di Fabrizio Maltinti
Nel corso della “Conferenza per un partenariato internazionale contro l’impunità per l’uso di armi chimiche” – svoltasi a Parigi il 23 gennaio – il Segretario di Stato USA Rex Tillerson non ha perso l’occasione per puntare (dovrei dire ri-puntare) il dito contro il Leader siriano Bashar al Assad per un nuovo incidente causato da armi chimiche, occorso lunedì scorso a Ghouta, nella periferia orientale di Damasco. Incidente in cui, secondo i rapporti di alcuni gruppi oppositori del regime siriano, 20 civili – la maggior parte bambini – sarebbero stati contaminati da un agente tossico al cloro.
Secondo Tillerson questo dimostrerebbe come Bashar al Assad continua ad usare armi chimiche contro il suo stesso popolo. Ma non solo, Tillerson ha poi continuato asserendo che “chiunque abbia commesso questo crimine, la responsabilità è da attribuire alla Russia”. Ciò in quanto Mosca si era assunta la responsabilità di distruggere l’arsenale chimico di al Assad, cosa nella quale – secondo la visione dell’Alto funzionario USA – ha, evidentemente, fallito. Inoltre, il fatto che al Assad disponga ancora di armi chimiche, è la prova evidente di come la Russia “non sia idonea a concorrere alla soluzione della crisi siriana”.
La querelle si è poi spostata nell’ambito del Consiglio di Sicurezza delle NU, dove l’Ambasciatrice USA Nikki Haley, ha fermamente respinto la proposta dell’omologo russo, intesa alla creazione di un “nuovo organismo internazionale” che potesse investigare – basandosi sui fatti – e stabilire le responsabilità degli attacchi chimici in Siria. La Russia, infatti, lamentava da tempo, che gli attuali due organismi investigativi, il Joint Investigative Mechanism (JIM) – delle NU – e l’Organization for the Prohibition of Chemical Weapons (OPCW) – un organismo internazionale con sede a l’Aia – non avessero svolto il loro compito con la dovuta diligenza. Sembra, in particolare, che i loro ispettori, non si siano mai recati nei luoghi dove gli incidenti erano occorsi.
Questa questione dell’impiego delle armi chimiche in Siria, come i lettori ricorderanno, non è una novità; la prima volta che Bashar al Assad venne accusato di utilizzare armi chimiche contro il suo Popolo fu nel 2013, subito dopo l’arrivo anche in Siria delle “primavere arabe”.
Infatti, dopo che una parte del Popolo siriano si rivoltò contro il governo di al Assad, questi fu ammonito dall’allora Presidente Obama a non sorpassare la “linea rossa”, utilizzando le armi chimiche che la CIA affermava egli possedesse. Assad rassicurò il Presidente Obama ma, puntualmente, alcuni mesi dopo, la sera del 21 agosto del 2013, un attacco con armi chimiche sterminò centinaia di civili nella periferia di Ghouta, vicino Damasco. I ribelli ed i media accusarono immediatamente il regime di al Assad che, a sua volta, accusò i ribelli. La Francia di Sarkozy si disse pronta all’intervento armato. Il Parlamento inglese non diede il consenso all’intervento di forze britanniche. I Britannici avevano imparato la lezione dell’Irak e non volevano – di nuovo – iniziare un conflitto senza prove certe. Mosca, Teheran e Pechino protestarono dicendo che non vi erano prove. Anche gli USA erano convinti si dovesse attaccare, ma Obama volle consultare il Congresso prima di lanciarsi in un nuovo conflitto. Il Congresso tergiversò e, infine, l’incidente di Ghouta venne dimenticato, anche perché, sebbene l’uso di gas sarin fosse stato provato, sembra esistesse un rapporto dei Servizi inglesi che affermava che il gas sarin utilizzato a Ghouta, non facesse parte dell’arsenale siriano e che, probabilmente il gas era stato fornito da intermediari turchi o sauditi. L’ipotesi più accreditata era che l’attacco al sarin fosse stato orchestrato dalla Turchia – attraverso i suoi alleati di Al Nusra – in modo da forzare la mano ad Obama ed entrare nel conflitto armato per risolvere, una volta per tutte, il problema curdo-siriano (cosa che Erdogan sta cercando di fare in questi giorni).
Non passò molto tempo che le armi chimiche riapparvero: il 4 aprile nella provincia siriana di Idlib, nel villaggio di Khan Shaykhun, un nuovo attacco con armi chimiche causò 74 vittime, tra cui almeno 20 bambini. Immediatamente, tutti i media si scagliarono contro il Presidente siriano Bashar al Assad, accusandolo di essere il mandante di quest’ulteriore crimine di guerra. Evidentemente nessuno di loro si è posto la domanda: ma perché Assad avrebbe dovuto utilizzare armi chimiche dopo quello che è successo nel 2013? Ma, soprattutto, che convenienza ne avrebbe avuto in un momento in cui le forze governative stavano vincendo?
Questa volta, tuttavia, il Presidente Trump reagì con violenza e, nella notte tra il 6 ed il 7 aprile, da due navi USA, 59 missili Tomahawk furono lanciati contro la base siriana di Al Shayrat, da dove, secondo l’intelligence americana, sarebbero partiti i jet di Bashar al Assad carichi di armi chimiche. Sebbene l’attacco abbia provocato qualche vittima tra i soldati dell’aeroporto e la popolazione siriana, la cosa non ebbe conseguenze diplomatiche e finì con questo “monito” di Trump ad al Assad (ed anche alla Russia).
Quello che veramente stupisce è questa apparente ossessione USA nei confronti di al Assad, ossessione che, è doveroso precisare, non è nata con l’amministrazione Trump, ma è sorta (e si è sviluppata) con la precedente amministrazione, in particolare per l’accanimento di Madame Clinton – allora Segretario di Stato – che vedeva in al Assad una minaccia allo Stato di Israele e, pertanto, un “dittatore” da abbattere.
Ossessione che si è esasperata, nell’ottica di un’anacronistica “guerra fredda” (mai cessata, per gli USA), nel momento in cui la Russia di Putin è entrata in campo impedendo, di fatto, che l’alleato siriano venisse abbattuto.
Un ulteriore fattore per provare a spiegare questa nuova accusa americana potrebbe essere il desiderio dell’amministrazione Trump di boicottare la “conferenza di Pace” di Sochi, sul Mar Nero, programmata per la settimana prossima, il 29 e 30 gennaio, che vedrà la Russia, la Turchia, l’Iran e le fazioni che si combattono in Siria, sedute attorno ad un tavolo con l’intento di trovare un accordo che possa ridare pace e stabilità alla tormentata Siria…
Ed una soluzione che riconsegni ad al Assad la sua sovranità e – soprattutto – i suoi pozzi petroliferi, oggi sotto controllo curdo, evidentemente, non sarebbe gradita agli USA.
Fabrizio Maltinti
24/1/2018