Non è novità la denuncia del fatto che la società capitalista, uscita vincitrice alla fine del secolo scorso dal confronto con quella socialista, stia sempre più trasformando le persone da cittadini in consumatori; e ciò accade in una società ormai dominata, a tutti i livelli, dall’economia del profitto e dall’individualismo.
Il saggio analizza questa tendenza esaminandone le cause, chiedendosi chi le governi e, soprattutto, perché il consumo sia così importante per l’attuale sistema economico-politico. Chiudendo poi il discorso con un’interessante serie di proposte di azioni finalizzate a contrastare la mercificazione del tutto e a iniziare a restituire alle persone, partendo dal basso, un senso del vivere comune.
Che, aggiungiamo, potrebbe sfociare in quella società unita e inclusiva che la situazione attuale, per esempio dei fenomeni migratori, sembra richiedere in alternativa al conflitto, anche armato.
La redazione
di Angelo De Giuli
Una domenica di luglio, durante la messa, un dettaglio della predica ha deviato la mia attenzione verso una riflessione sulla vita di tutti i giorni. Il sacerdote stava sottolineando come i ritmi frenetici ed esasperati delle nostre vite ci abbiano allontanati, alienati dalla realtà delle nostre comunità; propose, quale tema di meditazione, la mancanza di tempo (e, mi permetto di aggiungere, anche di volontà) per osservare il mondo circostante, analizzare e riflettere sulle trasformazioni in corso in ambito sociale, nei comportamenti e nelle relazioni umane. Completamente dedicati alla carriera, ad assecondare le richieste di un mondo del lavoro sempre più competitivo ed esigente, a presenziare su social networks (e di conseguenza asservirsi ai comportamenti imposti dalla social community), a seguire la dogmatica contemporanea, ci si lamenta delle innumerevoli manifestazioni di un mondo umanamente inaridito, di una società che “rottama a prescindere” ciò che ora esiste per fare spazio al “nuovo sempre migliore a prescindere” (e che sarà a sua volta rottamato tra alcuni mesi!!). Spesso sentiamo persone al bar o commentatori in televisione raccontare e dolersi di un mondo impazzito, privo di valori autentici, di nuove generazioni perdute, di un ambiente compromesso dalla eccessiva attività umana. I titoli dei quotidiani offrono una desolante idea della deriva evidente in politica, nella vita privata e pubblica, nei costumi moderni e nelle relazioni umane. Ma una oggettiva, imparziale, scomoda riflessione sulla realtà, sulle origini dei fenomeni sociali e comportamentali non trova tempo e utilità nella nostra quotidianità. La verità è che non vogliamo riflettere, altrimenti tutti insieme dovremmo recitare il detto “chi è causa del suo male, pianga sé stesso”.
Eppure, una riflessione ce la dovremmo concedere perché se è vero che la società scivola sempre più verso l’individualismo, la conflittualità ed emarginazione, è altrettanto vero che essa è il risultato dell’azione di tanti individui e della loro interazione. Se ne può dedurre che il singolo individuo, con il suo comportamento, è il primo responsabile della realtà che si viene a creare ed a sviluppare.
Prescindendo da specifici esempi proprio per il carattere pervasivo e generale dell’evidenza empirica, si direbbe che l’individualismo, l’esasperata competizione, il pensiero banalizzato, semplificato e standardizzato, inappellabile e funzionale a giustificare la nostra opinione, l’acritica accettazione dei moderni stili di vita e delle sue regole, tutti insieme e contemporaneamente permeino la vita sociale ad ogni livello ed ambito. Da non sottovalutare il diffuso atteggiamento a considerare lecito abdicare ad ogni responsabilità individuale in funzione di un proprio interesse, ritenendo tutto o quasi sacrificabile al fine di perseguire il personale, sacrosanto diritto al benessere ed alla felicità.
Studiosi di varie scienze umane, già da due decenni, hanno individuato ed analizzato questi aspetti: il più autorevole, e di conseguenza il più inascoltato, rimane il sociologo Zygmunt Bauman, il quale descrive perfettamente i contemporanei comportamenti sociali ed individuali nei suoi libri (se appassiona il tema, imperdibili ed illuminanti sono i volumi “La società liquida” e “Consumo, dunque sono”).
La realtà sommariamente descritta in questa introduzione non appare la causa della situazione attuale, bensì il risultato dell’azione coordinata e continuativa di numerosi fattori, di varia natura, sull’agire e pensare dei singoli individui.
I fattori che esercitano la principale influenza sulla grande maggioranza delle persone sono prevalentemente di ordine economico, prima ancora che etico, morale o politico. Prestando attenzione ai dibattiti pubblici o alle discussioni private, si può facilmente notare come tutti essi trattino o siano condizionati da considerazioni di carattere economico: il Pil, lo Spread, il tasso di occupazione, la produzione industriale, il tasso di interesse ed altri indici. Come se l’Economia fosse rappresentabile solo da questi parametri!
Il motivo di ciò, omettendo le argomentazioni e sintetizzando le conclusioni, può essere descritto così: l’Economia, nella sua più semplificata accezione, ha soppiantato la Politica, con la P maiuscola, quella Politica animata, ispirata da valori che scaturiscono dalla “condizione umana”, dove la “condizione” deve essere modificata, evoluta in senso “umano”, ossia per valorizzare l’Uomo. Condivisibili o meno che siano, le grandi ideologie e filosofie della Storia – la Res Publica romana, la Polis greca, l’Illuminismo, il pensiero liberale e l’ideologia comunista, le religioni tutte (non certo le varie sette) – nacquero e si svilupparono ponendosi come obiettivo l’evoluzione dell’Uomo. La Storia documenta molti casi in cui vi furono gravi degenerazioni, ma questi rappresentarono anche delle grandi “lezioni” da cui originarono visioni diverse del mondo, tese alla continuazione del processo di evoluzione dell’Uomo.
L’Economia esisteva anche in quelle epoche remote? Certo, così come esistevano anche i difetti e le caratteristiche dell’animo umano. La grande differenza, rispetto ad oggi, consisteva nella supremazia del Pensiero, che sempre è sopravvissuto alle grandi crisi storiche. Una sopravvivenza che si è sempre verificata nonostante il minor livello del “sapere” ed una sua più limitata diffusione.
Per inciso, anche su questo aspetto della modernità sarebbe interessante soffermarsi ed approfondire: il Sapere, cosa significa e rappresenta oggi questa parola?
Riflettendo su questo risultato dei tempi moderni, la straordinaria supremazia dell’Economia e la società che sta plasmando, viene da chiedersi: cosa, dell’Economia, sembra avere la capacità di influenzare e condizionare l’animo umano e far sì che esso la innalzi, in una scala ideale di valori, ad un livello ben superiore a quello di Politica, Etica e Morale?
Evitando in questo contesto dissertazioni teoriche di Economia Politica, focalizziamo l’attenzione sul fattore che ricopre il ruolo di motore dell’Economia: il consumo.
Prima di addentrarci nel ragionamento è bene precisare che il significato di consumo e consumismo non deve essere inteso limitatamente al fatto economico di utilizzo di beni e servizi, ma è da estendersi anche all’insieme delle relazioni umane in generale. Studi di sociologia più o meno recenti ben spiegano il processo di mercificazione dei rapporti umani e, se interessati, si può approfondire l’argomento con la lettura dei libri di Zygmunt Bauman.
La centralità del consumo nell’attuale sistema economico delinea un cambiamento di paradigma rispetto all’Economia di qualche decennio fa.
L’Economia, intesa come materia di studio e teoria sistemica nell’ambito delle scienze umane, si sviluppa nel tempo per comprendere il funzionamento di quei meccanismi che consentono alle tre grandi macro-categorie (capitale, rendita, lavoro) di permettere a tutti, a chi più e a chi meno, di “consumare”. Inizialmente consentire di consumare il necessario, successivamente eliminare la condizione di sopravvivenza ed elevare l’Uomo a migliori standard di vita. L’Economia non solo si poneva l’obiettivo di capire e spiegare i meccanismi che consentono di produrre ricchezza (profitto) ma anche le modalità della sua distribuzione tra i fattori richiamati in precedenza (capitale, rendita, lavoro). Le ipotesi di base dei modelli teorici consideravano le diverse combinazioni di volume dei fattori la formula di determinazione del livello dei consumi.
Negli ultimi decenni, invece, la relazione si è invertita: oggi è il livello di consumo che determina l’impiego di lavoro, capitale e rendita. Un esempio di questa evoluzione lo si può ravvedere nelle motivazioni a sostegno del modello fiscale detto Flat Tax: con la riduzione del prelievo fiscale gli individui avranno a disposizione maggior denaro per aumentare i loro consumi. Questa maggior spesa determinerà incrementi degli investimenti (capitale) e dell’occupazione (lavoro).
Dunque il consumo, elemento base di quella Economia che governa la nostra società, è il nocciolo della nostra riflessione, l’origine della realtà che viviamo, il “signore occulto” delle coscienze e della vita delle persone.
E’ un signore che dispone di un enorme potere, pervasivo e quasi assoluto; un potere che agisce sulle persone, siano esse considerate singolarmente o in gruppi, per mezzo di forti, subdoli e condizionanti attori, strumenti, motivazioni. Tutti elementi, questi, tanto potenti quanto deboli sono le difese di cui gli individui dispongono. Difese indebolite dalla sistematica distruzione di radici culturali, dalla crescente competizione tra “consumatori” e dalla marginalizzazione graduale ed inesorabile del significato dei concetti di senso civico, etica, giustizia e solidarietà sociali. Concetti, questi, che rappresentano l’unico freno agli istinti predatori della natura umana. Un abbassamento delle difese soggettive che porta ad una sorta di pigrizia mentale, un’inerzia intellettiva che adagia nella comoda convinzione che questo mondo sia il migliore possibile, che rassicura, almeno fino a quando i suoi effetti distruttivi non ci lambiscono direttamente e personalmente!
L’indebolimento continuo e progressivo di queste difese, teso al loro annientamento, non è un naturale processo di degradazione dell’animo umano, ma una diabolica strategia perseguita con un sistema ideato e perfezionato da “pochi” per condizionare “molti”. Per dare un senso concreto a questa astrazione, negli anni ’80, quando la tecnologia rese possibile ai non professionisti l’accesso ai mercati finanziari, gli operatori di borsa definivano i piccoli risparmiatori il “parco buoi”, nel senso che, con sapiente gestione delle informazioni e dei miraggi di facili guadagni da parte degli operatori istituzionali, i risparmiatori (i buoi) dovevano essere incoraggiati a piccoli investimenti affinché in tanti perdessero poco e spesso, mentre in pochi (loro, i professionisti, brokers, ecc. …) guadagnassero tanto e sovente.
Quale è lo scopo di questo disegno? La pretesa di pochi, potenti e insaziabili individui che, per egocentrismo, potere, dimostrazione di superiorità, semplice necessità di gloria o mancanza di limiti al loro narcisismo, volontà di sottomettere e condizionare il prossimo, desiderio di essere venerati, aspirano alla gestione totale delle risorse, che tendono ormai alla scarsità o addirittura all’esaurimento.
Lo strapotere del “bisogno di consumare” è tale per cui se l’assoggettamento del Pensiero all’Economia è il principale effetto, una seconda conseguenza, assai più insidiosa, è il progressivo e veloce depauperamento, degrado e distruzione della natura e dell’ambiente in generale.
Ebbene, questi due entusiasmanti prodotti della società dei consumi accomunino gli attori tutti (i padroni, le élite, i lavoratori, i consumatori, gli esclusi, insomma, tutti), uniti da interessi apparentemente contrastanti e, tutti insieme li rende complici nel produrre e perpetuare gli effetti del consumismo. Perché i loro interessi sono solo apparentemente in contrasto? La spiegazione si renderà evidente man mano che svilupperemo l’argomentazione.
Considerando che l’evidenza quotidiana ci dimostra un accentuarsi del disagio sociale, se mai sarà possibile che questo tipo di società trovi da sola un nuovo orientamento (prima che, a livello globale, ci pensi una guerra, una rivoluzione, una carestia o un altro tipo di sciagura) lo si dovrà alla capacità del Pensiero di riappropriarsi del primato sull’Economia.
Il Pensiero potrà risorgere a guida dell’Uomo solo a seguito di un lungo processo, il quale vedrà una prima fase consistente nella comprensione e presa di coscienza sia dei meccanismi che muovono la spinta al consumo sia dei condizionamenti sociali derivanti da questi. Seguirà una seconda fase rappresentata dalla individuazione e comunicazione degli argomenti che maggiormente potranno convincere le persone ad opporsi alla sottomissione al consumismo. Infine, vi dovrà essere la dimostrazione che una società più “umana” è possibile, con la creazione e sviluppo di casi concreti.
Per comprendere quanto sia potente il sistema basato sul consumismo nel sottomettere la Politica, si dovrà, nell’ordine: individuare cosa influenza il “consumo”, chi manovra le leve del condizionamento al consumo dei comportamenti, perché è così necessario al sistema che le persone siano votate al consumismo.
COSA DETERMINA IL COMPORTAMENTO CONSUMISTICO
Fermarsi alla massima “l’uomo è avido e vuole sempre di più” è una riduzione di complessi meccanismi economici e sociali ad un livello di banalità che rappresenta la scusa tipica di chi vuol nascondere la volontà di non comprendere. Ma allo stesso tempo è una frase che è sempre presente nella mente degli uomini di marketing. Infatti, per questi ultimi il costante problema è individuare le giuste leve che motivino e scatenino le corse ad acquistare. Ossia, devono fornire ai potenziali consumatori le risposte ai quesiti: perché devo comprare cose in più rispetto a ciò che effettivamente mi serve? Se il mercato già mi offre tutto il necessario ed il superfluo, perché devo dedicare tempo e risorse a cercare qualcosa di nuovo? Se già possiedo un oggetto ancora perfettamente funzionante, perché devo sostituirlo con il nuovo modello?
La tecnica è quella di creare sempre nuovi bisogni. Si bombardano i consumatori con ripetuti messaggi del tipo: quello che hai è superato, oppure, non ci hai mai pensato ma hai bisogno, per un vero benessere e agio, di questo prodotto o di quel servizio. Ancora, perché vuoi perdere tempo a cercare o valutare? Goditi il tempo libero, lascia fare a noi, iscriviti a questo o quel servizio! Fai tardi in ufficio ed il tempo non ti basta mai? Non preoccuparti, ora non è più un problema: con una semplice telefonata o tramite la nostra App, puoi avere ovunque desideri ogni cosa tu richieda, ad ogni ora ti sia comodo. E così altri mille messaggi!
Tuttavia, questi “inviti” non sono di per sé un valido e condizionante motivo che induce all’irresistibile piacere consumistico. Servono azioni di marketing più subdole e lusinghiere, del tipo: la vita è complicata e tu sei già stressato di tuo, il tempo è poco e la vita è breve, affidati a questo fantastico prodotto che funziona dieci volte meglio del precedente, affidati a noi professionisti per questo o quel servizio … e la tua vita sarà più facile, più comoda, più felice ed anche più invidiabile!
Già a questo punto il dubbio che il bisogno esista è quasi una certezza. Manca solo la spinta finale!
Ora che ti sei accorto del bisogno, ecco il diabolico messaggio finale: vedi che hai necessità, perché rinunciare a questo o quello, quando potresti avere tutto? La felicità è un tuo sacrosanto diritto, ti spetta ora: perché aspettare?
Rimane un ultimo ostacolo da farti superare, più che altro un pavido scrupolo, quando ti chiedi: ma ho i soldi per comprare?
Ma certo che hai i soldi! Basta pagare a rate, non acquistare ma noleggiare, pagare dopo mesi dall’acquisto o, massimo della comodità, striscia la carta di credito e paga la cifra mensile che preferisci (di solito la più bassa somma mensile ammessa dal contratto, così il debito durerà di più e pagherai più interessi!).
Insomma, non ti devi preoccupare di nulla. Ti vengono serviti il bisogno, le giustificazioni del caso (come la pubblicità di uno shampoo per donne che terminava con l’ammaliante frase “perché tu vali!”), gli strumenti finanziari per pagare, soprattutto quando non ne hai la possibilità in quel momento; insomma, devi solo preoccuparti di correre a comprare!
Certo si potrebbe rispondere: bene, grazie per il pensiero ma no, non mi interessa.
Invece in gran parte dei casi no, questo non succede, perché un numero sempre crescente di persone trova nell’acquisto le risposte a problemi esistenziali che questa società ha generato, apparentemente in modo spontaneo, in realtà sotto la sapiente guida di una cinica elite con obiettivi molto precisi.
Il consumo, utile, inutile, superfluo o eccessivo che sia, di fatto è la risposta ad una serie di quesiti di cui i principali sono:
- Sei di questa società? – Sì, certo, ho la carta di credito ed acquisto come tutti.
- Ma come ci stai in questa società? – Alla grande! Guarda: vacanze, scarpe, vestiti, palestra, parrucchiere, estetista, locali alla moda … non mi faccio mancare niente!
- Sei accettato da questa società? Ti riconosce a pieno titolo? – Certo, ho gusto, sono alla moda, seguo le tendenze all’avanguardia e sono tecnologico, ho tutte le ultime app … sono al passo con i tempi e faccio parte delle persone più smart di tutto il mondo.
- A questo mondo, ti vedono solo parenti ed amici? – No, voglio e posso essere visibile il più possibile, che tutti sappiano di me e quello che faccio; sono presente sui social network, faccio foto dovunque e video di ogni cosa mi venga in mente (me ne invento anche di strepitose!) e le pubblico perché sono troppo interessante, sono oltre le vecchie e solite cose, sono oltre in generale, proiettato verso il futuro.
- Allora sei un tipo unico, hai valore? – Certo, ho un sacco di like, tutti possono vedere che sono felice, vivo alla grande, sono alla moda e suscito ammirazione, a volte anche invidia. Ecco, sì, ho un mio preciso spazio nell’universo, ho valore, sono conosciuto ed apprezzato … scrivo, pubblico, chatto con tutto il mondo, perché faccio parte della Comunità!
- Ci sarebbero altre decine di domande e risposte simili, improntate a solleticare ed esaltare la nostra spiccata ed unica personalità!
Altra motivazione, potentissima, a consumare servizi e prodotti inutili è la necessità di dimostrare che sono ricco, benestante: posso avere e dare alla mia famiglia più di quanto tu possa perché io sono valutato più di te. E su questo si sprecherebbero gli esempi!
CHI MANOVRA IL PROCESSO DI SPINTA AL CONSUMO OBBLIGATO
Il paragrafo precedente è un insieme, certamente incompleto, di motivazioni che nascono e colpiscono l’ego a livello personale, le quali, tramite l’interazione degli individui, si trasformano in fenomeni di massa. E chi, con il suo comportamento, non risponde a queste domande, quindi non si crea questi irresistibili bisogni, sarà emarginato e denigrato.
Ma perché questi bisogni inutili sono così diffusi e, soprattutto, cosa rende così (apparentemente) appagante il consumare?
L’argomento è talmente vasto e intrigante da indagare che una approfondita disamina sarebbe di per sé un enorme trattato economico-psicologico-sociale, al termine del quale non sarebbe possibile individuare una categoria responsabile della supremazia del consumismo!
Si potrebbe, però, concentrare l’attenzione sui principali elementi che, in modo interdipendente e con pari forza, condizionano i comportamenti del famoso Homo Oeconomicus trasformandolo in Homo Consumens: la crescente ignoranza, la vigliaccheria, l’egoistica comodità.
L’Ignoranza. Qui non la si intende come analfabetismo ed assenza di cultura generale. Ci si riferisce alla non conoscenza dei meccanismi che agiscono sul singolo, sulle famiglie, sulle società; processi di natura psicologica, economica, sociale, politica, che tutti insieme spingono al consumo quale scopo principale della vita, unico mezzo per sentirsi ed essere integrati nella società. Un consumo da poter esporre, per guadagnarsi il pubblico riconoscimento, a volte anche per suscitare invidia.
Ignoranza relativa agli effetti derivanti dall’attuale modo di consumare, i quali agiscono sulle persone ed i vari livelli di organizzazione delle stesse, sull’ambiente, sul futuro di questo “mondo”.
Ignoranza che dipende anche dalla impossibilità di approfondire i diversi aspetti del nostro stile di vita, perché completamente assorbiti da mille impegni più urgenti e “importanti” (tra cui il trovare sempre qualcosa di originale da consumare!).
La Vigliaccheria. Termine usato in questo contesto proprio per il suo preciso significato dispregiativo.
Quando si tratta di far valere l’etica, la morale, un normale senso di giustizia, prendendo una posizione che potrebbe mettere a repentaglio la nostra capacità di consumare, non c’è volta che la coscienza, individuale o collettiva, si ribelli ed imponga un ALT a situazioni, comportamenti o decisioni ingiusti. C’è sempre una buona scusa: non posso farci niente, il mondo va così; non posso dire niente, ho una famiglia da mantenere; che parlo a fare, tanto c’è sempre qualcuno disposto ad accettare questo fatto (questa è la scusa più infame!) … salvo poi fare prediche, morali e mostrarsi scandalizzati e sconcertati al bar!
Per tutelare il nostro consumo, o la nostra capacità di consumare, accettiamo proni che altri subiscano ingiustizie, soprusi o siano spinti a situazioni di disagio. In ambito lavorativo accade spesso che qualcuno approfitti delle situazioni negative di altri, se non addirittura le determini appositamente, per fare carriera o per conquistarsi la fiducia del capo, il tutto per incrementare, in ultima istanza, la propria capacità di consumare. A livello di comando, assurdo è il meccanismo con cui si premia il dirigente che raggiunge gli obiettivi di budget semplicemente tagliando il personale senza intaccare i bonus, i benefits e le note spese dei manager di alto livello. Nessuno dei sopravvissuti al “recupero di efficienza e profittabilità” si ribella veramente al taglio delle teste, perché si illudono essere stati tenuti perché rappresentano i pilastri dell’azienda, quelli che veramente generano valore aggiunto … senza pensare che appena qualcuno altro accetterà condizioni più convenienti per l’azienda, loro saranno i prossimi ad uscire!
Ancora un esempio lo si può intravvedere in colui che trascura una relazione profonda e sincera per coltivare un nuovo rapporto con chi gli potrebbe garantire un vantaggio, una situazione di maggior favore o più ricca, o semplicemente perché l’altro si ritrova con problema più o meno grave e non è più disponibile come prima. All’inizio degli anni Duemila si tenevano numerosi corsi di autodeterminazione che suggerivano di allontanare da noi le persone con problemi, perché non si doveva sprecare preziose energie da dedicare, invece, al perseguimento del successo e della felicità. L’incremento della possibilità di consumare, o al contrario la limitazione della stessa, determina una “liquidità” dei rapporti giustificata dall’anteporre le proprie esigenze ad un valore di amicizia sincera. Ecco un esempio di consumismo nelle relazioni umane.
L’Egoistica Comodità. Un semplice esempio per non dilungarmi oltremodo. Servizi di acquisti online, grande distribuzione organizzata, cooperative, consegne a domicilio ed altro ancora. Tutti siamo al corrente delle infelici condizioni di lavoro, ma sempre più persone continuano a richiedere i servizi di queste aziende. Tante parole, nessuna conseguenza. L’importante è che non tocchi a noi vivere e lavorare in quelle condizioni e, contemporaneamente, che si possa continuare a godere della comodità del servizio erogato con il disagio di altri, sconosciuti lavoratori. Comunque la scusa c’è: le persone hanno poco tempo, hanno bisogno di questi servizi, non si può fermare la modernità ed il business!
PERCHE’ IL CONSUMISMO È COSI’ IMPORTANTE PER IL SISTEMA ATTUALE
Il consumo è un’azione fondamentale dell’esistenza umana, per la sua sopravvivenza ed il suo progredire. Il consumare è un’attività con uno scopo specifico; scopo che ne definisce anche i limiti. Al consumo necessario e utile al progresso, oggi si contrappone, in maniera vincente, il consumo inutile, superfluo, ostentativo. Ne sono un esempio i guardaroba, una volta forniti dei necessari abiti di lavoro, per il tempo libero e per le occasioni importanti (quelli che solo qualche decennio fa erano denominati il vestito della festa), ora sostituiti da armadi stracolmi di vestiti “indispensabili” perché devono consentire l’abbinamento alla moda in ogni occasione e situazione, anche se si va in spiaggia. Vestiti ed accessori che non durano più di una stagione, perché confezionati con tessuti di scarsa resistenza o perché l’anno successivo la moda è cambiata. Un altro esempio è l’abuso della tecnologia: si consumano risorse per andare nello spazio non più solo per conoscenza e ricerca, ma anche per pochi turisti che vogliono farsi una settimana intorno alla terra. Una attività nobile, la ricerca spaziale, piegata alle ragioni del business che la sfrutta per l’inutile bisogno di pochi individui alla ricerca dell’emozione straordinaria.
Beni, servizi, condizioni e relazioni umane, tutto è trasformato in oggetto di consumo senza una vera necessità. Lo stesso vale per animali, piante …. persino per aria ed esseri umani!
Questa crescita esponenziale dei volumi del consumo è un processo guidato, studiato ed imposto da un meccanismo, economico prima e trasformatosi in sociale poi, che per sopravvivere necessita il perpetuarsi e l’accelerare del moderno modus vivendi.
Sì, il sopravvivere del sistema economico, perché di sopravvivenza si tratta e non più di sviluppo.
Con questo passaggio ci stiamo avvicinando al cuore del problema sistemico e sociale.
Quando evidenziai la transizione dal primato della produzione a quello del consumo mi riferivo all’extra consumo, risultato di due fenomeni ben noti agli uomini di marketing ed al mondo dell’impresa: la saturazione dei mercati (proprio di tutti i mercati, anche di quello umano, in tutti i sensi!) e, soprattutto, la velocità del processo di obsolescenza di qualunque oggetto, servizio, opinione e sentimento.
Chi può spendere, anche se a debito, ha già tutto il necessario per vivere, ma ha anche già raggiunto il livello massimo di superfluo (quello consentitogli dalla sua contingente condizione). Dunque, in costanza di offerta il livello di consumo generale andrebbe pian piano a ridursi, con contrazione dei profitti e del sistema economico nel suo complesso. Soprattutto svanirebbe il potere di controllo dei flussi di ricchezza, ora nelle mani di una piccola minoranza elitaria.
Per evitare questo declino, il marketing ed il sistema capitalistico dei nostri tempi ha una semplice soluzione: creare nuovi mercati (bisogni), ridurre la durata del prodotto o del servizio, studiare incentivi all’acquisto, introdurre normative che impongano la sostituzione di beni ancora utilizzabili, lanciare continuamente nuove mode, ed altri simpatici metodi per indurre le persone a comprare sempre, sempre di più e sempre più velocemente.
Al raggiungimento di questo obiettivo finale concorre in modo significativo anche la sempre più (inutilmente) frenetica vita delle persone, le quali, per mancanza di tempo e per comodità, sostituiscono il fare con il comprare tutto, anche le cose più semplici e banali da realizzare da soli.
Occupare tutto il tempo delle persone con il lavoro (con ritmi di lavoro sempre più incalzanti, sollecitare le ambizioni di luccicanti carriere, la necessità di guadagnare sempre di più) o con attività di consumo nel poco tempo libero (quello che guadagni lo devi consegnare al consumo, altrimenti questo sistema non può continuare) sono azioni, da parte di chi guida il sistema, indispensabili affinché la grande maggioranza delle persone non si preoccupi di riflettere sul senso dell’esistenza.
Eccoci dunque giunti al cuore, al nucleo di fattori puramente economici che spingono le persone ai comportamenti particolari, di cui la parte introduttiva è sintetica descrizione.
Per mantenere la leadership sociale, il potere di condizionare la vita altrui per il proprio vantaggio e per continuare a guadagnare sempre di più, si devono soddisfare contemporaneamente due fondamentali e complementari condizioni: a) mantenere, se non aumentare, il volume di consumo delle persone; b) evitare assolutamente che la persona-consumatore si renda conto di quale sia l’unico scopo della sua esistenza.
È il caso di un breve cenno, qui, a ciò che è un ostacolo al raggiungimento del traguardo di riduzione dell’Uomo allo stato di consumatore/lavoratore: vale a dire tutto ciò che comporta distrazione dal lavoro e dal consumo continuo. Ossia: famiglia, figli, malattie, anzianità, coscienza ambientale e sociale, resistenza a moda e modernità, attaccamento alle tradizioni ed alle proprie origini, amore per la Patria … L’Uomo deve essere a completa disposizione del sistema economico al fine di rispondere al meglio alle sue esigenze ed obiettivi. Su questo concetto, il “coefficiente di resistenza”, si può leggere lo studio di Z. Bauman, pag. 14 del libro “Consumo, dunque sono”.
Riprendendo il discorso principale, il soddisfacimento della prima condizione, l’aumento dei consumi per il mantenimento del livello di profitto, deve fronteggiare e governare un fattore che si presenta, contemporaneamente, alleato e nemico del sistema capitalistico: l’impetuoso progresso tecnologico.
Le nuove tecnologie, in tutti i settori, rendono sempre più efficiente e veloce il processo produttivo e l’erogazione dei servizi. Questa evoluzione, cosa comporta? Due vantaggi enormi: maggior volume di produzione a parità di tempo e sostituzione del sempre troppo costoso e inefficiente lavoro umano con software e robot, questi ultimi sempre più economici ed evoluti.
Vi è però il rovescio della medaglia: c’è una maggior quantità di beni e servizi da far acquistare ad una platea di consumatori in riduzione (chi è sostituito o non lavora o guadagna di meno ridurrà il suo consumo).
Il lato scomodo della medaglia deve rimanere nascosto, ed è qui che si innesta l’esigenza di soddisfare la seconda condizione: “distrarre” il consumatore.
Il consumatore deve ripetere, perpetuare e, se possibile, aumentare i suoi acquisti senza porsi troppe domande. La sua percezione della realtà deve essere saturata dal senso di appagamento, così da non prestare attenzione alle implicazioni del suo agire. Soprattutto deve sentirsi quasi obbligato a consumare, anche se dispone di scarse possibilità economiche, perché la soddisfazione dei bisogni sarà, dovrà essere solo temporanea.
La relazione così descritta tra le due condizioni di cui appena sopra impone che la loro realizzazione dipenda dal funzionamento del meccanismo composto da motivazioni al consumo, separazione dei ruoli dei vari attori, potere di influenza sui bisogni delle persone. Ossia, il sistema di governo dell’economia e le élite, tramite il marketing, devono alimentare continuamente e con forza crescente lo schema comportamentale descritto nelle pagine precedenti.
Ma quale è l’anello di congiunzione tra sistema economico (alimentato dal consumo) e la situazione sociale che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi? È l’insieme di effetti economici derivanti dal processo di saturazione dei mercati, insieme che può essere ricondotto ad una crescente competizione tra fattori produttivi per abbassarne costantemente il loro livello di costo.
Su questo tema Karl Marx, nel terzo libro dell’opera Il Capitale affrontando le cause delle crisi del capitalismo, fu di una chiarezza spietata.
L’incremento di efficienza della produzione oggi è perseguito principalmente con la sostituzione dell’uomo (costo del lavoro), ricorrendo all’investimento in tecnologia e automazione o, meglio ancora, adottando contratti di lavoro che legalmente permettono di ridurre di fatto il costo di questo fattore.
Minori costi di produzione dovrebbero consentire la riduzione del prezzo di vendita ed aumentare le possibilità di maggiori ricavi. Come ulteriore punto di riflessione, confronterei questo dogma di microeconomia, tanto caro ai manager aziendali, con la realtà: quali beni e servizi o consulenze presentano una tendenza al ribasso dei prezzi al consumo?
Comunque si affronti la questione, la costante è che il lavoro è l’unico che vede una progressiva contrazione della sua remunerazione reale. Riduzione del potere di acquisto significa che non vi è una reale riduzione dei prezzi di beni e servizi proporzionale alla riduzione del salario nominale.
Di fatto, l’unica concorrenza che produce effetti risulta essere quella creata nel mercato del lavoro a livello operativo. Sarebbe interessante trovare un esempio di prestazione professionale, servizio, utenza, alimenti o altro che presenti una tendenza al ribasso del prezzo duratura nel medio periodo!
E’ al contrario estremamente facile raccontare di decine di casi dove il nuovo, tecnologico, conveniente ed alla moda bene/servizio porti con sé una forte concentrazione di ricchezza ed una altrettanto forte compressione dei diritti e della remunerazione dei lavoratori. Si rifletta ad esempio sui fenomeni delle grandi società di consegna a domicilio, vendita online, grande distribuzione organizzata, ristorazione e turismo, cooperative e tanti altri. Una chiara rappresentazione di queste situazioni la si può leggere nel recente libro del giornalista Gianluigi Paragone: Una vita a rate.
Un processo, questo, che avviene con l’ottusa complicità dei consumatori. Perché questa considerazione? Perché il consumatore è anche un lavoratore! E’ questo il punto sostanziale!
Io voglio, devo consumare, ma il mio potere di acquisto reale, il mio potere contrattuale e i miei diritti si riducono sempre più; allora pretendo di acquistare ad un prezzo sempre minore. Ecco che, in modo automatico, io consumatore pongo in essere una forte pressione sui lavoratori che producono i beni e servizi da me richiesti. Ma lo stesso processo si realizza nei miei confronti (come lavoratore) ad opera di altri lavoratori che consumano i beni o servizi da me prodotti!
Tutti corriamo nella stessa direzione indicata (obbligata) dal consumismo. Sembra non esserci una via di uscita; pare che più o meno tutti siamo condannati a subire progressivamente uno schiacciamento verso una minore qualità della vita, verso l’indebitamento, all’esclusione ed alla tensione sociale!
E’ da questo fantastico traguardo del progresso umano che si originano le varie miserie che quotidianamente vanno in scena negli uffici, nei bar, per le strade, nelle famiglie, ovunque, a tutti i livelli.
Mi creano, mi creo esigenze sempre più impellenti, a cui non posso rinunciare, ma non riesco a soddisfarle adeguatamente: che posso fare?
Tutto. E’ tutto accettabile, ed accettato, pur di avere ciò che voglio, ciò che è necessario per vivere a pieno titolo in questa società. La stragrande maggioranza giustifica tutto perché essa è disposta a tutto, e quindi tutti comprendono le motivazioni dei comportamenti di tutti.
Quanto si legge sui quotidiani, non ultimo il baratto/ricatto dell’accettazione di un maggior rischio per la salute a fronte del mantenere il lavoro in acciaieria a Taranto, non è altro che il risultato del primato dell’Economia (il consumo/profitto) sul Pensiero (l’Uomo).
Un esempio di qualche mese fa. Se essere costantemente connessi per poter pubblicare foto, partecipare a chat, farsi vedere sui social, è di vitale importanza, allora la ricarica telefonica è essenziale, come e forse più del pane. Se si è letto che delle ragazzine delle scuole medie si spogliavano per farsi pagare le ricariche telefoniche, lo si deve al fatto che essere sui social, essere sempre e comunque connessi è ritenuto da tutti una necessità irrinunciabile, essenziale per la vita sociale dell’individuo. Ossia, tutti concorriamo alla creazione della condizione di necessità (la connessione!) per cui delle ragazzine, non disponendo dei soldi sufficienti, provvedano ad ottenerli in questo modo. Tanti gridano allo scandalo, ma tutti continuano a usufruire dei social network ed altro, elevando così la connessione social al rango di servizio essenziale.
Un ulteriore effetto dell’inerzia, comodità e ignoranza indotte dal consumismo è la distruzione sistematica del nostro habitat. Il consumatore si trova di fronte ad una alternativa: la scelta è quasi obbligata, data la sua condizione psicologica, e la decisione è libera come quella a fronte di un ricatto. Vuoi questo oggetto? Bisogna produrlo (ovviamente nel modo più profittevole possibile) e produrlo comporta l’impiego di molte risorse e spesso il sacrificio dell’ambiente. La scelta della comunità dei consumatori sarà sempre per produrre, indipendentemente dai danni collaterali. L’importante è non sapere, o far finta di non sapere o, peggio, evitare di sprecare energie ad informarsi (perché c’è pochissimo tempo libero e ci sono molte cose più importanti da fare). Quando il consumatore non sa, la sua coscienza è tranquilla: i problemi ambientali e sociali sono lontani, quindi potrà candidamente dire (anche a se stesso): “Ah, non lo sapevo!!” oppure “ma sarà vero? Non è la solita propaganda ecologista avversa al progresso ed ai ricchi?”. … Intanto gli effetti si stanno manifestando, sempre più intensi, ovunque sul pianeta, con enormi danni a cose e persone.
UNA POSSIBILE VIA D’USCITA
Sicuramente non si può liquidare il problema considerandolo semplicemente il prodotto di una generazione, l’ultima, senza valori. I giovani di oggi, con poche eccezioni, hanno dei valori, i loro valori, perfettamente in linea con gli obiettivi e le esigenze del sistema consumistico. La situazione è frutto delle scelte, o mancate scelte, di una politica pluridecennale prona agli interessi di quelli che sono di volta in volta indicati come i padroni, le elite, i poteri forti e così via. Ma questa politica è votata, fu votata, dalle persone di allora e di oggi, rappresenta ed ha rappresentato le persone-consumatori. La politica degli ultimi venti anni (almeno) rappresenta gli interessi espressi dalla maggioranza di persone-consumatori-lavoratori, quelle categorie che, nelle pagine precedenti, abbiamo definito ottusamente complici del sistema consumistico che genera questa società disgregata. Dunque, chi ha alimentato questa cultura distruttiva, allineando i propri comportamenti al disegno di liquefazione sociale, ha il compito di cambiare registro e indirizzare la politica verso obiettivi diversi. Sono i consumatori che devono sviluppare una cultura, un’etica ed una morale di più nobile levatura.
La generale diffusione del dogma consumistico e l’inerzia sociale ad esso connesso sono di tali proporzioni e talmente radicate nelle comunità da scoraggiare qualunque tentativo di discussione sul tema. Soprattutto gli adulti, pervasi da convinzioni economiche consolidate e “addestrati” a credere e operare così come il mercato richiede (in realtà, come obbliga), sarebbero i più feroci oppositori di ogni proposta diversa dal modello attuale. Inoltre, sono proprio gli adulti, la stragrande maggioranza di loro, ad alimentare ed esasperare questo tipo di società. Dunque, le generazioni precedenti ebbero, ed hanno tuttora, la responsabilità dolosa di aver cresciuto ed addestrato la generazione moderna nel segno della celebrazione del consumismo.
Esclusi gli adulti e coloro che di questa ideologia si avvantaggiano, solo due categorie di persone potranno sviluppare gli elementi da cui potrebbe iniziare il riscatto dell’Uomo e del Pensiero verso la supremazia dell’Economia e del Consumo. Queste categorie sono rappresentate dai ragazzi nei primi anni adolescenziali e gli adulti che già sono stati vittime del sistema consumistico e della selezione darwiniana in corso.
Ma come possono incidere, queste categorie, sulla realtà?
I ragazzi potranno resistere alle lusinghe consumistiche solo sviluppando una coscienza sociale, un’educazione civica ed un indipendente senso critico che consentano loro di “vedere” oltre il messaggio pubblicitario, la moda, il proprio tornaconto e, per questa via, opporsi al meccanismo di plagio del consumismo.
Gli adulti già “consumati” da questa società, invece, potranno formare aggregazioni per promuovere comportamenti ed azioni concrete in contrasto alle pretese di adeguamento e partecipazione all’attuale società dei consumi.
È possibile trovare sensibilità, disponibilità al dialogo ed al confronto inizialmente tra coloro che, sulla loro pelle, stanno subendo gli effetti degradanti del sistema descritto. Mi riferisco in particolare ai figli di coloro che sono esclusi dalla possibilità di consumare, a adulti che non riescono a reinserirsi nel “gruppo”, magari anche perché hanno maturato idee contrastanti il placido pensiero corrente e non si riconoscono in comportamenti di venerazione del consumo, quindi si ritrovano isolati. Queste categorie, di solito, combinano un senso di frustrazione a quello di smarrimento, dovuti spesso alla superficiale, scarsa comprensione dei meccanismi che mantengono in movimento il “tritacarne sociale”.
Si potrebbe iniziare dal promuovere riunioni dove queste categorie abbiano modo di raccontare le singole esperienze di vita e sviluppare una presa di coscienza dell’ambiente sociale e dei suoi effetti sulle singole persone.
In un secondo momento, si dovrà spiegare a questi gruppetti come potrebbe essere organizzata una piccola rete di persone con lo stesso orientamento, al fine di uscire (loro) da un apparente “senso unico”, promuovendo in questo passaggio la condivisione di nuovi valori alla base della convivenza.
Da queste iniziative divulgative potrebbero generarsi progetti per:
– creare un ambiente in cui le persone, consce dei rischi del consumismo, pretendano dalla società il rispetto dell’Uomo, sviluppando un costruttivo senso critico verso la quotidianità, consapevoli che tutti possono godere di vera libertà adottando uno stile di vita non condizionato dal marketing e dalla corsa all’inutile;
– impostare un microsistema economico, almeno a livello locale, che sia aperto a tutti ed offra una opportunità per rivalutare il senso di comunità;
– agevolare la formazione di gruppi di persone, e non più di consumisti, consapevoli di avere la forza di indirizzare l’Economia e la Politica verso quella trasformazione che porrà al più alto gradino la Politica e riporterà l’Economia nel suo giusto ruolo di scienza al servizio dell’Uomo.
Questa è la debole speranza per le società avanzate ed in via di sviluppo. L’unica vera opportunità di cambiamento verso una società più equilibrata, collaborativa e sostenibile è rappresentata da un nuovo tipo di sviluppo del continente africano, a partire dalle nazioni che si affacciano sul Mar Mediterraneo e più esposte ai nostri tentativi di democratizzazione. Se esso riuscirà a sviluppare una cultura che pone al centro il progresso dell’Uomo (non solo della tecnologia), se riuscirà a riappropriarsi delle sue risorse naturali ed a destinarle al benessere diffuso tra il suo miliardo e duecento milioni di abitanti attuando un più saggio sfruttamento delle stesse, allora assisteremo alla nascita di un potente antidoto all’economia del consumo e dello sfruttamento. Sarà un potente soggetto in grado di contrastare e vincere le disgregazioni, i conflitti e le disuguaglianze generate dalla nostra esperienza di sviluppo.
Angelo De Giuli (*)
(*) Inizia con questo saggio la collaborazione del giornale con Angelo De Giuli, che speriamo lunga e proficua.
Laureato in Economia e Commercio presso l’Università Statale di Pavia, ha inanellato una lunga e brillante serie di prestigiose ed apprezzate esperienze professionali in qualità di Direttore di Amministrazione, Finanza e Controllo nei settori della Consulenza Direzionale, telecomunicazioni, industria elettrochimica, Turismo, con l’interesse per le trasformazioni sociali e politiche a seguito degli eventi economici.
Ernst & Young Consultant (consulenza direzionale, organizzativa, analisi dei processi e implementazione software in ambito Amministrazione, Controllo di gestione e Finanza aziendale); Omnitel – Vodafone (responsabile dei processi amministrativi per servizi innovativi); Becromal, Gruppo Epcos-TDK-Milano – settore elettrochimico (Direttore Ufficio Amministrazione e Finanza tra i marchi che si sono giovati della sua professionalità, Orient-Express Hotels, Holiday Inn, Intourist, Casta Diva Como sono i marchi più prestigiosi del campo alberghiero di livello per i quali ha svolto mansioni di Direttore Ufficio Amministrazione, Finanza e Controllo.