di Fabrizio Maltinti
Sono passati sette anni dalla caduta di Gheddafi in seguito al disastroso intervento “occidentale” in Libia del 2011 e sono anche passati sette mesi dall’incontro dei due Leaders libici – Fayez al Sarraj ed il Generale Khalif Haftar – a Parigi con il neo-eletto Presidente francese Macron e, da allora, sui media, non si è più sentito parlare della Libia, se non per le iniziative del Ministro degli Affari Esteri Marco Minniti, volte a limitare l’afflusso dei migranti.
Cosa sta succedendo in Libia? Perché sui media non se ne parla? È un caso o è una strategia mirata? Queste le domande che mi pongo.
Il fallimento della politica occidentale in Libia è evidente; oggi in Libia vi sono due Parlamenti regolarmente eletti, due Governi – più meno legittimati e riconosciuti – oltre duecentocinquanta Tribù (Kabila, così vengono chiamate in Libia) ed innumerevoli bande armate di ex-ribelli, di gruppi islamici e di delinquenti comuni. Il Paese, forse con l’esclusione di parte della Cirenaica – sotto il controllo del Generale Haftar – è fuori controllo, allo sbando più completo, sia socialmente che economicamente.
Ma queste cose Gheddafi, da buon beduino qual era, le aveva capite molto bene. Infatti, quando si insediò al potere in Libia nel 1969, in seguito al colpo di stato contro Re Idris – un sovrano ritenuto dai militari troppo servile nei confronti degli USA, della Francia e dell’Inghilterra – la sua prima mossa fu quella di assicurarsi il supporto delle Kabila, le Tribù di origine beduina. Lo fece attraverso prebende, matrimoni di interesse, conferimento di cariche di potere ai vari rappresentanti delle varie Tribù, in modo che fossero a lui fedeli. Chi non aderiva a questo “contratto”, veniva escluso dai benefici dell’accordo o, più spesso, eliminato. Certo, un metodo che non esiteremmo a definire mafioso. Ma, forse, il solo metodo che desse risultati pratici. Del resto, negli stessi anni, da noi, vigeva il “manuale Cencelli” che, per sostenere l’alleanza politica di centro-sinistra, sebbene in modo fisicamente non cruento, distribuiva prebende e poltrone, utilizzando il medesimo criterio gheddafiano.
Gheddafi era un dittatore? Si, certamente, per i canoni della democrazia occidentale, possiamo affermare che era un dittatore, un feroce dittatore, sebbene la storia abbia poi dimostrato come taluni dittatori siano stati funzionali alla stabilità dell’occidente.
Per onestà intellettuale bisogna anche dire che il “regime” di Gheddafi ha condotto svariate riforme – soprattutto sociali – di cui il popolo libico ha beneficiato. Ad esempio, la casa di proprietà per le famiglie, gli aiuti economici alla maternità, l’istruzione e le cure mediche gratuite (anche all’estero) ed anche l’elettricità era gratuita. Inoltre, egli ha “laicizzato” il Paese, limitando e controllando fortemente il potere degli Imam, cosa questa che gli ha alienato il supporto dei gruppi più fondamentalisti come, ad esempio, i “Fratelli Musulmani”.
Bisogna anche sottolineare come negli ultimi anni della sua leadership egli stesse anche pensando ad una forma di Unione Africana, gli Stai Uniti d’Africa, che si sarebbero giovati di una moneta unica, il “dinaro d’oro” che avrebbe sostituito il dollaro negli scambi commerciali. Un’iniziativa quest’ultima che allarmò la finanza USA ed internazionale e che potrebbe aver costituito uno dei trigger che scatenarono gli eventi che portarono alla sua caduta ed alla sua eliminazione fisica nel 2011 (uso il condizionale perché di ciò, ovviamente, non esistono prove certe). L’altra ragione, non meno importante, ma sempre economica, fu la volontà di Francia ed UK di contrastare il monopolio della nostra ENI sulle estrazioni petrolifere in Libia. Come ci ha ricordato Alberto Negri in un suo articolo sul Sole 24 ore, la ragione per cui l’Italia decise di intervenire in Libia (con il conseguente tradimento degli accordi intercorsi con Gheddafi solo sei mesi prima) fu anche perché gli “alleati” minacciavano di bombardare i terminali ENI.
Tornando alle mia domanda di cosa stia succedendo in Libia, logica vorrebbe che il Governo italiano perseguisse, con ogni mezzo, la stabilizzazione, in primis della Libia, ma anche dei Paesi di origine dei migranti, quali la Nigeria, l’Eritrea, il Gambia, il Sudan, la Costa d’Avorio, la Somalia, il Ghana, il Niger, il Senegal, il Mali, il Ciad, il Camerun, ecc..
Una stabilizzazione che dovrebbe avvenire attraverso una più spinta azione di cooperazione e co-sviluppo con i Paesi sub-sahariani ed appoggiando, in Libia, un leader in grado di unire sotto la sua guida le varie fazioni, in modo da arrivare a “gestire” il Paese e consentire l’avvio di un piano di sviluppo socio-economico.
Senza di ciò, il futuro della sponda sud del Mediterraneo appare tutt’altro che roseo, ma, nonostante questa logica che parrebbe condivisa tra gli osservatori, a differenza di Francia, Russia, Turchia e Paesi del Golfo – che sostengono il Generale Haftar, l’uomo forte di Tobruck – l’Italia, gli altri Stati Europei e l’ONU, hanno invece scelto di riconoscere ed appoggiare il governo di al Serraj, che non pare in grado di gestire nemmeno l’area di Tripoli, dove si trova la sede del suo Governo; governo che, ricordiamo, il Parlamento di Tripoli non ha mai riconosciuto.
Un caso particolare, poi, sono gli USA che, dopo aver contribuito in maniera sostanziale alla caduta di Gheddafi, inviso all’allora Segretaria di Stato Madame Clinton, oggi ufficialmente non appoggiano nessuno dei due leader, avendo assunto una posizione attendista, tesa a verificare prima quali passi farà la Russia nell’area. Per gli USA, la Guerra Fredda non si è mai conclusa.
Una situazione estremamente complessa, complicata dal fatto che gli interessi dei Paesi occidentali sono in aperto contrasto tra loro, ma che, di certo, se lasciata languire, con il trascorrere del tempo potrà solo peggiorare e, temo, saremo noi a pagarne le conseguenze più pesanti.
Fabrizio Maltinti
2/3/2018