Deludente seduta parlamentare che evidenzia, ancora una volta, la poco incisiva politica di buon vicinato dell’Europa
di Enrico La Rosa
Il sito del Parlamento europeo ha pubblicato ieri, al termine della seduta dedicata all’esame della proposta di risoluzione sulla “revisione della politica europea di vicinato-dimensione meridionale”, un resoconto che definire sconcertante è poco.
Innanzitutto, con enorme perspicacia e tempestività, si scopre che, secondo gli eurodeputati, la politica europea di vicinato (PEV) ha bisogno di essere profondamente revisionata. Se la perspicace intuizione di questi signori è giusta e condivisibile, ancorché in ritardo di parecchie lune, non possono non cascare le braccia leggendo quale sia l’origine di tale epocale intuizione («il fallimento della PEV nel promuovere i diritti umani nei paesi terzi»), quale lo scopo a base del proposito di revisione (<per sostenere la stabilità e la crescita ai confini comunitari»), quale il quadro in cui si richiede che ciò debba avvenire («a condizione però che siano realizzate le riforme democratiche») e l’individuazione di lacci, laccioli e condizioni varie, del tipo «garantire ad alcuni (!!!) degli Stati partner uno status più avanzato nelle relazioni con l’Unione», «facilitare l’ottenimento dei visti d’ingresso per tutti i partner del Mediterraneo, in particolare per studenti, ricercatori e uomini d’affari (!!!)».«I deputati criticano “l’approccio asimmetrico” dell’UE in materia di mobilità nei confronti dei paesi vicini e reiterano la convinzione che gli accordi di riammissione devono valere solo per gli immigrati irregolari, e non per i richiedenti asilo, i rifugiati o le persone che necessitino protezione. Inoltre, si ribadisce il valore del principio del “non respingimento”, da applicare a qualsiasi persona che rischia la pena di morte, trattamenti disumani e tortura».
Crediamo che un qualunque studente di scienze politiche o di relazioni internazionali di un qualsiasi ateneo italiano avrebbe potuto scrivere cose più sensate.
Dispiace constatare ancora una volta che le riforme dell’Europa siano sempre interessate. Continua a prevalere una visione utilitaristica e di autotutela delle relazioni con i Paesi circostanti. Il che non è necessariamente condannabile “a priori”. E’ semplicemente una scelta, che diviene esecrabile allorché la si voglia spacciare per atteggiamento di disponibile, generosa e solidale mano tesa.
La solidarietà, per esser tale, non può essere condizionata. Tra i principi basilari del diritto vige l’inammissibilità di una donazione in testamento soggetta a condizioni. In caso contrario si tratta di un contratto, di una cosa in cambio di un’altra. Non dovrebbe essere ammissibile neppure tra Stati: l’idea stessa di <solidarietà> sembrerebbe escludere che la si possa sottoporre a vincoli e condizioni. E questo in generale.
Nel particolare, poi, si continua a volere imporre il rispetto dei diritti umani e la realizzazione di riforme democratiche. Si tratta di definizioni vuote e strumentali, che significano tutto ed il contrario di tutto, come usa dire oggi. Definizioni prive di fondamento se riferite a realtà, ordinamenti ed excursus storici molto differenti da quelli europei. Anziché continuare a voler imporre i propri modelli sociali e politici, l’Europa deve cominciare a capire che possono esistere strutture differenti dalle sue e più giuste delle sue in contesti differenti dal suo. Come meravigliarsi, altrimenti, che anche altri vogliano esportare la propria visione della vita, in qualunque modo? E se coloro che ci vendono le materie prime e l’energia decidessero di farlo in cambio non solo di soldi, ma anche del riconoscimento del proprio sistema di vita, come pretendiamo di fare noi Europei?
Sul piano etico e dei principi, in certi contesti l’attaccamento alla propria religione rappresenta l’ultimo appiglio in difesa dell’organizzazione di vita e di valori che la globalizzazione pretenderebbe di spazzare via.
Ci piacerebbe leggere nei comunicati stampa dell’Europa di discussioni su questi temi, non solo di disquisizioni circa l’accettabilità dell’arrivo di studenti ricercatori e uomini d’affari, piuttosto che di operai, impiegati, diseredati in cerca di una terra promessa e più giusta.
Più giusta… Forse questa è la vera chimera…
Questo il testo integrale del comunicato stampa pubblicato il 7 aprile sul sito del Parlamento Europeo:
«Una profonda revisione della politica europea di vicinato (PEV), lanciata nel 2004 per sostenere la stabilità e la crescita ai confini comunitari, è urgente secondo gli eurodeputati. La primavera del mondo arabo ha convinto il Parlamento a chiedere all’UE maggior sostegno politico e finanziario per questi paesi, a condizione però che siano realizzate le riforme democratiche.
Il Parlamento riconosce il fallimento della PEV nel promuovere i diritti umani nei paesi terzi e chiede ai governi nazionali di trarne le giuste conseguenze, realizzando un “meccanismo di applicazione” per facilitare l’uso della clausola che permette la sospensione degli accordi in caso di violazione dei diritti umani.
Nella nuova politica di vicinato, l’UE deve giocare “un ruolo attivo da protagonista e non solo quello di finanziatore”, in particolare nel processo di pace in Medio Oriente e nel Sahara occidentale, dicono i deputati. Le relazioni future con il Nord Africa e il Medio Oriente devono essere sufficientemente flessibili da permettere soluzioni mirate per ciascun paese, con la possibilità di garantire ad alcuni degli Stati partner uno status più avanzato nelle relazioni con l’Unione. I negoziati condotti dalla Commissione per gli accordi bilaterali dovrebbero essere più trasparenti, cosi come i criteri utilizzati per garantire lo “status avanzato”.
Immigrazione e visti d’ingresso
In accordo con le recenti proposte della Commissione, i deputati chiedono di facilitare l’ottenimento dei visti d’ingresso per tutti i partner del Mediterraneo, in particolare per studenti, ricercatori e uomini d’affari.
I deputati criticano “l’approccio asimmetrico” dell’UE in materia di mobilità nei confronti dei paesi vicini e reiterano la convinzione che gli accordi di riammissione devono valere solo per gli immigrati irregolari, e non per i richiedenti asilo, i rifugiati o le persone che necessitano protezione. Inoltre, si ribadisce il valore del principio del “non respingimento”, da applicare a qualsiasi persona che rischia la pena di morte, trattamenti disumani e tortura.
La Commissione europea presenterà un piano di riforma della PEV il 20 aprile».