novità. Un tempo erano tutti contro Assad, fino a tre anni fa tutti contro Assad, perché sembrava che abbattere Assad fosse bello, fosse democratico, qualcuno pensava di trarci qualche interesse. Ora, che Assad sia un mostro ci sto, sicuro, sarebbero morti molti meno bambini, però non possiamo sapere se un ulteriore sfracello del mondo che ci appartiene non avrebbe portato alla morte di molte più persone. Non voglio fare un bilancio dei morti, per carità, sto ponendo un problema di non facile soluzione, e su cui non so dire altro. Però è vero che a volte la soluzione più nobile è dire guarda è un criminale, questo regime dittatoriale… scusate anche Saddam era un dittatore, ma adesso tutti quanti diciamo (non c’è paragone e va bene), ma anche Lei ha detto che è stato uno sbaglio andare lì a frantumare una serie di situazioni. Quindi non ho risposte. Uno ha sempre più domande. Ma è uno dei temi sui quali bisogna riflettere. Certo senza prendere posizioni drastiche in un senso o nell’altro, tutto va lavorato in situazioni ad hoc. Però bisogna anche capire che scardinare la situazione può comportare più danni che benefici.

VERDERAME

Un’ottima risposta di scuola diplomatica perché effettivamente la sua domanda pone proprio il cuore del dramma di ogni diplomazia. Bisogna fare una scelta in certi momenti, fra stabilità e tutela e difesa dei diritti. Ed è sempre una scelta lacerante. Pensiamo a quello che è successo in Libia, dove sono andati a difendere il popolo libico da un sanguinario dittatore e oggi il Paese si trova in una situazione molto peggiore, o diciamo quasi altrettanto peggiore di quella di prima. Ovviamente anche io, come Mario Boffo, forse perché veniamo dalla stessa scuola, non ho una risposta.

TRAMBALLI

Ho la presunzione di dire che ce l’ho. Nel senso che è inaccettabile pensare che possa esserci un futuro della Siria con Bashar al-Assad. Naturalmente ci sarà il regime che si sarà conquistato una legittimità dopo 4,5 anni di guerra soprattutto con l’entrata in guerra del Hezbollah, dell’Iran e della Russia. In realtà su questo sono tutti d’accordo. Anche i Russi. Per la Russia non è Assad, l’importante è che ci sia un regime vicino alla Russia, come è storicamente stato. Gli Americani non hanno alcun interesse economico nella Siria, hanno sempre avuto pochissimi scambi, culturali, politici economici con la Siria. Gli unici che vogliono, per il momento Bashar sono gli Iraniani, e sono gli Hezbollah. Ma nel momento in cui verrà chiarito che il regime sopravvivrà, e sarà una delle parti in causa della soluzione della Siria, Bashar andrà anche lui a passare il resto dei suoi giorni in Arabia Saudita, forse in un altro Paese. Ma che cosa cambia, dite? Non era l’assassino di per sé ma era il regime che lui rappresenta, i militari, i bombardamenti dagli elicotteri con i bidoni. Li faceva il regime non sono Al-Assad. Sì, ma questa è una di quelle soluzioni diplomatiche. Come quando alla domanda ovvia, ma sciocca che si fece Donald Trump, ma come perché non posso ricevere la telefonata del presidente del Taiwan? Esistono due Cine, perché dobbiamo dire che ne esiste una sola? È vero. Ma la One Chine Policy è una di quelle banalità, falsità che si inventa la diplomazia per evitare le guerre. Come sarà la Siria domani? Io sono convinto che non sarà smembrata, perché comunque anche la Siria è un Paese importante del mondo arabo, per quanto così mal governato. Sarà il suo destino. E io che amo Beirut, ho vissuto a Beirut negli anni ’80 e ho visto tanti amici, direttori di giornali, intellettuali e politici uccisi dalle squadracce di Bashar al-Assad negli anni ’90 e 2000. Sono propenso a pensare che la Siria finirà come il Libano. Cioè ci sarà un potere centrale rappresentativo di tutti, ma totalmente privo di un vero potere sulla Nazione. E poi ci saranno tante enclave, tante quante sono le sette e i partiti e i gruppi etnici. E la Siria esisterà, esisteranno i partiti, esisteranno gli alawiti, esiteranno tutti quanti. Non so dire quando, forse un decennio, forse un po’ meno. Io che ho vissuto la guerra libanese, è durata 15 anni, ma non è stata una sola guerra. La guerra civile è cominciata nel ’75, ero ancora studente, non l’ho vista quella, ma è completamente diversa dalla guerra che c’è stata alla fine degli anni 70, negli anni ’80 e l’ultima fase della guerra civile. In Libano sono intervenuti solo due o tre potenze regionali: Israele e Siria. E basta! Invece la Siria è una piccola guerra mondiale, effettivamente. Però, ecco, io credo che questa sarà la soluzione. Non è pensabile lo smembramento della Siria. Se venisse smembrata la Siria, allora il mio giudizio su Sykes-Picot cambierebbe, perché verrebbero smembrati altre 4 o 5 Paesi. Proprio perché non è nell’interesse di nessuno, tutte le parti in causa siriane parlano di Siria, non parlano mai di creare la loro enclave. Ecco, credo che questo sarà il futuro della Siria. Con un regime che sarà ancora lì e troveranno un modo le opposizioni democratiche con le opposizioni islamiche ma non estremiste, terroriste con i curdi e tutti quanti.

VERDERAME

C’è ancora un domanda? Prego.

TRAMBALLI

Io mi sto addormentando a sentire le mie parole. Come fate voi a stare ancora svegli?

PUBBLICO

Io volevo fare un domanda ai due rappresentanti del mondo arabo, anche se forse vado un po’ fuori tema. Mi occupo per lavoro di Medio Oriente in senso stretto, cioè conflitti Israelo-Palestinesi. Una valutazione su questo punto. Abbiamo visto in questi anni nei territori occupati della Palestina c’è un arrivo di integralismo islamico, pensiamo ad esempio a gruppi come al-Fatah, come appunto Hamas ecc. Lì è una novità assoluta perché Arafat aveva sempre mantenuto una linea laica, come sappiamo. La domanda è questa: è un fenomeno che secondo voi può estendersi e minacciare l’evoluzione del conflitto sul modello degli altri Paesi dove questo sta avvenendo, sul modello anche dell’Irlanda del Nord oppure è un fenomeno che regredirà?

VERDERAME

La mia prima reazione è di consigliare a OMeGA di fare un convegno solo su questo argomento, sul problema israelo-palestinese.

TRAMBALLI

Lei apre una cosa per la quale possiamo stare qui sei ore. Comunque rispondo velocemente. Cerco di limitare la risposta. Questo è ciò che vuole Israele. Cioè pensare che esista un terrorismo, un estremismo islamico. Ci stanno già provando, perché con gli ultimi attentati hanno venduto alla storia che l’attentato di Gerusalemme che erano soldati, poveri ragazzi ci mancherebbe, ma erano soldati, e poi l’altro era come quello di Monaco di Baviera o come quello di Nizza. Sì e no. Non possiamo non giudicare fenomeni di terrorismo che sono sempre terrorismo ma non possiamo giudicare il terrorismo in assenza della comprensione che esiste un’occupazione che fra qualche mese compie 50 anni, mezzo secolo. E i palestinesi non hanno tempo per fare Al Qaeda o per fare l’ISIS. I palestinesi hanno Hamas che esiste a causa dell’occupazione di Israele. Cioè la risposta disperata, stupida, perdente di fronte alla più forte potenza militare della regione e una delle tecnologicamente più avanzate del mondo, però è una risposta tragica all’occupazione di Israele. Il terrorismo, quello che non sia di matrice nazionalistica, non esiste. Questi cercheranno sempre di dire che anche loro sono vittime del terrorismo, sì, è vero. E io potrei giustificare anche quasi il muro se non rubassero altra terra ai palestinesi. Perché il muro ha abbattuto radicalmente il numero dei Kamikaze. Però non possiamo dimenticare che il modo migliore per combattere il terrorismo è capirlo. Non possiamo dimenticare che l’organizzazione ebraica di quello che sarebbe poi diventato lo Stato d’Israele dopo la proclamazione dello Stato d’Israele il 14 marzo 1948, che c’era il terrorismo. Abbiamo avuto due ministri israeliani che erano perseguiti perfino dal governo israeliano perché erano noti terroristi. Ma non per altro. Non voglio fare il moralista. Quando mi dicono ma tu sei anti sionista? Io dico no, non me ne importa nulla, non è il mio lavoro, è un movimento di liberazione nazionale, come quello palestinese come tutti i risorgimenti nazionali che sono aggressivi ed espansivi. Se andiamo in Austria, pensano che Mazzini sia un terrorista e dal loro punto di vista non hanno tutti i torti. Lo stesso Israele. Finché non è nato lo Stato d’Israele. Gli Israeliani, da quel momento in poi, sono stati difesi da forze armate, polizia, dal sindacato, dalla nascita delle banche, dell’imprenditoria, delle scuole ecc, usavano l’arma del terrorismo. E devo dire che anche oggi, i coloni, nonostante siano potentemente superiori rispetto ai palestinesi, usano regolarmente l’arma del terrorismo verso i poveri contadini palestinesi e questi qua non finiscono quasi mai in galera. Mentre invece i palestinesi ogni volta che lanciano un sasso finiscono in galera. Non capisco perché un palestinese… Israele capisco le ragioni psicanalitiche per queste cose. Da giovane ho fatto il volontario in un kibbutz, alla frontiera di Gaza perché credevo come cristiano europeo, nato 10 anni dopo l’olocausto, di dover dare il mio piccolo contributo alla fondazione e alla nascita d’Israele, per un mio senso di colpa. So che lo usano. Poi io che vengo accusato di essere antisemita. L’ultima volta mi hanno dato anche del negazionista. So che è il prezzo che devo pagare per il mio senso di colpa. Ma non possono gli Israeliani pretendere di essere amati dai Palestinesi. Non possono pensare che non possano nascere anche piccole cellule estremiste al punto da rifarsi all’ISIS. Perché, per quale motivo i Palestinesi dovrebbero amare gli Israeliani, visto che gli Israeliani continuano a pestare i Palestinesi?

VERDERAME

Sottoscrivo al 100%. Se possiamo concludere questa serata, vorrei innanzitutto ringraziare tutti i relatori, il pubblico perché siete stati veramente eroici nel continuare ad ascoltarci. Significa che in qualche modo vi abbiamo interessato, e di questo sono molto lieto. Io da questa serata mi rinforzo in una convinzione che ho sempre avuto. Cioè che il mondo arabo non dev’essere considerato come un qualcosa di indistinto. È di una complessità spaventosa. Ci dobbiamo avvicinare al mondo arabo con grande umiltà e disponibilità a un contatto paritario. Ho l’impressione, ma questo meriterebbe un altro convegno, che il Maghreb, parlo di Marocco e Tunisia, abbiamo una solidità sociale diversa da tutto il resto dei Paesi arabi. Ci sarà una ragione. Non la voglio citare perché se non entriamo in un dibattito troppo ampio. Vi ringrazio molto.