di Enrico La Rosa
21 marzo, ore 1130. Presso la sede della Stampa Romana un gruppo di giornalisti italiani ed algerini residenti in Italia si è riunito per parlare della situazione politica algerina e per esprimere solidarietà alla stampa di quel Paese, i cui esponenti svolgono il loro compito con crescente difficoltà e tra mille impedimenti, alcuni normativi, altri derivanti dalle pressioni politiche subite da parte degli organi di controllo. Un brutto momento
Un brutto affare raccontare una situazione che rimane in bilico e soggetta a manovre sotterranee e possibili interferenze esterne, ancorché sia iniziata nell’ostentazione da parte dei manifestanti della massima serenità e nella dichiarata stima per il Presidente uscente, invitato tuttavia ad essere effettivamente uscente ed al più presto.
Con la partecipazione di Carlo Verna, Pres.te del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, e di Lazzaro Barbagallo, Segretario dell’Associazione della Stampa romana, Paolo Di Gianantonio ha moderato un confronto tra specialisti italiani (Luigi Maccagnani del nostro giornale ed Ugo Tramballi) e giornalisti algerini residenti in Italia (Nacera Benali e Mourad Rouighi), centrato sulla situazione algerina alla vigilia del quinto venerdì di manifestazioni di piazza.
Collegato via Skype ha partecipato anche Rabah Abdellah, direttore di Liberté, giornale algerino in lingua francese.
Come evidenziato in parte anche dai relatori, l’Algeria è un Paese importantissimo nello scacchiere mediterraneo, africano, arabo e mediorientale. Ex colonia e successivamente territorio metropolitano francese, la sua storia è profondamente mediterranea e proviene da un percorso fortemente socialista, con prolungata appartenenza al fronte dei “Paesi non allineati”. Molto vicina all’Europa, mai integrata in uno dei due dissolti blocchi contrapposti. Ottimi rapporti con l’Italia, sia politici, sia commerciali.
Non è ancora sparito dalla memoria collettiva del popolo algerino il ruolo avuto dal nostro Paese nella recente storia algerina. Il sostegno e la campagna di solidarietà italiana durante la guerra di liberazione con numerose iniziative. Quelle governative promosse anche in campo internazionale, in Europa e presso le Nazioni Unite. E poi ancora i quattro «colloqui del Mediterraneo» tenuti a Firenze da Giorgio La Pira nel 1958-1960-1961-1964. Le iniziative energetiche ed economiche di Enrico Mattei. Quelle milanesi (aventi lo scopo dichiarato di raccogliere informazioni e dati sugli avvenimenti algerini; stabilire rapporti con la resistenza di quel Paese; sviluppare in Italia una vigorosa campagna informativa a favore del popolo algerino; aiutare concretamente i militanti francesi della lotta anticoloniale) di Vando Aldrovandi, Lelio Basso, Riccardo Bauer, Giangiacomo Feltrinelli, Franco Fortini, Giorgio Mondadori, Raniero Panzeri, Giovanni Pirelli, Rossana Rossanda, Saverio Tutino, Pino Tagliazucchi presso la Casa della Cultura, che ospitò nello stesso periodo la conferenza di Claude Bourdet sulla Francia di fronte all’Algeria (08.02.61); la serata dell’11.04.61 in onore di Jean Paul Sartre (sponsor pro Algeria assieme a Simone De Beauvoir nei confronti degli intellettuali italiani), la conferenza del 15.02.62 di Ali Lackdari, rappresentante del GPRA. Quelle “romane” di Ruggero Amaduzzi, Pasquale Bandiera, Giorgio Bassani, Luciano Benadussi, Francesco Calasso, Bartolo Ciccardini, Tristano Codignola, Celso De Stefanis, Franco Ferrarotti, Anna Garofalo, Franco Gerardi, Arturo Carlo Jemolo, Riccardo Lombardi, Lucio Luzzatto, Carlo Montella, Angelo Monteverdi, Alberto Moravia, Luciano Paolicchi, Ferruccio Parri, Giuseppe Patrono, Giacomo Perticone, Leopoldo Piccardi, Giovanni Pieraccini, Pier Luigi Sagona, Eugenio Scalfari, Pier Paolo Pasolini, firmatari fra l’altro di un appello rivolto al Segretario delle Nazioni Unite in difesa del principio dell’autodeterminazione del popolo algerino.
E, successivamente, il sostegno fornito durante i terribili anni ’90 del terrorismo: «L’Italia è stato l’unico Paese occidentale a non abbandonare l’Algeria; che, dopo averne sostenuto politicamente nei fori internazionali la guerra di liberazione, non ha diminuito la sua presenza neanche durante il periodo nero del terrorismo; è stato, infine, il primo Paese a stabilire voli regolari con la propria compagnia di bandiera», furono le esatte parole del gen. Mohamed Lamari, Capo di Stato Maggiore Generale Algerino durante la visita resa a Roma il 17 luglio 2000 all’omologo italiano, Mario Arpino, ed al Ministro della Difesa, Sergio Mattarella. Sicuramente ancora viva la gratitudine nei confronti dell’Italia che gli Algerini nutrono per il sostegno ricevuto durante la guerra di liberazione, nel dopo guerra e durante il terrorismo, “unica ambasciata che abbia lasciata aperta la Rappresentanza senza avere ridotto gli organici di una sola unità”. Determinante ai fini dell’esito finale, e molto discreto, l’aiuto militare fornito dall’Italia all’Algeria durante il terrorismo.
Oggi le relazioni sono brillanti in tutti i campi, soprattutto in quello commerciale. La posizione dell’Italia negli ultimi decenni è fluttuata tra i primi tre posti nella graduatoria dei partner commerciali algerini, soprattutto grazie alle forniture di gas.
Nel monitoraggio che il giornale esegue sulla situazione algerina, un amico ci ha fornito un documento scritto dall’ex capo dell’intelligence algerina in fatto di situazioni e informazioni frutto della guerra elettronica.
Un vero manuale sul funzionamento della “manipolazione internazionale”. Lo ha pubblicato (https://www.breizh-info.com/2019/03/22/114808/algerie-revolte-spontanee-ou-destabilisation-premeditee-et-organisee-lagora?fbclid=IwAR31jxK_fiWN86crI_Ghp7houRec0KPIn-OO-tynnfL4fPESwttCZTvTka4) il sito <https://www.breizh-info.com/>. Leggendo, si potrà avere l’impressione di banalità. La sensazione è dovuta non a ciò che si è letto, ma all’inevitabile collegamento che la mente del lettore fa con episodi seguiti in passato.
È un contributo formidabile, tanto prezioso che abbiamo deciso di tradurlo e di offrirlo ai nostri lettori.
Eccolo, al termine della lettura troverete qualche nostra considerazione conclusiva.
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Algeria: rivolta spontanea o destabilizzazione premeditata e organizzata?
(L’Agora)
Il generale Delawarde, ex capo del settore “situazioni e informazioni di guerra elettronica” presso il Reparto di pianificazione operativa dello Stato Maggiore Generale, ci ha inviato questo testo nel quale risponde a molti dei suoi amici che gli hanno chiesto cosa bisognasse pensare degli eventi accaduti in Algeria nelle ultime tre settimane.
Per aver lavorato molto sull’Algeria quando ero in servizio e per non aver smesso di seguire la problematica da allora, cercherò di condividere la mia analisi nel modo più chiaro possibile rispondendo a tre domande: Perché? Cosa? Come?
1. Perché?
La risposta a questa domanda è, dal mio punto di vista, in un contesto geopolitico che va ben oltre i confini dell’Algeria. Per semplificare all’estremo, il mondo è oggi tagliato in due campi opposti.
Ce n’è uno che si adatta perfettamente all’organizzazione della comunità internazionale concepita e costruita dopo la Seconda guerra mondiale: FMI, OMC, Banca Mondiale, dollaro e dominio quasi assoluto degli Stati Uniti dal 1990. Gli ideologi neoconservatori di questo campo stanno gradualmente procedendo verso un obiettivo di “globalizzazione felice (per loro)”, unipolare, sotto il dominio occidentale (in realtà, sotto il dominio USA-NATO).
Minoritario quanto a numero degli Stati e della popolazione (da quaranta a cinquanta Stati, un miliardo di abitanti) questo campo ha, per alcuni anni ancora, il potere economico (oltre il 60% del PIL mondiale) e la superiorità militare (la NATO, che usa senza moderazione). Un gruppo di Stati è attivo, sulla scena internazionale (o dietro le quinte), per sostenere questo campo e difendere i suoi interessi: Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Israele. La maggiore influenza è, di fatto, esercitata da un duo: USA e Israele. Questo campo è raggruppato sotto la bandiera della “coalizione occidentale” e spesso si auto proclama “comunità internazionale”.
Dall’altro lato della scacchiera, un altro campo è stato organizzato poco a poco sotto la spinta di Russia e Cina. Oggi il potere di questo campo sta crescendo rapidamente assieme, tra l’altro, a raggruppamenti internazionali creati in quest’inizio del XXI secolo: il BRIC e l’OCS, solo per citarne alcuni. Vuole mettere in discussione l’ordine e le regole della governance mondiale stabilite alla fine della guerra, a beneficio degli occidentali, per evolvere verso un mondo multipolare. Comprende, intorno alla Russia e alla Cina, grandi paesi come l’India o il Pakistan (potenze nucleari) e soprattutto molti “fan”. Questo schieramento, comprensivo dei “fan”, è maggioritario quanto a numero di Stati e a popolazione (un centinaio di Stati e più di quattro miliardi di abitanti), ma è ancora in ritardo in termini di potere economico (meno del 40% del PIL mondiale).
L’Algeria è un grande Paese. Con un’area di 2,4 milioni di km2, è allo stesso tempo il più grande paese dell’Africa, del mondo arabo e del bacino del Mediterraneo. Sotto il governo di Bouteflika, è stato in grado di rimanere un Paese indipendente, contrariamente a molti paesi arabi che, chi più chi meno, si sono avvicinati alla coalizione occidentale, in applicazione del proverbio: “Bacia la mano che non puoi tagliare”.
Agli occhi della “coalizione occidentale” precedentemente descritta, la governance di Bouteflika ha commesso cinque “errori imperdonabili”:
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mantiene rapporti troppo buoni con la Russia, Paese nel quale si formano da moltissimo tempo gli ufficiali del suo esercito e dal quale acquista molti tra i principali armamenti (tra cui i famosi S 400).
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ha relazioni troppo buone con l’Iran, il nemico designato degli Stati Uniti e di Israele, e, quindi, non proprio amico di Francia e Regno Unito … Francia e Regno Unito, dietro discorsi ipocriti e fuorvianti, non hanno fatto nulla di efficace per adempiere ai loro impegni nell’accordo nucleare iraniano (https://fr.sputniknews.com/international/201901221039725856-iran-algerie-relations-rayonnantes/)
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contrariamente alla politica di diversi paesi arabi (tra cui il docile Marocco, suo vicino), l’Algeria di Bouteflika ha rifiutato di unirsi alla grande coalizione saudita, sostenuta dall’Occidente, nel suo intervento armato nello Yemen per sedare la rivoluzione popolare di Ansar Allah. Questa operazione militare era ovviamente finalizzata a contrastare l’estensione dell’influenza iraniana nel Medio Oriente, a beneficio dello stato ebraico.
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inoltre, dall’inizio del conflitto siriano, la compagine di Bouteflika ha mantenuto buoni rapporti con l’entourage di Bashar el Assad in Siria e ha rifiutato di partecipare alla corsa e allo smembramento di questo Paese programmato dagli occidentali e da alcuni dei loro alleati arabi a beneficio dello Stato ebraico.
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l’Algeria di Bouteflika, infine, rimane uno degli ultimi bastioni arabi nella difesa della causa palestinese. Tutti possono capire che questa posizione irrita lo stato ebraico e il suo potente alleato, gli Stati Uniti, che lo vedono come un serio ostacolo all'”accordo del secolo”.
La risposta alla domanda: “Perché le cose oggi sono come sono in Algeria?” È, in larga misura, nei punti sopra menzionati.
2. Che cosa?
Nella crisi algerina non mancano indizi che fanno furiosamente pensare ad un’operazione di «Regime Change» (cambio di regime), a cui gli occidentali sono particolarmente affezionati (rivoluzioni colorate, Ucraina, Libia, primavere arabe, Siria, Venezuela, Brasile …), nelle quali a volte riescono (Maidan, Libia, Brasile) e di cui mantengono gelosamente “il marchio di fabbrica”
Ci sono, ovviamente, dichiarazioni incendiarie, all’attenzione del popolo algerino, l’inenarrabile BHL che costituiscono, di per sé, un indiscutibile segnale che è in corso un’operazione di «Regime Change». Dobbiamo ricordare il suo impegno costante e sempre teatrale in questo tipo di operazioni: Bosnia, Kosovo, Libia, Maïdan, rivoluzioni colorate, Siria e persino recentemente il Venezuela recentemente … ecc.
I loro solleciti alla rivoluzione (a casa d’altri, non da loro) sono ormai tanto classici quanto i migliori fumetti. Potrebbero persino diventare controproducenti svelando, in anticipo, il rovescio delle carte agli osservatori più sofisticati.
C’è anche il tenore delle dichiarazioni dei grandi leader della coalizione occidentale su questo affare algerino, che mostra chiaramente, giorno dopo giorno, che apprezzerebbero un cambio di governo in Algeria e l’avvento di un nuovo potere che sarebbe ad essi più favorevole. Ognuno ci rifletta e cerchi di e interpretare le affermazioni fatte.
C’è ancora da considerare la lettura dei giornali del quartetto di Stati che governano “la coalizione occidentale”. La rilevanza, il contenuto e il tono delle reazioni dei media a ciò che sta gradualmente diventando la “crisi algerina” e che potrebbe essere battezzata entro pochi giorni: “la primavera algerina”, sono particolarmente rivelatori. La lettura del New York Times e del Washington Post negli Stati Uniti, del quotidiano Le Monde e BFMTV in Francia, i giornali israeliani, Haaretz e Jerusalem post, è significativo e facile da decifrare per un buono specialista dell’intelligence.
Infine, c’è il metodo, le tecniche e i mezzi usati per organizzare il caos di più o meno grande entità, un prerequisito per l’avvento di un nuovo regime. Anche questi costituiscono preziosi indizi.
3. Come?
Come in tutte le operazioni di «Regime Change», per avere successo, è necessario rispettare diverse regole fondamentali e disporre di grandi mezzi finanziari:
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scegliere il momento giusto per lanciare l’operazione.
Il momento giusto è quando il regime attaccato è indebolito (crisi economica o sociale, leadership esausta e indebolita, popolazione divisa). Una scadenza elettorale può costituire un’ottima opportunità che permette di evitare troppi danni collaterali potendo essere trascinata sino alla guerra civile …
Tutti i semafori sono verdi per innescare con speranza di successo, nel marzo 2019, questo tipo di operazione di «Regime Change» in Algeria.
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demonizzare l’avversario da abbattere, quindi sponsorizzare colui che si vuol aiutare a subentrare.
Queste sono le tecniche di base utilizzate con grande successo da “Cambridge Analytica” in più di 200 campagne elettorali tra settembre 2013 e marzo 2018. Queste tecniche sono utilizzate ancora oggi.
Nel caso dell’Algeria, viene ostentata l’incapacità fisica di governare il paese da parte di Bouteflika. Si enunciano i risultati della sua azione di governo, chiaramente descritti come disastrosi (disoccupazione, disuguaglianza, risultati economici). Si denunciano il suo entourage e la corruzione. Si confida su una diaspora algerina, grande e fortemente influenzata dai media mainstream occidentali, per aizzare l’opinione pubblica e le strade.
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utilizzare i moderni mezzi di comunicazione e scambio tra i cittadini.
Facebook e Twitter, strumenti sotto il controllo occidentale, sono utilizzati al massimo per manipolare e montare le folle e per organizzare rapidamente grandi manifestazioni di protesta. Ancora una volta, questi sono metodi testati con successo da “Cambridge Analytica” nel recente passato, in particolare in Sud America.
Coloro che controllano queste operazioni “digitali” non risiedono sempre nel Paese obiettivo dell’ingerenza. L’operazione può essere controllata dal territorio di un paese occidentale (di solito negli Stati Uniti). È sufficiente avere un gruppo di individui di buon livello che parla perfettamente la lingua del paese oggetto dell’interferenza. Questi individui ovviamente esistono in gran numero nella diaspora algerina, ma anche nella diaspora sefardita. Azioni controllate dall’estero sono già state osservate nel caso tunisino, libico ed egiziano …
Queste operazioni digitali sono un complemento utile ed efficace dell’azione dei media tradizionali (TV e giornali mainstream) che agiscono in branco, con una grande unanimità, il che non sorprende se consideriamo la connivenza dei loro proprietari e le regole della “guerra dell’informazione”.
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corrompere un gran numero di politici, organizzazioni di pensiero, uomini importanti nell’apparato statale (Esercito, Giustizia, eletti …)
Si tratta di organizzare in primo luogo l’abbandono del regime al potere e in seconda battuta il sostegno del candidato da promuovere: ancora un metodo collaudato di “Cambridge Analytica”. Richiede molti finanziamenti, ma allo Stato che stampa il “dollaro” la carta moneta non manca.
Il denaro e le promesse di posizioni di vertice nel nuovo regime generalmente sono riservati agli ossi più duri …
Per scoprire chi avrà vinto tra la coalizione occidentale o il campo “BRICS-OCS”, sarà molto utile studiare il passato, il sostegno e l’entourage dell’uomo che emergerà quando il regime al potere avrà passato la mano … Sarà molto istruttivo osservare i primi provvedimenti adottati dal nuovo potere. Indizi interessanti sarebbero la normalizzazione dei rapporti con il Marocco e un riavvicinamento con i Paesi del Golfo.
Certo, non penso che si arriverebbe sino alla normalizzazione dei rapporti con Israele, ad una visita ufficiale a Tel Aviv o alla creazione di un’ambasciata algerina a Gerusalemme. Per chi non lo sapesse, queste ultime tre azioni sono state osservate nel «regime change» brasiliano e indicano chiaramente il ruolo di primo piano svolto dalla diaspora filoisraeliana in Brasile nell’affare di Bolsonaro. Questo ruolo esiste anche nel caso venezuelano, a credere alle infervorate promesse di Guaïdo di trasferire la sua ambasciata a Gerusalemme nel caso riesca a conquistare il potere. Questo tipo di promessa ha l’immenso interesse di designare chiaramente gli sponsor finanziari del presidente eletto brasiliano e del “presidente autoproclamato” del Venezuela e di spiegare il sostegno della “coalizione occidentale” a questi individui.
In conclusione, l’avrete capito, non credo nella spontaneità di tutti gli eventi che scuotono oggi la vita algerina.
Nessuno dei due grandi campi che si oppongono oggi al mondo può essere indifferente a ciò che sta accadendo in Algeria. L’interferenza straniera è quindi più che probabile. L’opposto sarebbe sorprendente.
Coloro interferiscono sono gli stessi che hanno un interesse e che possiedono i mezzi. Fanno abilmente molto affidamento sulla triplice opportunità offerta loro: l’usura della compagine al potere e del suo capo, l’innegabile crisi economica e sociale attribuita all’azione di Bouteflika e la scadenza elettorale prevista dalla Costituzione. Si affidano anche a mezzi tecnici (social network) e ai mezzi finanziari e umani di cui dispongono.
Naturalmente, i sostenitori del clan “occidentale” urleranno “alla cospirazione” leggendo questa analisi. È una tecnica ormai ben nota per screditare le persone i cui punti di vista si discostano dalle posizioni ufficiali. Ma questo non impedirà a coloro che pensano con la propria testa di porsi le giuste domande.
Per quanto riguarda il modo in cui evolverà questa crisi, mi prenderò cura di non formulare il benché minimo pronostico. La piazza algerina probabilmente non ha il minimo sospetto circa la manipolazione di cui è oggetto. Le attuali forze governative ed i suoi servizi di intelligence hanno certamente informazioni specifiche che possono essere un fattore di forza. Ma da lì a dedurre chi vincerà, è ancora impossibile oggi. Non si può che dire una sola cosa: “Buona fortuna l’Algeria”!
Dominique Delawarde
PS: Tre documenti interessanti vengono a sostegno del mio punto di vista per coloro che vogliono arrivare al fondo delle cose:
– Un interessante articolo del 13 marzo 2019 trovato sul sito “avvisi di Stratediplo” con il titolo “destabilizzazione dell’Algeria”.
– Un documento dell’agenzia Sputnik del 19 marzo 2019 con il titolo: “La diplomazia algerina invierà a Putin una lettera di Bouteflika” (https://fr.sputniknews.com/international/201903191040407512-algerie-russie-poutine-bouteflika-lettre/).
– Un documento dell’agenzia russa RT del 19 marzo 2019 con il titolo: “La Russia mette in guardia contro qualsiasi interferenza straniera in Algeria” (https://francais.rt.com/international/60196-russie-met-garde-contre-toute-ingerence-en-algerie).
Precisazione: i punti di vista esposti impegnano solo l’autore di questo testo e non la nostra testata. Giornale alternativo, <Breizh-info.com>, è soprattutto dedicato alla libertà di espressione. Ciò implica naturalmente che opinioni diverse, e persino opposte, possano trovarvi il loro spazio.
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Il documento è chiaro ed autorevole. Ma pone in chi lo legge problemi sulla valutazione della situazione.
È innegabile la presenza di una lobby, o nomenklatura, o oligarchia che dir si voglia, attorno al vecchio e malato Presidente, che ne “interpreta” la leadership. È altrettanto auspicabile che il 28 aprile, giorno del compimento del quarto mandato, Bouteflika lasci definitivamente il suo incarico, come auspicato da Nacera Benali. A chi debba essere ceduto lo scettro quel giorno è divenuto problematico dopo l’annullamento della tornata elettorale e il suo rinvio sine die. I portavoce dei manifestanti hanno ripetutamente rigettato l’idea del prolungamento del mandato per un anno, onde dare il tempo ai partiti di riorganizzarsi. Hanno altresì categoricamente rifiutato l’ipotesi della revisione della Costituzione pilotata da esponenti del gruppo al potere. È forse anche fatale che si passi ad una “seconda repubblica”, come auspicato da Mourad Rouighi. Ciò che non è chiaro è chi dovrà pilotare questa svolta radicale. È su questo, più che sugli intuibili contenuti della riforma, che si misureranno i manifestanti e le parti politiche.
E, rifacendoci al contenuto del documento di Delawarde, è altrettanto sicuro che le antenne di chi vorrebbe profittare della situazione sono ben dritte. Non sarà persa l’occasione per cercare una penetrazione politica, che indurrebbe le controparti a cercare di penetrare anch’esse.
Ed a quel punto tutto potrebbe accadere, e non sarebbe una bella storia per il Paese, e neppure per il Mediterraneo ed i suoi incerti equilibri.
Auspichiamo vivamente che le grandi potenze si astengano da iniziative che possano coinvolgere questa meravigliosa piazza algerina.
Con altrettanta forza, auspichiamo che si astengano da iniziative sommerse e pericolose tutte le potenze regionali, sempre avide di palcoscenico. Sarebbe una bella notizia la discesa in campo delle grandi potenze, unicamente a garanzia contro iniziative delle pericolosissime potenze regionali, Israele inclusa.
Una cosa è sicura, per dirla con Ugo Tramballi: se precipita la situazione algerina, la cosa non potrà non avere gravi ripercussioni su tutto il Mediterraneo!
Enrico La Rosa