di Nicola Lo Foco
Ammonta a ben 480 milioni di dollari la cifra che il Qatar ha versato nelle casse dell’Autorità Nazionale Palestinese. La faraonica cifra è stata offerta per supportare i vitali settori dell’istruzione, della sanità e degli aiuti umanitari. Inoltre, una parte del finanziamento, finirà anche nelle tasche del governo della Striscia di Gaza, in mano ad Hamas. Il provvedimento segue quello della fine dello scorso anno, sempre adottato dal Qatar stesso, inerente al versamento 15 milioni di dollari mensili nelle casse di Hamas per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici. Si tratta di una “mossa del cavallo”, molto precisa, fatta dal piccolo ma ricchissimo emirato del Golfo per accrescere la sua influenza politica sulla questione palestinese. Da poco, infatti, è terminata l’ennesimo scontro armato tra Israele e Gaza, costato la vita a 4 israeliani e a 21 palestinesi. Mai, come in questo momento, tutta la popolazione della Striscia necessita di aiuti urgenti, fiaccata come è da 12 anni di embargo ed in preda ad una crisi sanitaria senza precedenti. Ed i toni, da entrambe le parti, restano abbastanza accesi. Il presidente israeliano, Benjamin Netanyahu, rafforzato dalla sua recente rielezione a premier, afferma che i raid aerei su Gaza continueranno sino a quando ci sarà bisogno di “difendere la popolazione del sud” dagli attacchi dei missili “Qassam” di Hamas, la quale, a sua volta, lo accusa di aver violato la tregua raggiunta nel 2018 con la mediazione dell’Egitto. Ma, aldilà di tutto questo, i finanziamenti qatarioti segnano, in maniera inequivocabile, il tentativo di rivincita dei Fratelli Musulmani in tutta l’area mediorientale. Doha, divenuta la loro roccaforte dopo la sanguinosa repressione subita ad opera dal presidente egiziano Ghamal Nasser per tutti gli anni ’60, ha continuato nel corso del tempo, e continua ancora adesso, a finanziare la fratellanza, con ogni mezzo. Non dimentichiamo che il ruolo giocato dai Fratelli Musulmani durante le “Primavere Arabe” è stato di enorme importanza, dato che, dopo la fase embrionale delle rivolte, avevano ottenuto la presidenza dell’Egitto con Mohamed Morsi, la presa del governo tunisino con “Ennhada”, la creazione di numerose brigate armate in Libia (decisive per la defenestrazione di Gheddafi) e in Siria (messe in piedi con l’aiuto della Turchia). Il tutto ha fatto parte di un progetto ambizioso, epocale, che si riprometteva di ridisegnare tutta la mappa geopolitica del mondo arabo-musulmano, sotto la benedizione degli Stati Uniti, i quali erano stati i primi a sostenere (e ad esaltare) il ciclone delle “Primavere” iniziato nel 2011. Un progetto che, nel corso degli anni, si è disgregato, facendo sprofondare la fratellanza in una crisi senza precedenti. Ora, per cercare di risollevarsi, i Fratelli Musulmani hanno puntato molto sulla propria costola palestinese, Hamas, da loro sovvenzionata ed appoggiata sin dalla sua nascita, nel 1987. In primo luogo, l’obiettivo è quello di contrastare il “grande rivale” in tutta l’area, l’Arabia Saudita, alleato di ferro dell’Egitto, nazione ormai in preda al dominio assoluto del generale Al Sisi. E peserà non poco la nuova alleanza tra Qatar ed Iran, dopo la ripresa dei rapporti diplomatici, avvenuta nel 2017.
Nicola Lofoco