Ambiente e responsabilità degli stati: possibile una configurazione giuridica internazionale?

di Mario Boffo

È forse il momento di chiedersi se l’incuria grave verso l’ambiente, o addirittura l’adozione di deliberate e predatorie politiche di sfruttamento del territorio o di tecnologie pericolose non debbano essere considerate alla stregua di crimini contro l’umanità, o addirittura indurci a costruire una specifica categoria di crimini ambientali e a istituire tribunali internazionali specificamente competenti.

I crimini contro l’umanità e i crimini di guerra, e le relative istituzioni giudiziarie internazionali, costituiscono oramai consolidate conquiste dei nostri tempi, e certamente la possibilità di essere prima o poi giudicati per i propri atti rappresenta una remora per l’irresponsabile o delittuoso operato delle persone e dei governi.

Al G7 il tema dell’Amazzonia è stato trattato nei giorni scorsi, e questa è sicuramente una buona notizia. Devastazioni come quelle in corso in Siberia, nell’Artico, nell’Amazzonia, e in altri luoghi, non possono più essere considerate “disastri ambientali” e basta; dovrebbero invece errore catalogati come “eventi lesivi della sopravvivenza delle specie”, compresa ovviamente la specie umana.

L’IUCN delle Nazioni Unite provvede già a definire alcune aree del mondo come “patrimonio ambientale dell’umanità”, ma la logica è prevalentemente conservativa. Quando invece si tratta di grandi aree come l’Artico e l’Antartico, le grandi foreste pluviali, le grandi tundre dell’Asia, i grandi bacini fluviali e lacustri, i ghiacciai interni ai vari paesi, rilevanti aree di mare anche territoriale o esclusivo, la semplice ottica conservativa non appare più sufficiente. La definizione e relativa catalogazione dovrebbe essere del genere “area cruciale per la sopravvivenza della specie”.

Questo aprirebbe naturalmente un dibattito di grande polemica e conflitto: la Groenlandia, la foresta amazzonica (e altre), le grandi taighe, e così via, “appartengono” agli stati nei cui territori sono situate, o sono beni “appartenenti” a tutta l’umanità? Mi sembra un tema non ancora rilevato dal diritto internazionale, ma mi sembra anche un principio che prima o poi dovrà cominciare ad affermarsi. Del resto, anche il principio del mare libero un tempo non esisteva, e fu imposto dalle esigenze delle grandi potenze marittime di qualche secolo fa. Oggi le esigenze sarebbero quelle di tutta l’umanità di poter vivere in un ambiente non ostile, nonché tutelato e rispettato anche a beneficio delle altre specie.

In una prospettiva del genere, e in ordine ad aree strategiche, gli stati sarebbero non “proprietari”, ma affidatari, tutori e gestori del territorio. Le infrazioni sarebbero considerate crimini di diverso livello e un tribunale giudicherebbe e comminerebbe le sanzioni. In questo modo (che sarebbe comunque di complessa gestione politica) si uscirebbe dai semplici schemi di dimostrazioni, preghiere per le foreste, campagne su Facebook, e si comincerebbe ad affrontare il problema su un piano più concreto.

Si dovrebbe passare per un momento di limitazione della sovranità degli stati. Ma gli stati non sono già limitati nella sovranità, di diritto o di fatto, dai grandi sviluppi della globalizzazione, della finanza internazionale in perpetuo movimento, da regole iper-liberistiche che permettono ai soggetti economici di guadagnare e spostarsi territorialmente senza alcun vincolo?

Con la limitazione di sovranità ambientale, almeno, le ragioni non sarebbero quelle di favorire e aumentare i profitti di chi può, ma quelle di assicurare la sopravvivenza e il benessere di tutti.

Mario Boffo (*)

(*) Pur fornendo il suo contributo ad OMeGA ormai da diverso tempo, mediante partecipazione attiva ai convegni organizzati dall’Osservatorio e quale membro dell’equipaggio con il quale l’Associazione organizza regate estive “d’incontro ed amicizia” nei Paesi mediterranei, l’autore esordisce con il presente articolo quale pubblicista di <omeganews.info> con la trattazione di temi di grande rilevanza dell’attualità geopolitica.

Siamo certi che diverrà, se continuerà ad offrirci i suoi scritti, un punto di riferimento del giornale.

Mario Boffo è stato un funzionario della carriera diplomatica. Laureato in Scienze Politiche, indirizzo internazionale, presso l’Università Federico II di Napoli, ha intrapreso la carriera nel 1978, alternando periodi di lavoro in Italia con periodi all’estero: Congo (Kinshasa), Spagna (Madrid), Belgio (Bruxelles, presso la NATO), Canada (Ottawa), Sana’a (Yemen), Riad (Arabia Saudita). Nelle ultime due sedi, Yemen e Arabia Saudita, ha ricoperto il ruolo di Ambasciatore d’Italia. In queste sedi, come nelle precedenti, ha curato temi politici, strategici, negoziali, economici e culturali. L’incontro con paesi e popoli diversi ha intensamente contribuito alla sua formazione personale e ha nutrito la sua vena espressiva.