di Giovanni Ferrari & Ferruccio di Paolo
Non si può prevedere, e quindi pianificare, la risposta a una crisi. Se fossimo in grado di conoscere una crisi nelle sue componenti, prevedendo e analizzando le possibili domande, predisponendo le possibili risposte, studiandone gli effetti e le conseguenze nel breve, medio e lungo termine, semplicemente non andremmo in crisi, perché sapremmo esattamente cosa fare e ci prepareremmo a farlo. Ci troveremmo cioè in una situazione di emergenza, più o meno importante, più o meno grave, ma in ogni caso in un contesto operativo standard, conosciuto e gestibile dalle forze del soccorso e dalla catena di comando usualmente impiantata dal sistema della Protezione Civile o dai Centri Operativi dei Vigili del fuoco, delle Forze dell’Ordine e del Soccorso Sanitario. La gestione dell’emergenza è la quotidianità delle forze del soccorso.
Una pianificazione emergenziale usuale conosce le fattispecie potenzialmente rischiose, le ha già vissute, ne individua le logiche e predispone i mezzi opportuni per affrontare gli eventi che da tali fattispecie scaturiscono o potrebbero scaturire. Tali eventi, pur nella loro gravità e dannosità, sono ben conosciuti nelle loro potenziali conseguenze e necessità. Un terremoto, un’alluvione, una contingenza economica, un maxi-incidente in autostrada, un grave incendio in un’industria chimica, sono tutti esempi di eventi emergenziali conosciuti e per i quali è stata antecedentemente svolta una dettagliata attività di pianificazione, addestrando il personale del soccorso e dotandosi delle necessarie risorse, tecniche e giuridiche.
Un’industria chimica sul territorio, ad esempio, rientra nell’ambito delle cosiddette “industrie a rischio rilevante”, e presuppone, per la sua esistenza, una serie di “pianificazioni”:
- partendo dal progetto e dalle successive autorizzazioni in relazione al territorio, devono essere pianificati la corretta gestione degli impianti, le manutenzioni, le verifiche e i controlli nel tempo. Delle leggi specifiche costituiscono il presupposto di tali attività di progettazione, manutenzione e collaudo;
- successivamente, è anche oggetto di studio il potenziale impatto sul territorio di un incidente – possibile, ma non probabile – mettendo in conto il massimo evento ipotizzabile, applicandolo al territorio circostante e inserendo altri dati utili alla valutazione complessiva sulla base delle condizioni legate al momento, quale, ad esempio, l’andamento medio dei venti;
- infine, secondo quanto previsto dalle leggi dello Stato, si stabiliscono le azioni da intraprendere, in modo automatico, laddove si verifichi l’incidente studiato e validato.
Ma se l’evento, per fattori che esulano dalle comuni capacità di previsione, si presentasse in modo del tutto inaspettato? Se, richiamando l’esempio di cui sopra, quella stessa industria fosse l’epicentro di una serie di eventi concatenati, con effetti a cascata di più ampia scala sul territorio? O se, invece, subissimo un attentato terroristico, con uso di agenti propri delle armi di distruzione di massa, ossia agenti chimici, radiologici o biologici? Quali informazioni avremmo a disposizione in questi casi per poterci preparare prima e pianificare in modo adeguato?
La risposta è: nessuna.
Non sappiamo cosa ci capiterà (quale situazione, quale sostanza), di che intensità o quantità, di quale qualità, in quale luogo, in quale situazione meteo, quanta popolazione verrà colpita o potenzialmente colpita. Nulla. Sono queste le caratteristiche di una situazione di crisi di per sé, cioè quando non sono noti da subito elementi valutabili per poter avere la certezza di effettuare immediatamente interventi coscienti, tecnicamente utili e validi nei loro risultati finali.
Una situazione di crisi presuppone la non certezza dei risultati nell’affrontare l’evento in corso, sia per carenza di risorse, sia per carenza di conoscenze, sia, infine, per l’impossibilità di utilizzare gli strumenti procedurali e/o normativi in dotazione.
In altri termini: quando la normale sequenza logica “se…allora” (se, a seguito di un evento, ci si comporta in un certo modo, allora si ottengono questi determinati risultati e risposte) non funziona, non produce risultati o addirittura peggiora la situazione, in quel preciso momento si determina una crisi.
«Allora che famo?» (espressione propria del dialetto romanesco con cui una persona, con le braccia aperte e gli occhi spalancati, guarda il proprio interlocutore con sorpresa o costernazione e con atteggiamento inquisitorio insieme). Come pianificare, se non sono note la fattispecie da affrontare, le circostanze di tempo e luogo, l’intensità, l’estensione, la durata, il contesto storico in cui si verificherà la crisi?
Semplicemente, con modalità diverse dalla pianificazione propria delle situazioni emergenziali.
Qui, infatti, risiede la differenza tra una pianificazione emergenziale, propria del sistema di Protezione Civile, e una pianificazione per la gestione crisi, propria del mondo della Difesa Civile. Non si pianifica per un evento specifico ma per una situazione che può potenzialmente essere foriera di uno o più eventi possibili, tra loro connessi o meno.
Lo sforzo della pianificazione di crisi deve essere quello di portare più in alto possibile, verso il vertice del triangolo, la cosiddetta soglia di crisi. Si pianifica per la soglia di crisi non per l’evento in sé. Se per assurdo, ma ovviamente è impossibile, la nostra pianificazione riuscisse a portare la linea della crisi, o soglia, così in alto da coincidere con il vertice del triangolo, non si entrerebbe mai in crisi, qualunque evento quella particolare contingenza ipotizzata dovesse produrre.
Una delle azioni più incisive per pianificare per la soglia di crisi, implica predisporre automatismi da adottare per gli eventi prevedibili, al fine di potersi dedicare alla gestione dell’imprevedibile con possibilità di successo. Di fronte a uno scenario indefinito, bisognerà cioè indicare delle linee generali di azione, individuando metodologie che possano ridurre le conseguenze della crisi.
Il mondo della gestione delle crisi è molto vasto e variegato: secondo quanto deciso in ambito NATO, gli scenari di crisi possibili spaziano dalla guerra dichiarata, alla cosiddetta “guerra ibrida”, dagli attentati terroristici convenzionali a quelli non convenzionali, dagli attacchi cyber alle manipolazioni dell’informazione, dai “flare”[1] solari agli impatti di meteore, dai salti di specie di virus letali al rilascio voluto di agenti patogeni nell’ambiente.
Si tratta di scenari possibili pur se alcuni di loro sono improbabili.
E’ possibile tenere un determinato Paese costantemente preparato a gestire uno scenario di crisi? È possibile, in altri termini, essere preparati a gestire l’eventuale salto da scimmia a uomo del virus del vaiolo? O una eventuale guerra?
Nel caso della guerra, anche se il nemico rimane ignoto (in una crisi si hanno delle potenzialità, ma non certezze), sembra sufficiente addestrare e preparare le Forze Armate, tenendone aggiornati i mezzi e acquistandone nel tempo di più moderni e di più efficienti. Ragionando per analogia, nell’ipotesi di una futura diffusione improvvisa del vaiolo (come nell’ipotesi di un qualsiasi altro tipo di potenziale grave pandemia), sarebbe quindi necessario prepararsi assumendo, in via preventiva, un esercito di medici, iniziando a predisporre centinaia di nuovi posti letto o iniziando a studiare un vaccino per un virus che non esiste? Ovviamente no. Ma ci sono altri modi per “prepararsi” per far sì, che si rimanga, per quanto possibile, resilienti.
Questo nuovo corona-virus ci ha dichiarato guerra, in modo sottile, lento, ma visibile. Un elemento di una intelligente guerra ibrida. Con un solo atto si sono creati problemi gravi a tutto il sistema, nazionale e mondiale. Il perfetto scenario di crisi. Potevamo essere pronti? Potevamo avere una pianificazione dettagliata da usare, con automatismi capaci di prevenire e non inseguire le conseguenze dell’evento? Avremmo potuto considerare tutti i possibili effetti sul tessuto sociale ed economico che una crisi sanitaria di queste dimensioni poteva portare?
Per il COVID-19, nello specifico, proprio per lui, no. Chi lo conosceva? Chi ne conosceva gli effetti? Ma una pianificazione per la gestione crisi generale avrebbe potuto permettere di anticipare alcune risposte, avrebbe consentito di gestire le situazioni e non di rincorrerle. Una pianificazione frutto da un lato di una corretta analisi delle carenze critiche e dall’altro della consapevolezza delle risorse e dei mezzi sanitari, economici, sociali e di comunicazione disponibili, avrebbe dovuto essere predisposta già da tempo.
Giovanni Ferrari, Architect CBRN Expert NATO Civil Emergency Planning Expert in Analysis and Consequence Management | Ferruccio Di Paolo, sociologist Communication Specialist NATO Civil Emergency Planning Expert in Technical matters on Crisis communication |
[1] Proiezioni nello spazio di plasma solare, capaci di coinvolgere anche i pianeti del sistema, con conseguenze pesantissime sulle reti di comunicazione ed elettriche.