Jus sanguinis – Jus soli – Jus culturae
di Luigi R. Maccagnani
Nel dibattito/scontro sullo jus soli (cittadinanza attribuita dal territorio di nascita), cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, nessun riferimento è mai stato fatto sul collegamento alla legge elettorale, in particolare alla posizione degli italiani residenti all’estero, che hanno acquisito la cittadinanza del paese di residenza naturalizzazione), mentre penso che le due cose – cittadinanza e diritto al voto – siano strettamente legate.
Il voto per la partecipazione dei cittadini italiani residenti all’estero alle elezioni politiche italiane è regolato dalla legge Tremaglia (n.459/2001) che ha costituito collegi/circoscrizioni elettorali in base alla posizione geografica, e prevede l’elezione di 12 deputati e sei senatori in rappresentanza degli Italiani ivi residenti.
La cittadinanza italiana si basa sul principio dello “ius sanguinis”, diritto di sangue, per il quale la persona discendente da padre italiano o da madre italiana è italiana (*).
Un paio di esempi sul collegamento fra cittadinanza e legge elettorale:
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Nel processo di naturalizzazione negli Stati Uniti il “cittadino” italiano giura solennemente di rinunciare e abiurare alla sua cittadinanza precedente, cioè quella italiana (il giuramento recita testualmente: I hereby declare, on oath, that I absolutely and entirely renounce and abjure all allegiance and fidelity to any foreign prince, potentate, state, or sovereignty, of whom or which I have heretofore been a subject or citizen). Nonostante il giuramento richiesto, gli Stati Uniti chiudono un occhio sul mantenimento della doppia cittadinanza, pur non riconoscendola formalmente. Peraltro, la legge Tremaglia consente il voto passivo, vale a dire la possibilità di candidarsi e di essere eletti, permettendo così a chi ha solennemente rinnegato la cittadinanza italiana di venire eletto nel Parlamento del Paese rinnegato.
In diversi Stati, in cui la doppia cittadinanza è permessa, non è consentito al soggetto di candidarsi al parlamento del paese di residenza, come in Canada o di recente il caso Australia (**).
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Invece, con lo Jus Sanguinis all’Italiana, un Argentino di quinta generazione (ad esempio), che non parla Italiano e ha solo una vaga idea della parte dell’Italia della quale erano originari i suoi avi, può acquisire la cittadinanza Italiana – magari con l’unica motivazione di poter entrare negli Stati Uniti utilizzando il passaporto italiano, molto meno problematico del passaporto argentino per le autorità dell’immigration USA, o nel miraggio di qualche aiuto economico dell’Ambasciata italiana (e lo jus culturae in questo caso dove lo mettiamo?).
Per contro, ci sono nelle nostre scuole innumerevoli ragazzi di seconda generazione che primeggiano per voti, comportamenti e “italianità”.
Forse andrebbero riesaminate le leggi, sia sulla cittadinanza che sulle funzioni elettorali, nel loro intero contesto e nelle loro prerogative.
Luigi R. Maccagnani
(*) Da tener presente che la madre cittadina trasmette la cittadinanza ai figli nati dopo il 1.1.1948, per effetto di una specifica sentenza della Corte Costituzionale. Attualmente, la cittadinanza italiana è regolata dalla legge n. 91 del 5.12.1992 che, in contrasto con la legge precedente, rivaluta il peso della volontà individuale nell’acquisto e nella perdita della cittadinanza e riconosce il diritto alla titolarità contemporanea di più cittadinanze, fatte salve le diverse disposizioni previste da accordi internazionali, come recita il 3° comma dell’art.26 della legge n.91/92. (v. al riguardo Convenzione di Strasburgo del 06.05.1963 sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima) – Dettagli, incluse le disposizioni successive in http://www.esteri.it/mae/it/servizi/stranieri/cittadinanza_0.html
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https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/26/australia-ministro-si-dimette-sono-cittadino-italiano-a-mia-insaputa-quindi-non-era-eleggibile/3755582/;
https://www.nytimes.com/2017/10/26/world/australia/citizenship-ruling.html
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