Yemen, breve storia di un conflitto senza prospettive di pace

di Nicola Lofoco

Architettonicamente è il Paese più bello del mondo, Sana’a, la capitale, è una Venezia selvaggia sulla polvere senza San Marco e senza la Giudecca, una città forma, la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti, ma nell’incomparabile disegno….è questo uno dei miei sogni”. Sono queste le parole usate da un grande intellettuale italiano, Pier Paolo Pasolini, per definire lo splendore, artistico e culturale, dello Yemen, Paese a cui dedicò il suo celebre cortometraggio “Le Mura di Sana’a”, trasmesso dalla Rai il 16 febbraio 1971.

Si tratta di una nazione bellissima, immersa, purtroppo, in una devastante guerra civile, la cui fine sembra ancora, amaramente, molto lontana. Una guerra in cui le ingerenze esterne, quelle di Iran e Arabia Saudita in particolare, sono determinanti a tutti gli effetti. Accanto a questo, è necessario sottolineare i grandi problemi, ancora esistenti e mai risolti, che sussistono sulla sua coesione nazionale. Per metterli bene a fuoco è doveroso compiere un breve excursus storico, partendo dagli inizi del ‘900.

In quel periodo la zona settentrionale dello Yemen era sottoposta al pieno dominio dell’Impero Ottomano, mentre la parte meridionale era integrata nei possedimenti coloniali della Gran Bretagna. Al termine del primo conflitto bellico mondiale, nel 1918, dopo la fine della dominazione ottomana, fu lo Yemen del Nord a proclamare la propria sovranità. La nazione venne allora sorretta dal cosiddetto “imamato teocratico” dell’Imam Yaha Muhamad Hamid ed Din, il quale perse la vita nel 1948 in un attentato. Il suo posto venne preso da suo figlio, Ahmad, che a sua volta lo lasciò dopo la sua morte, nel 1962, al figlio Muhammad Al Badr, deposto durante lo stesso anno da un colpo di stato militare. Nacque cosi la “Repubblica Araba dello Yemen”. Lo Yemen del Sud, invece, raggiunse l’indipendenza solo nel 1967 e nel 1970 vi si installò un regime comunista, alleato dell’Unione Sovietica. Nacque così la “Repubblica Democratica Popolare dello Yemen”. Le tensioni tra Nord e Sud restarono sempre abbastanza pesanti. Entrambe le nazioni si dichiararono guerra una prima volta, nel 1972, ed una seconda, nel 1979. Ma, nel 1990, in coincidenza con la fine della guerra fredda, si giunse all’agognata riunificazione. Le divergenze politiche e culturali, però, riesplosero nel 1994, anno in cui lo Yemen del Sud proclamò nuovamente la sua indipendenza, con capitale Aden. La secessione del sud, comunque, non venne riconosciuta dalla comunità internazionale. Nel 2004 si riaprirono nuovamente le ostilità, in maniera ancora più violenta. Il perché di queste numerose frizioni interne è spiegabile, in buona parte, se consideriamo che la maggioranza della popolazione, di fede musulmana sunnita (60% circa), ha sempre avuto seri problemi di coesistenza con la minoranza sciita-zaidita (40% circa), filoiraniana. E furono proprio loro, i filoiraniani, guidati da Abdul Malik Al -Houthi, a dare vita, in quel momento, ad una cruenta azione armata contro l’allora presidente Ali Abdullah Saleh.

Da allora tutto lo Yemen è in preda ad un conflitto sanguinoso e sanguinario, dove bombardamenti, crimini di guerra, sequestri di persona e violazione dei diritti umani sono all’ordine del giorno. Il regime di Saleh è poi definitivamente entrato in crisi a causa del ciclone delle “Primavere” che ha investito tutto il mondo arabo nel 2011. Nel 2012 Saleh è stato costretto a dimettersi, e a lasciare il posto al suo vice, Abdul Mansur Hadi, protetto dall’ Arabia Saudita. Dopo l’insediamento di quest’ultimo, Saleh e le sue milizie si sono a loro volta alleate con i loro vecchi nemici, gli Houthi, per combattere contro Hadi. Lo stesso Saleh è stato successivamente ucciso proprio dagli Houthi, il 4 dicembre 2017.

Tutto questo fa comprendere bene come sia complessa la situazione interna dello Yemen, soggetta a continui cambi di alleanze tra le varie fazioni, che mutano a seconda delle convenienze di ognuno. Quello che fa gola a tutti è il controllo dello stretto di Bab el Mandeb, che collega il Mar Rosso con il golfo di Aden, importante via commerciale per il passaggio del petrolio. Un controllo che vede contrapposti i due grandi rivali, Iran e Arabia Saudita. Divenuta, quest’ultima, anche il punto di riferimento di tutti coloro i quali temono l’espansione dell’egemonia iraniana nella regione. Anche il Qatar, in tutto questo, sta giocando la propria partita, appoggiando e finanziando il gruppo di Al-Islah, cellula yemenita dei Fratelli Musulmani.

Non bisogna dimenticare, poi, che un’altra questione che tiene banco, ineludibilmente, è rappresentata dall’ imponente giro d’affari che ruota intorno alle forniture di armamenti. Secondo taluni dati forniti da Amnesty International, Usa e Regno Unito hanno trasferito armi per oltre 5 miliardi di dollari all’Arabia Saudita, capofila della coalizione militare che sostiene Hadi. Amnesty che ha anche confermato, come del resto confermato da alcune inchieste giornalistiche, che numerose forniture di bombe e missili, veicolate ai Sauditi, provengono da fabbriche italiane. Si tratta di micidiali ordigni che colpiscono, quotidianamente, tutta la popolazione.

Primavera araba o no, per ora, nulla ha avuto il profumo della primavera per tutti gli yemeniti.

Nicola Lofoco