di Fabrizio Maltinti
Con il consueto tono da piazzista venditore di padelle, il Presidente americano Donald Twitter Trump ha annunciato al mondo che forze speciali USA, la scorsa notte, hanno ucciso – o meglio, hanno costretto al suicidio – il pluriricercato Abu Bakr al Bagdadi – il cui vero nome è Ibrahim Awwad Ibrahim al Badri – Sultano dello Stato Islamico (DAESH o ISIS, comunque lo si voglia nominare).
Le circostanze narrate ci raccontano che Abu Bakr, braccato dai soldati USA, si sarebbe rifugiato in un cunicolo senza vie d’uscita, dove si sarebbe fatto esplodere per mezzo di un giubbetto esplosivo; e che la sua identità sarebbe stata confermata dall’esame del DNA dei resti polverizzati.
Per la verità, non si può non rimarcare una serie di curiosità che potrebbero sfuggire ad un lettore poco avezzo a fatti di questo genere.
Prima di tutto, la prova del DNA: sul campo? In mezzo alle macerie? Resti umani polverizzati mescolati alle macerie degli edifici crollati? E come avevano il DNA di Abu Bakr? Glielo avevano preso quando, nel 2004, era nel carcere militare di Camp Bucca in Irak? O, più tardi, nel carcere di Abu Graib? Oppure Guantanamo a Cuba, dove, secondo le fonti ufficiali americane, Abu Bakr non sarebbe mai stato, mentre l’ex agente della National Security Agency (NSA) Edward Snowden ci racconta che furono la CIA ed il Mossad (Servizio segreto Israeliano – NdA) ad addestrare i leaders dell’ISIS proprio nel carcere di Guantanamo, probabilmente nel periodo compreso tra il 2004 ed il 2010.
Un altro aspetto, per lo meno dubbio, delle relazioni USA ed ISIS, sono i rapporti intercorsi tra alti rappresentanti del Governo americano ed i “terroristi” islamici. In alcune foto, scattate il 27 maggio 2013 a Idleb, nel nord della Siria, si possono vedere Mohammad Nour, Salem Idriss, Abu Mosa, John McCain e Abu Bakr al Baghdadi.
Il primo è il portavoce del Fronte al Nusra (al Qaida in Siria). Il secondo è il capo dell’Esercito siriano libero (responsabile in Siria di raccapriccianti massacri). Il terzo è il portavoce dell’Isil. Il quarto, McCain (oggi defunto) era un Senatore degli Stati Uniti, nonché ex candidato alla Casa Bianca, nonché ambasciatore ombra del Dipartimento di Stato. L’ultimo, cerchiato in rosso, è al Baghdadi, che, al momento di quello scatto – particolare non trascurabile – era già stato iscritto (il 4 ottobre 2011) dall’Fbi nella speciale lista dei terroristi ricercati del mondo. L’ISIL ed il Fronte al Nusra, inoltre, erano stati inseriti dalle Nazioni Unite nella lista nera delle organizzazioni terroristiche da combattere.
Quindi, il quesito che ci dovremmo porre è: che ci faceva McCain – non un politico qualsiasi. Oltre che candidato alla Presidenza USA, da vent’anni era capo dell’International Republican Institute (Iri), il ramo repubblicano di un’organizzazione governativa (il Ned) parallela alla Cia, che fa capo alla Segreteria di Stato – con il terrorista al Baghdadi, meno di due anni prima che diventasse Califfo?
Tra l’altro, degno di nota, è anche il fatto che non è la prima volta che la morte di Abu Bakr al Baghdadi viene annunciata, era già successo nel 2017, salvo poi essere smentita dai fatti.
Paradigmatica è anche la considerazione che appare poco credibile che, ogni volta che gli USA eliminano un Leader terrorista, la prova dell’evidenza del corpo del defunto non venga mai mostrata. Sarà un caso?
Ricordiamo tutti molto bene cosa accadde nel 2011 quando gli americani dissero che, in seguito ad un raid delle Forze Speciali ad Abottabad, in Pakistan, Osama Bin Laden, Capo di Al Quaeda, era stato ucciso e che il corpo del defunto era stato trasportato sulla portaerei nucleare USS Carl Vinson, dove, con una breve cerimonia funebre, fu sepolto in mare.
Tesi questa, largamente contestata dai media USA, anche alla luce del fatto che le foto ufficiali di Bin Laden morto diffuse dal Governo USA si sono dimostrate un fake clamoroso, trattandosi di un palese fotomontaggio tra la foto del volto di Bin Laden e la foto di un miliziano defunto.
Complottismo? Congetture? Forse, chissà, chi può dirlo?
È certo che le cose non sono mai come sembrano o come i politici e gli opinion makers vorrebbero presentarcele e, talvolta, farsi venire qualche dubbio, non solo è lecito, ma doveroso.
Fabrizio Maltinti