di Mario Boffo
Appena prima dell’insorgere dell’emergenza Covid 19 ho avuto occasione di partecipare, in qualità di co-relatore ad alcune conversazioni di carattere storico-geopolitico organizzate dalla Libera Accademia di Roma (LAR) in collaborazione con l’Associazione Omega (Osservatorio Mediterraneo di Geopolitica e Antropologia). Le conversazioni vertevano su sei temi riguardanti il Medio Evo europeo e mediterraneo. Ognuna di esse era guidata congiuntamente da uno storico e da una persona competente in analisi geopolitica. Il riuscitissimo esperimento ha permesso un’interessante osmosi tra analisi storica e analisi geopolitica dei vari argomenti; ha permesso, per così dire, di esaminare le vicende storiche in trattazione con il metro geopolitico, e di svolgere considerazioni geopolitiche in una prospettiva storica. La Storia non è la semplice narrazione delle vicende passate; essa è lo studio delle cause e delle ragioni che quelle vicende hanno mosso. È per questo motivo che historia magistra vitae, perché lo studio di quelle cause e di quelle ragioni offre straordinarie chiavi di interpretazione del presente e suggestive riflessioni per guardare al futuro. Alla luce degli elementi emersi dal ciclo di conversazioni, si è dedicata l’ultima giornata a libere considerazioni sui risultati dell’esperienza. Ecco gli spunti che ho offerto in quell’occasione, illustrati in corrispondenza con ciascuno degli argomenti trattati e proiettati sull’attualità occidentale.
Il Medio Evo tra la notte e un nuovo giorno
Un tempo considerato periodo di “secoli bui”, il Medio Evo è stato da tempo riabilitato, non solo come momento storico di transizione tra due epoche e di incubazione degli sviluppi dell’Età Moderna, ma anche come fucina, esso stesso, di valori, di progressi, di scoperte e di invenzioni, tutt’al più distinguendo fra un Alto Medio Evo (fino all’anno Mille) e un basso Medio Evo, dal Mille all’inizio del XVI secolo. Tra civiltà araba, inizialmente più progredita, e crescita civile ed economica dell’Europa, almeno il basso Medio Evo mediterraneo (regioni europee rivierasche e aree nordafricane e mediorientali) può ben essere considerato un periodo molto meno “buio” di quanto non si ritenesse in precedenza.
Nel tempo presente
Indubbiamente anche la nostra è un’epoca di transizione. Dopo due guerre mondiali, e pur fra luci e ombre, il mondo aveva conosciuto stabilità e progresso civile e sociale, l’Africa conquistava l’indipendenza, alcuni paesi dell’Estremo Oriente si liberavano dal giogo straniero. La crisi di quell’equilibrio, a sua volta precario, ma comunque per molti versi giovevole alla crescita civile, economica e sociale in una vasta parte del mondo, aprì dopo il 1989 una fase di precipitosa caduta: all’insegna della pretesa “fine della Storia”, venne meno l’economia dl dopoguerra, basata sui ragionevoli compromessi tra nazioni e classi, furono affossati i diritti sociali, emersero élite politiche insulse, serve e inconsistenti, di pari passo con il defluire della sovranità politica dai parlamenti nazionali a istituzioni sovranazionali; liberismo sfrenato, “deregulation” e privatizzazioni selvagge, vennero eretti a dogmi incontestabili del nuovo mondo dominato dal dio mercato; il sogno europeo si trasformò in una struttura di sostegno della folle finanziarizzazione dell’economia. Se il primo Medio Evo si presentò come la notte della civiltà romana, la nostra epoca si presenta come la notte del quarantennio post-bellico nel quale il mondo (ripeto, senza farne un’”età dell’oro”) parve ragionevolmente sostenibile, equo e civile, almeno in una sua ampia parte. E certamente più governabile e più governato. I risultati della caduta sono sotto gli occhi di tutti. Non sappiamo quanto durerà questo moderno Medio Evo, non è chiaro che valori esso stia sviluppando, accanto ai visibili disvalori, e soprattutto non possiamo sapere che cosa ci sarà dopo. Forse, però, se la Storia insegna qualcosa, vi è spazio e materia per riflettere e agire collettivamente affinché questo Medio Evo non finisca per essere il definitivo punto d’arrivo dell’umanità e del mondo.
Clima e microbi, geografia e destino
Molte volte, nel corso della Storia, clima e malattie, specialmente quelle a carattere epidemico, hanno influito sulle migrazioni, sulla geografia umana e, in definitiva, sul destino dei popoli. Basterebbe citare i fattori climatici che spinsero verso ovest le popolazioni centroasiatiche e che spinsero di conseguenza i barbari a premere sull’Impero Romano; oppure alle devastazioni che il vaiolo portato dagli spagnoli provocò fra le popolazioni precolombiane, prive di anticorpi per questa malattia; o ancora alle trasformazioni sociali provocate dalla peste europea del XIV secolo. Lo stesso Impero Romano fu condizionato dai cambiamenti climatici, essendosi avvantaggiato, dalla temperatura più calda, quando l’assenza di nevi sulle Alpi ne favorì l’espansione e la fertilità del Nord Africa ne favorì lo sviluppo agricolo, mentre il successivo abbassamento della temperatura e le influenze negative sull’agricoltura furono certamente fra i fattori della crisi dell’Impero e aprirono la strada all’immiserimento dell’Alto Medio Evo.
Nel tempo presente
A che cosa ci porterà il Covid-19? Sul fronte della tecnica, la nostra società è più attrezzata a fronteggiare quest’epidemia, grazie alla scienza e alla tecnologia di cui disponiamo; eppure, essa è molto più vulnerabile, a causa della sua complessità, della fragilità degli equilibri, delle delicate interconnessioni, della rapidità e frequenza degli spostamenti di massa, della promiscuità di individui, popoli e sistemi economici. E i cambiamenti climatici, che ipoteche stanno ponendo sui destini dell’umanità? Le trasformazioni socio-economiche indotte nel passato da fattori climatici ed epidemici furono conseguenza diretta e non governata di quegli eventi. Oggi che conosciamo la Storia, o almeno dovremmo conoscerla, oggi che clima e natura bussano perentoriamente alle nostre porte, non possiamo permetterci di aspettare che conseguenze non governate precipitino su un’umanità inerte. Oggi possiamo trarre insegnamenti dalla Storia e dalle vicende attuali, sappiamo quali evoluzioni del mondo, della società e dell’economia hanno portato a tanto disastro, o almeno lo hanno favorito. Il grande interrogativo è se almeno questa volta sapremo imparare la lezione e porre in atto azioni e rimedi atti a correggere i fattori della devastazione in corso.
Pirati saraceni e pirati cristiani
Il Mediterraneo fu interessato, soprattutto a partire dal Basso Medio Evo fino al XIX secolo, dal fenomeno della pirateria, che ebbe il suo periodo di maggiore intensità nel XVI e nel XVII secolo. Il mare fu infestato da pirati saraceni (dizione generica che comprende arabi, berberi e turchi) ma anche da pirati europei. Gli uni e gli altri alternavano le proprie scorribande, gli arrembaggi, le rapine, i sequestri di beni e persone, le incursioni a terra, talvolta in proprio, talvolta al servizio di un bey, di una repubblica marinara o dello stesso sultano. Soprattutto presso l’Impero Ottomano, questi pirati o corsari erano spesso inseriti a pieno titolo nella marina da guerra, come fu per esempio per Uluç Ali Pasha, il calabrese Giovanni Dionigi Galeni, rapito ragazzo dai turchi, poi convertito e conosciuto in Occidente sotto il nome di Uccialli. Questi fu un temutissimo e spietato pirata, ma fu anche uno dei più celebri ammiragli della flotta da guerra ottomana, e a Lepanto fu l’unico comandante turco a vincere il proprio segmento della battaglia e a tornare indenne con le proprie navi a Costantinopoli.
Nel tempo presente
Nel collegarmi all’attualità, non mi soffermerei sulla pirateria al largo della Somalia, che pure esiste. Penso piuttosto all’economia e alla finanza internazionali. Anche in quest’ambito, fra elaborazione di titoli spazzatura, speculazione selvaggia, azioni di aggiotaggio, assistiamo a vere proprie azioni di pirateria, che secondo la classica definizione consiste nell’“impadronirsi di beni altrui in vista di fini esclusivamente personali”. Chi si occupa di queste cose nella finanza internazionale non sempre compie reati conclamati, perché oggi la generale “deregulation” dell’economia rende possibili moltissime azioni. Talvolta, inoltre, gli operatori agiscono al servizio di un padrone: società, fondazioni, multinazionali, stati, azionisti… Insomma, anche qui, pirati e corsari. Il parallelo con l’antica pirateria è certo un po’ provocatorio, perché qui non c’è violenza fisica, saccheggi, incendi, stupri e torture. Ma la spregiudicatezza degli operatori, la violenza sistemica e la sofferenza delle vittime è la stessa.
Il viaggio nel Medio Evo
Nel Medio Evo non si viaggiava per diletto, ma per esigenze concrete e importanti: commerci, imprese militari, pellegrinaggi, crociate. Anche i grandi viaggi che portarono all’esplorazione del mondo e alle grandi scoperte furono motivati dalle visioni dei navigatori e dagli interessi dei reami. Essi ebbero una valenza straordinaria, se pensiamo al loro impatto politico, strategico ed economico, soprattutto a partire dal XVI secolo, quando quattro dei cinque continenti erano già stati toccati. I viaggi nel Medio Evo, in definitiva, avevano una motivazione ed ebbero un’utilità collettiva.
Nel tempo presente
Oggi forse si viaggia più per diletto, diversione, vacanza, che per finalità concrete, o almeno cosi si è fatto finora. La motivazione individuale prevale, o almeno si affianca, a quella di interesse collettivo, mentre il viaggio diviene di fatto un bene di consumo spesso puramente ostentativo. Si viaggia nel proprio intorno geografico e su mete lontanissime. Si trascura ciò che abbiamo vicino e si va a cercare lontanissimo ciò che comunque avremmo qui. Si devastano città preziose e luoghi naturali altrimenti incontaminati. Si visitano paesi lontani senza avere, o senza curarsi di cercare, gli strumenti per comprenderli. Si vanno a vedere luoghi favolosi con lo stesso spirito con cui si andrebbe a vedere Disneyland. Non è così per tutti, naturalmente, ma il turismo di massa è più o meno questo. Fatta la tara per i miliardi in gioco, per le considerazioni sulla sostenibilità ambientale di un turismo del genere, e oggi anche per le ricadute sanitarie dei grandi spostamenti, vi sarebbe da porsi una domanda anche su un piano più strettamente filosofico: qual è l’utilità di tali viaggi, almeno per le grandi masse turistiche? che beneficio se ne trae? perché il mare dei tropici ci piace più di quello di Ventotene? che cosa abbiamo capito di più della vita andando a vedere i templi di lontani paesi dell’Estremo Oriente senza aver avuto la possibilità di penetrare almeno in parte quelle culture? Conoscere il mondo è importante; l’ossessione di andare tutti dappertutto, è un’altra cosa.
Nani sulle spalle di giganti
In questo seminario si è parlato soprattutto di Federico II di Svevia come prototipo dei grandi personaggi che, nel bene e nel male, hanno vissuto e interpretato il Medio Evo: imperatori, papi, poeti, filosofi. Federico II è quello che meglio interpreta l’energia dei tempi, sotto ogni profilo. Fu imperatore e condottiero, letterato e poeta, promosse il buon governo e gli studi, fu egli stesso studioso, fu il massimo esponente di un potere “laico”, per l’epoca (fu infatti il riferimento dei ghibellini, contrari allo strapotere papale). Se la Storia procede per la dialettica fra eventi, per cause economiche, per lotte di potere e di classe, è peraltro indubitabile che personalità individuali di straordinario profilo carismatico e di grandi capacità incidono il proprio segno nel procedere degli eventi e nella marca delle epoche.
Nel tempo presente
Sorge spontaneo e impietoso il confronto con questo forse tragico Medio Evo che viviamo ai nostri tempi. Quali sono i “giganti” della nostra epoca? Quali personaggi imprimeranno il proprio segno, se non in senso nefasto e negativo? Probabilmente nessuno. È tuttavia difficile pensare che la scarsità di talenti politici e carismatici dipenda da fattori aleatori della Storia. Perché oggi dovrebbero esservi meno personalità di spicco rispetto ai tempi passati? Vi deve essere una relazione fra l’indirizzo che prendono gli eventi e l’emergere di superiori personalità individuali, e non sembra esservi una ragione per cui questo non dovrebbe succedere oggi. Ma forse è proprio quello che invece succede. Il mondo ha imboccato la strada del pensiero unico, piatto, omologato, volto a una sorta di annullamento di tutte le identità (individuali, sessuali, nazionali, culturali…) in nome di un universalismo solo apparentemente egualitario, ma volto invece a rendere gli umani puri e semplici consumatori globali dei prodotti globali (economici, culturali e politici) che ci vengono propinati in nome del profitto e di una “governance” che favorisce solo i poteri economici costituiti. Dove non ci sono idee, non possono esserci i loro portatori. E questo rende l’assenza di “giganti” ancora più grave.
La Casa della Saggezza
Nata a Baghdad come biblioteca privata del Califfo abbaside Harun al Rashid, la Casa della Saggezza (Bayt al-Ḥikma) fu dotata di un patrimonio librario che raggiunse, al momento della sua massima acme, la cifra sbalorditiva di quasi mezzo milione di volumi – quando le più accreditate biblioteche cristiane latine non giungevano neppure al migliaio di esemplari – con opere in lingua greca, siriaca, ebraica, copta, medio-persiana e sanscrita. Fu anche università pubblica e ospedale cui avevano libero e gratuito accesso tutti i malati, di ogni sesso, razza o religione. La Casa fu centro ed epitome di un vasto movimento che nella Baghdad abbaside raccolse e promosse la cultura a partire da ogni angolo del vasto impero, traducendo e trasferendo in Europa molta parte delle conoscenze che poi permisero lo sviluppo della cultura europea medioevale. La chiave di questo grande progresso della filosofia e delle scienze fu l’apertura verso le più diverse culture e la disponibilità ad accoglierle tutte senza barriere ideologiche, né tantomeno politiche o religiose.
Nel tempo presente
Oggi viviamo un momento in cui la parola “cultura” sembra aver perso di interesse. L’omologazione del mondo dovuta alla diffusione globale del capitalismo porta al generale appiattimento delle abitudini e dei consumi, a danno della diversità. Ma se non vi è diversità (di pensiero, di costumi e modi di vivere, di abitudini, etc.), non vi è cultura. Inoltre, l’attuale prevalente visione liberistica, volta alla concentrazione massima delle energie umane sul conseguimento del profitto, relega tante creazioni dello spirito umano nella categoria dell’inutile, sempre che non siano monetizzabili. Non si tratta di una semplice considerazione di principio. Quasi dappertutto le ricerche umanistiche, o addirittura la ricerca scientifica indipendente e pubblica, sono sostenute molto meno che non gli elementi direttamente e immediatamente funzionali allo sviluppo di profitti, oppure che risultino graditi al mercato. La depauperazione dei prodotti televisivi rispetto ad anni passati è il più lampante esempio della decadenza culturale.
Conclusioni
La Storia ha visto progressi e tragedie, e certamente quest’alternanza si presenterà sempre. In ogni caso, lo stiamo vedendo oggi. Possiamo però acquisire che quando c’è stato progresso questo è dipeso dal convergere di vari fattori. Per limitarci a quelli esaminati nel corso dei seminari dai quali è tratto quest’articolo, e con uno sguardo all’attualità, possiamo elencare: l’afflato spirituale (non necessariamente basato sulla religione), di cui certamente il Medio Evo fu pervaso; la consapevolezza dell’importanza della natura e della necessità di preservarla; la necessità di regolare la vita (sociale, nazionale, internazionale…) sulla base di norme umane, condivise, chiare, anche rigorose quanto basti, che non permettano comportamenti che giovino ad alcuni ma provochino sofferenze ad altri; l’opportunità di modelli di vita meno frenetici e distruttivi, nelle abitudini, nei consumi, nelle relazioni; la necessità di utilizzare la mente, a sostegno delle idee e della loro varietà, e, con esse, dei talenti che sappiano elaborarle e interpretarle; la straordinaria necessità di coltivare la cultura in tutte le sue sfaccettature, affinché conferisca energie all’umanità.
Il seminario conclusivo dell’esperienza illustrata si intitolava: “Il Mediterraneo prossimo venturo”. Ovviamente ciò a cui dobbiamo riflettere è il mondo prossimo venturo. Molti sono convinti, o auspicano, che “tutto cambierà” dopo l’attuale pandemia; altri temono che non cambierà nulla. Alcuni sono relativamente ottimisti, altri catastroficamente pessimisti. Credo che questi siano atteggiamenti emotivi. Ciò che bisognerebbe fare, superata l’emergenza, è riflettere: capire che cosa dovrà cambiare nel mondo, e adoperarsi per farlo cambiare. Si tratterà, se partirà, di un processo titanico, in cui i sostenitori del mercato senza regole si batteranno con i sostenitori dell’introduzione di norme; i grandi agglomerati capitalisti si scontreranno con i fautori dell’equità sociale; i paladini della privatizzazione si confronteranno con quelli del valore del pubblico; i seguaci dell’universalismo astratto e globalizzato battaglieranno con i sostenitori della sovranità dello stato.
Più o meno come, nel Medio Evo, papato e impero, guelfi e ghibellini, repubbliche marinare e pirati. Allora però tutto avvenne anche con il contributo di spiritualità e cultura, di ordine sovrano e regole, di modelli di vita coerenti con la preservazione della natura, o almeno con pochissimo impatto sulla natura.
La sfida sarà quella di capire sulla base di quali principi avvieremo il futuro.
Mario Boffo